Ieri,
in coda alla fashion week milanese, nel teatro di piazza Vetra, una delle
location più ambite, c’è stata la sfilata di Iulia Barton Inclusive Fashion Industry,
protagonista a Milano nel 2016 di un evento insignito con la medaglia al
valore civile e sociale dal Presidente Giorgio Napolitano. In passerella con i
capi di sei maison (Luigi Borbone, Massimo Crivelli, Angelo Cruciani, Giuseppe
Fata, Diego Salerno (nella foto), Antonio Urzi), modelle e modelli con
amputazioni, mutilazioni o in sedia a rotelle. Per dimostrare che la diversità è un attributo privo di
fondamento. Questo il significato di moda
inclusiva, creata da Fondazione Vertical nel 2011, per dare visibilità a
contesti sociali tenuti fuori dall’industria della moda, legata al concetto di
bellezza e perfezione. Coraggiosa l’organizzazione, ammirevoli gli stilisti che
hanno dato il loro contributo, straordinaria la regia per cui le protesi o le
carrozzine, nei colori degli outfit, diventavano un accessorio o un’estensione
dell’abito. Qualcuno ha parlato di lezione di vita, molti erano perplessi,
anche se cercavano di non manifestarlo. Di sicuro il pubblico, tra cui giovani
sulla sedia a rotelle, non aveva lo stesso atteggiamento di fronte a una sfilata
normale. Si aveva paura di essere critici, ma si aveva anche paura di non esserlo.
Rivelando quella pietà che in un evento del genere va bandita. A qualcuno sarà
anche apparsa una forzatura, in un palcoscenico come quello della moda dove
tutto deve essere scintillante. Ma è proprio in questo mondo e in questo modo
che è giusto portare avanti una campagna di sensibilizzazione. Tra l’altro,
oltre alla stampa e agli addetti ai lavori,la sfilata era aperta al pubblico
con biglietto. I proventi della serata sono destinati a sostenere la ricerca
sulla rigenerazione dei danni al midollo spinale attraverso le nanotecnologie e
l’utilizzo di cellule staminali
mercoledì 28 febbraio 2018
martedì 27 febbraio 2018
ESSERE FIERE
Qualcuno una decina di anni fa sosteneva che nell’era del web le fiere non
avevano senso. Certo, molte sono scomparse ma altre modificate, riadattate, ripensate, rivoluzionate
hanno riscontri e successo. La strategia
è avere un obiettivo preciso. White è riuscito a trovarlo, come dicono i numeri. Ed
è il lavoro di scouting e selezione
senza condizionamenti, per far conoscere ai buyer piccole realtà che solo con il
contatto diretto e non certo
sul sito si ha modo di testare e tastare. Tra i 546 marchi , 163 sono
stranieri e sono il 12,4% in più di febbraio 2017. Come i brand, al loro primo
White, della Red Area dalla Francia e da Berlino, o Ines Torcato dal Portogallo,
Sofie D’Hoore dal Belgio, i designer Fariza Sultan, Utari, Zibroo Design dal
Kazakhstan, One on one dalla Grecia con una maglieria per lui e per lei dai
dettagli intriganti (foto al centro). Vengono invece da otto regioni italiane i partecipanti del
progetto It’s time to south, fucina
di idee, dalla couture alle felpe, dai gioielli agli occhiali. La sostenibilità
è un punto forte per molti. E’ il caso della collezione di Carlotta Canepa
giocata sulle geometrie alla Sonia Delaunay e motivi floreali alla Frida Kahlo. Tutto nei
tessuti della storica azienda comasca, di cui Carlotta rappresenta la quarta
generazione, prima azienda internazionale ad aver aderito alla campagna Detox
di Greenpeace. Nell’ampliamento di White, all’opificio di Via Tortona 31, la visita è allietata dal
suono di un pianoforte dal vivo. Aziende artigianali e marchi di nicchia con un
ottimo rapporto qualità-prezzo come Reblanc, linea di Refrigue, con piumini solo
per donna, anche in velluto, con tagli donanti, lontani anni luce dagli
ingoffanti indumenti da omino Michelin. Nell’Opificio c’è anche quel che resta del vecchio Contemporary. Qui
spicca la maglieria Imago di Federica Frumento, vera arte da indossare, che riporta
su poncho e pull in cashmere gli oli su tela di Carla Benvenuto (foto in alto). Concentrato
soprattutto sugli accessori Super, il salone del Pitti a The Mall (foto in basso) . Penalizzato
forse dalla posizione, troppo fuori della mischia, ha avuto un calo
di italiani, ma sono aumentati gli stranieri, specie dalla Russia e dagli Usa. Tra i brand
affermati Scaglione, leader della maglieria, con una sofisticata capsule di abiti disegnati da una stilista giapponese. Ottima la selezione fatta da Camera della
Moda per scegliere i 14 brand italiani e stranieri per il Fashion Hub Market
nello spazio Cavallerizze.
lunedì 26 febbraio 2018
VOGLIA DI CAMBIARE...
domenica 25 febbraio 2018
LA CREATIVITA' E' DONNA
Sono sempre di più le donne stiliste e
alcune di loro, ieri e oggi, sono state al centro della fashion week
milanese. A cominciare da Lavinia
Biagiotti erede creativa e operativa dell’indimenticabile mamma Laura. La
sfilata inizia con il tutto bianco per trench, cappotti, lunghi abiti di
maglia. Continua con soprabiti bianchi dai piccoli flash di beige. Prosegue con l’écru della mantella. I toni si
scuriscono per la stampa maculata del paltò, nei quadrati di pantaloni, giacche
e spolverini, fino ad arrivare agli stampati a fiori degli abiti nei toni del
ruggine, del senape e ai completi optical spruzzati di strass o ai neri da
sera (foto in basso). Rossella Jardini presenta Metamorphosis
una collezione senza stagione che fa rivivere di una nuova vita caban, trench,
giacche militari, ma anche tute da lavoro, e perfino sacchi delle
poste o per
il trasporto di denaro delle banche (foto in alto) . Con bottoni vintage, toppe d’archivio, broderie. Un riuso–riciclo creativo
importante per una moda sostenibile. Giulia Marani porta avanti il lavoro del
padre Angelo e parte dagli archivi,
prendendo pezzi, lavorazioni, stampe che hanno fatto il successo del brand.
Tutto è rivisto senza nostalgie, ma con un humour che guarda al futuro. Così la
felpa in cashmere con stampato il muso del leopardo. Così il cappotto anni 40 con un patchwork di
pellicce ecologiche tra cui la lince, un'esclusiva Marani. O i jeans in
maculato-lince. Mila Schon festeggia i sessant'anni. E’ un uomo, il direttore
creativo Alessandro De Benedetti, a riproporre
i capisaldi della grande signora della moda. Dal mitico double alla
mantella, dalle stampe e gli intarsi di gusto geometrico alla giacca dalla
linea ad A. Francesca Liberatore, dopo
sette stagioni a New York, torna a sfilare a Milano. Mette insieme tessuti
e tagli maschili con drappeggi e ricami del Pakistan, dove è stata di recente con
l’agenzia delle Nazioni Unite, che promuove lo sviluppo industriale nel mondo.
Ma la sartorialità prevale sull’etnico. Stella Jean abbandona in parte le linee
e i tessuti africani, ma non perde l’interesse per il multiculturalismo. Tanto
da trarre ispirazione dall’amicizia fra
l’atleta afroamericano Jesse Owens e il tedesco Luz Long nelle Olimpiadi del
1936. Le stampe dei tessuti richiamano
le piscine delle gare, i numeri dei blocchi di partenza sono applicati su
giacche e maglie. Spunti etnici e
scontri-incontri di colore nella fresca collezione di Simonetta Ravizza. Anche
Angela Missoni guarda al multiculturalismo.
Gaia Trussardi, per il marchio di famiglia, propone una collezione per
uomo e donna con pezzi apparentemente classici e senza tempo. In realtà
rinnovati nelle proporzioni, nei tessuti, nei colori inaspettati, spesso gli
stessi per lui e per lei, ma che riescono a essere femminili per lei, rigorosi
ma non plumbei per lui. Sexy e audace la sera.
Elisabetta Franchi sceglie Monica Vitti come modello di donna,
divertente e seducente, ma aggiunge un tocco di aggressività. La stessa con cui
la stilista-imprenditrice procede decisa con la campagna contro il
maltrattamento degli animali.
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