La moda è la seconda industria più inquinante nel
mondo, dopo il petrolio. Il dato è poco conosciuto, ma alquanto allarmante. Da
anni si parla di tessuti sostenibili, di lavorazioni che non utilizzano
sostanze nocive all’ambiente. Aumentano le collezioni che rispettano l’ecosistema,
come del resto le manifestazioni. Basta pensare al Green Carpet della Fashion Week Milanese alla seconda edizione. Un'ottima iniziativa, ma
legata al prêt-à-porter di
alto livello che interessa quindi una minima parte del settore. Mentre il discorso, compreso lo smaltimento dei capi
e il loro riciclo, riguarda l’intera filiera fino al negoziante e il
consumatore. Che è totalmente disinformato. “In Italia l’82% della popolazione
si aspetta che i marchi siano trasparenti nei confronti della filiera e dell’impatto ambientale e sociale,
ma solo il 22%, cioè due italiani su dieci, ritengono che l’industria della
moda informi i consumatori dell’impatto produttivo sull’ambiente e la
popolazione” spiega Matteo Ward (nella foto in alto), trentenne, Ceo e fondatore di WRAD, start up
italiana nata con l’obiettivo di rendere sostenibile l’industria della moda, e
non a caso premiato al Green Carpet Award di Camera Nazionale della Moda Italiana.
A lui è stata affidata la direzione creativa del progetto Give a FOK-us, lanciato da
White, salone sempre in prima linea per ricerca e innovazione, per focalizzare
l’attenzione su sostenibilità ed economia circolare. Una scelta ben centrata
quella di Ward. Come sostiene Massimiliano Bizzi, fondatore di White, la moda
non è più solo apparenza e immagine. Le nuove generazioni sono attente alla
cultura e la sostenibilità è diventato un tema culturale. E chi meglio di un
giovane può raccontarlo. La sostenibilità, secondo Ward, infatti, non è un fine,
ma un modo per procedere e la crisi che si sta vivendo è un’opportunità per
migliorare e riqualificare il sistema moda.
Come si è detto, molto si sta già facendo. Save the
duck, il brand 100% animal friendly, impegnato
anche nella salvaguardia dei mari, ha creato per la prossima primavera-estate Ocean
is my Home, una collezione di giacche e gilet in un nylon ottenuto dalla
rigenerazione delle reti da pesca recuperate negli oceani e sulle spiagge (foto in basso).
Mentre tra i brand della Fashion Week Milanese per il prossimo inverno, Laura
Strambi accessoria i suoi capi con turbanti cuciti dalle donne del Benin, in cotone biologico filato
a mano, realizzato con foglie di mango e radici, e colorato con tinture
naturali. Dietro questi copricapo, la storia del Paese africano che ha mandato
più schiavi in America. Per cui i turbanti dovevano coprire le donne e renderle
meno appariscenti.
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