martedì 19 novembre 2024

OLTRE IL GIARDINO

Il libro s’intitola Il giardino delle delizie e il suo autore è un architetto. Immediato pensare che si tratti di un architetto di giardini. E invece no. Ugo La Pietra è anche un editor, un musicista, un fumettista, un pittore, un cineasta, ma nella progettazione non tratta giardini.  Li tratta d’artista, nel senso che oltre ad aver scritto  altri libri sui giardini, li studia, li dipinge, li disegna. E nella mostra, aperta alla Galleria Paula Seegy a Milano fino al 30 novembre,  si trovano ben 27 delle sue opere in gran parte inedite, tra acrilici su tela, su legno, su carta, oltre a un album di disegni. Ma dietro a questi lavori c’è tutto un pensiero che La Pietra ha ben espresso ieri alla presentazione del libro in galleria. 




Ha parlato di urbanistica, di natura, di artificio. Perché il giardino è espressione del rapporto tra natura e struttura e dal punto di vista artistico nei giardini si fondono l’arte concettuale e la spettacolarità, due correnti artistiche che lo stesso La Pietra ha attraversato o comunque ne è venuto a contatto. Nei suoi dipinti si percepisce l’amore per i giardini “meta di riposo psicofisico, luogo dove coltivare  …spettacolarità e concettualità”, “spazio organizzato per il piacere”, “espressione del superfluo”, “sinonimo di paradiso”. Da cui la serie Il giardino delle delizie.  Ma anche l’incontro tra struttura e natura : è il caso dell’affascinante serie Gazebo (foto in basso). Nel libro scrive di fare attenzione al rapporto architettura-natura perché con il tempo vince la natura. Il suo discorso si "allarga", passa dal parlare del giardino come luogo di rifugio e contemplazione ai gazebi come luoghi di decompressione che nelle città potrebbero offrire un rimedio all’inquinamento acustico e atmosferico. 
 Evidenzia come in Italia, a differenza dei paesi soprattutto del nord, non ci siano parchi urbani. Un filo poetico aleggia su tutto. Riporta frasi come quella di Gilles Clément (botanico, paesaggista, entomologo che da anni conduce esperimenti nel suo giardino nella Nuova Aquitania, in Francia):"...il giardino sembra il solo e unico territorio d’incontro tra l’uomo e la natura, dove il sogno sia autorizzato". E osservando i suoi quadri il sogno continua. In linea ed esaustiva la prefazione del libro di Manuel Orazi.  

venerdì 15 novembre 2024

QUEL PASTICCIACCIO BELLO

Un umorismo raffinato, inedito, con riferimenti colti d’attualità e non, capace di scatenare risate irrefrenabili, che riesce a tenere la scena per un‘ora e mezza, senza un momento di cedimento. Questo è Fantasista!-A comedy pastichaccio (sì proprio scritto così) per la prima volta a Milano, al Teatro della Cooperativa fino al 17 novembre. In scena con un leggio, che guarda di tanto in tanto, Alessandro Ciacci (classe 1989) che del monologo è autore, regista oltre che unico attore. Come lui stesso scrive nelle note di regia è uno "show fluido" in cui “lo spettatore non assisterà a nulla di canonico, di ortodosso…un happening in cui le risate saranno provocate da un’imponente dose di follia”.

E qualcosa già affiora in quel sottotitolo : menippeo q.b. & con uso di paillettes. Ciacci parla di tutto, dall’autobiografico incontro con la sua maestra d’asilo, alla proposta della fidanzata Laura di una costosissima passeggiata nel bosco per sentire il bramito di un cervo. Con intervalli, in stile pubblicità del vecchio Carosello, revocato dalla musica. In un mix, spiega Ciacci, di Monthy Python e Woody Allen, si pubblicizza anche una bara. Niente è prevedibile, niente è scontato. Così tanto che se ci si distrae un attimo si rischia di perdere il filo. E si finisce per guardare invidiosi il vicino di poltrona che ride a crepapelle. Lo spirito critico c’è, si sente, ma non è dominante e comunque non è il filo conduttore. Ci sono dei bersagli, ma accennati, da intuire. Interattiva l’ultimissima parte in cui l'attore chiede al pubblico di scegliere tra due proposte per una serie di "cose", assolutamente surreali.

giovedì 14 novembre 2024

QUELLO CHE CONTA E' L'IMPRESSIONE

Il film Pissarro. Il padre dell’impressionismo, diretto da David Bickerstaff, già come è strutturato dice molto della pittura dell’  artista. Quale altro film biografico potrebbe essere fatto solo con dipinti del pittore, alternati da qualche altro non suo e dai commenti di direttori di museo e curatori di mostre? Il suo tipo di pittura, come lo stesso Pissarro afferma, non porta sulla tela persone, natura, case, come sono, ma ne riporta l’impressione che possono dare e che gli hanno dato. Da cui il nome Impressionismo. E come tali in questo senso già parlano di lui, del suo modo di vedere il mondo intorno, perché le sue opere sono tutte dipinte dal vero.  




E'particolare la sua visione di un bosco, della campagna francese, di un boulevard parigino ma anche delle persone.  Attraverso le contadine intorno all’albero (nella foto del manifesto) riesce a trasmettere il senso del lavoro duro, della fatica quotidiana, più che farne dei ritratti.  Nella donna "che si bagna i piedi" si percepisce la freschezza dell’acqua,  oltre a una certa sensualità. Nel ritratto della figlia morta a otto anni, con in braccio la bambola si avverte il dolore di un padre che conosce il tragico destino della sua bambina. Il film mette ben in evidenza la forza della pittura di Pissarro, il suo essere stato avanti nei tempi e quindi le difficoltà a essere capito. Molto di questo artista Bickerstaff l'ha ricavato dalle lettere intime scritte agli amici, conservate presso l’archivio dell’Università di Parigi, ma anche nell’archivio dell’Ashmolean di Oxford, primo museo pubblico del Regno Unito e della retrospettiva dedicata a Pissarro in quattro decenni.  Il film che fa parte della Grande Arte al Cinema , distribuito in esclusiva per l’Italia da Nexo Studios con i partner Radio Capital, Sky Arte, My Movies, sarà nei cinema solo il 19 e 20 novembre. 

mercoledì 13 novembre 2024

CRONACA DI UN MISTERO

Nessuno nato entro la fine del secolo scorso può non ricordare quel 16 marzo del 1978 e provare commozione, indignazione, rabbia, paura, sgomento. Difficile però che questi sentimenti possano tornare tutti insieme in un teatro.  Perché è questo che suscita  Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia, ieri e oggi al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano.  In scena Ulderico Pesce  che ha scritto il racconto scenico con il giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi del caso Moro, e ne ha anche curato la regia. 


E’ lui che prende la voce di Ciro, fratello di Raffaele Iozzino, uno degli uomini della scorta di Moro uccisi quel 16 marzo, l’unico che riuscì, prima di morire, a sparare due colpi di pistola contro i terroristi. Toccante il suo ricordo dell’ immagine in televisione del lenzuolo da cui usciva un braccio con un orologio, proprio quello che lui, Ciro, aveva regalato a suo fratello per la Cresima. Al racconto personale, con l’incredulità, l’orribile scoperta, il dolore della mamma si alternano considerazioni su quel giorno. Sui dettagli, i commenti, le testimonianze che sempre di più convergono a dimostrare come quel rapimento-strage, con conseguente assassinio 55 giorni dopo, era frutto di una macchinazione giostrata da un presidente del Consiglio e un ministro dell’Interno manovrati dai petrolieri e i conservatori americani, per bloccare quel compromesso storico che mai si attuò.  Uno schermo ogni tanto manda immagini di via Fani, delle auto,  dei corpi per terra, dello stesso Imposimato. Impossibili da dimenticare. Anche queste come le parole di Pesce mettono in risalto incongruenze e stranezze, che confermano sempre di più il complotto dall’alto. Perché la scorta teneva nel bagagliaio le armi e non a portata di mano? Perché sia l’auto di Moro che quella della scorta non erano blindate? Dov’era scomparso quel rullino con le foto dell’agguato? Perché a indagare sul rapimento fu l’Ucigos, organismo di polizia speciale alle dirette dipendenze di Cossiga, creato solo due mesi prima? Perché uno dei titolari della scorta venne mandato in ferie quel giorno e sostituito da Francesco Zizzi, da pochissimo poliziotto, appassionato di canzoni e di Modugno , che  prima di morire, in auto, cantava La lontananza. Ed è proprio quel mix di quotidianità e di tragedia, di persone normali  diventati indimenticabili e compianti eroi che rende quanto mai forte lo spettacolo. L’unico difetto la poca permanenza a Milano. Che invoglia  però a un altro spettacolo al Teatro Menotti, sempre scritto, diretto e interpretato da Ulderico Pesce, con l’accompagnamento della fisarmonica di Pierangelo Camodeca. E’ I sandali di Elisa Claps, dal 14 al 17 novembre, che racconta un altro mistero: quello della ragazza scomparsa e ritrovata cadavere dopo 17 anni nel sottotetto di una chiesa di Potenza.             


venerdì 8 novembre 2024

VANITA' DELLE VANITA'...

Al primo impatto affascina e sarebbe sufficiente per meritare una visita. Ma la mostra Vanitas da Brun Fine Art a Milano dà molto di più. Tutto comincia dal titolo. Una parola latina che vuol dire vuoto, effimero, poi prende significati diversi, non sempre positivi. Legati alla bellezza certo, ma anche a quella superficialità che ne deriva, al fermarsi alle apparenze, ai luoghi comuni. La mostra in qualche modo lo racconta. Esposte una sessantina di opere tra sculture e gioielli.  Le sculture sono busti o teste in marmo bianco da fine 700 a fine 800, i gioielli sono invece moderni, ma soprattutto contemporanei. Un contrasto-accordo che in qualche modo è enfatizzato dai numerosi specchi sulle pareti, dove oltre le opere si riflette lo stesso visitatore. Con effetti particolari.


Al centro della galleria su un tavolo il classico putto-angioletto con in mano un grande bracciale e intorno teste femminili con collane e spille e una testa maschile con una mascherina d’oro. Tra i pezziforti, proprio davanti alla vetrina, una delle famose Psiche di Pietro Tenerani del 1861 con un gioiello cinetico, datato 1968, di Arnaldo Pomodoro, una catena d’oro “che scivola sulla schiena sublimando la bellezza della scultura”(in basso a destra). E poi il busto di donna con vistosa capigliatura a boccoli del 1838, firmato Francesco Pozzi, che “dialoga” con una collana dall’immaginifico ciondolo del 1974 su disegno di Man Ray del 1937(in alto a sinistra). O ancora il ritratto di Antonio Canova del suo allievo Raimondo Trentanove del 1822 con una coloratissima collana in poliuretano espanso dello scultore Piero Gilardi, scomparso nel 2023(in alto a destra). La mostra, inaugurata ieri, è aperta fino al 19 dicembre da Brun Fine Art, via Gesù 17.



 

giovedì 7 novembre 2024

STAPPARE E' DESIGN

Può un cavatappi diventare oggetto di culto? La risposta affermativa l’ha già data Alessandro Mendini nel 1994. Quando ha disegnato, per Alessi, Anna G stilizzata figura femminile in zama (mix di leghe a base di zinco) cromata e resina termoplastica, pronta ad aprire bottiglie. Dieci anni dopo la affiancava un altrettanto stilizzato Alessandro M, nello stesso materiale, anche lui pronto ad aprire bottiglie. Venti e trent’anni dopo, il loro successo continua e viene celebrato da una nuova versione della "coppia" con il design di tre nomi della moda, della grafica e della pittura e cioé Arthur Arbesser, Studio Temp e Fulvia Mendini, figlia del grande architetto. 

 





Nuovo anche il materiale biocomposto, per un ciclo di vita “ecologicamente responsabile”. Ogni designer ha inoltre creato una serie di solo due pezzi numerati e firmati e una prova d’autore, per un totale di nove pezzi. Arbesser ha decorato il suo cavatappi Anna G con pettinatura a caschetto e abito di vari colori forti, gli stessi usati nelle sue collezioni (foto in alto) e per la prova d’autore abito nero con maniche a palloncino verdi e vistosi orecchini (foto in basso a destra). Per lui, Alessandro M, ha scelto una casacca a maxirighe davanti e a maxiquadri dietro su pantaloni a righe e bombetta in testa. Pantaloni a righe anche per la prova d’autore ma con casacca, d’argento come il cappello a cono (foto in basso a sinistra). Studio Temp porta la street art su entrambi i cavatappi, ed ecco grafiche di segnaletica stradale e disegni vari anche con elementi fosforescenti, leggibili solo al buio. Fulvia Mendini immagina un bosco di querce colorate in rosso e in verde, che diventano un abito per lei e un completo per lui. I fantastici cavatappi sono nei negozi dal 15 ottobre, ottima idea per una tavola natalizia.

martedì 5 novembre 2024

BIOGRAFIA ILLUSTRATA DI UN GENIO

“L’uomo che ha distrutto la moda” così era titolato l’articolo  del Corriere della sera nell’ottobre 1976, firmato Enzo Biagi, su Elio Fiorucci. Ma è sufficiente leggere il sommario e aver conosciuto il giornalista per rendersi conto di quanta ironia c’era in quel titolo. Ora, a quasi dieci anni dalla scomparsa di Fiorucci, ci si chiede come mai solo adesso gli sia stata dedicata una mostra, che apre domani a Milano e chiuderà il 16 marzo. Location la Triennale, luogo adatto a un personaggio dall’inesauribile creatività, primo a mettere insieme moda, design, musica e soprattutto a cogliere nel mondo stili e modi di vita, reinterpretarli senza snaturarne le caratteristiche fondamentali. Tanto da essere stato “per almeno due decenni un magnete della cultura giovanile internazionale e la culla di contaminazioni più fertili e audaci”. Come ha detto Stefano Boeri, presidente della Triennale, alla presentazione della mostra, dove ha anche parlato di “riempire il vuoto di una formidabile amnesia”. 





Curata da Judith Clark, direttrice artistica e docente di Moda e museologia a Londra, con l’allestimento di Fabio Cherstich, regista e scenografo, la mostra racconta un personaggio davvero unico, partendo dalla sua infanzia. Il percorso espositivo si apre con un’ aula scolastica da un solo banco, quello di Elio Fiorucci e una finestra al posto della lavagna. Finestra da cui "il ragazzino distratto e non interessato allo studio" vedeva il mondo, fatto di viaggi, di sogni, ma anche di commercio, che sarebbe stato il suo futuro. Com’ era scritto nel tema su fogli protocollo, posato sul banco. Da qui comincia la mostra con un ordine cronologico, ma non "determinante". “Con il permesso di divagare” ha spiegato la curatrice “E’ un documento aperto, non chiuso... una biografia intellettuale rispettosa delle mura in cui siamo”. Sopra l’aula pendono modellini di aerei, automobili, elementi del viaggio e del sogno. Tutto il resto sono pezzi di archivio, molti dati dai famigliari. “Abbiamo messo in ordine un delirio” ha detto Cherstich. Ovviamente di creatività. Nell’ampio e lungo salone  manifesti 
con le vamp, con i famosi angeli, con personaggi vari, oggetti, e poi fotografie , capi di abbigliamento, i suoi stivaletti in gomma, i nanetti, le borse di plastica. Su un tavolo la ricostruzione della scrivania di Fiorucci traboccante di oggetti. Nelle foto e nei manifesti molti i volti conosciuti, da Keith Haring, a cui Fiorucci affidò il compito di decorare le pareti del negozio di Milano, ad Andy Warhol, che scelse lo store Fiorucci di New York per il lancio della sua rivista Interview.  E ancora Basquiat, Madonna, che erano suoi amici. Per tutta la mostra si sente musica di quegli anni, ma anche la voce di Fiorucci che racconta. Svariati i documenti, le foto, gli oggetti di paesi lontani portati da ogni parte del mondo dai suoi collaboratori "trovarobe". Oltre al manifesto della donna pettoruta con occhiali neri, che  mostra la pagina con l’articolo del Corriere della Sera. 



mercoledì 30 ottobre 2024

GHIACCIO BOLLENTE

La veste grafica, se ancora si dice così, è tanto attraente da pensare che l’interno possa deludere, dato anche che il libro parla di un marchio di moda. E invece Iceberg-1974-2024 rewind – fast forward  (edizioni La nave di Teseo) “delude” ma in senso positivo, nel senso che sconvolge le aspettative. Ci se ne accorge già a pagina 9 con l’introduzione di Angelo Fiaccavento. Che continua fino a pagina 14 scrivendo delle molte identità del marchio. Con un’analisi precisa e ben spiegata sui vari cambiamenti o meglio “le epifanie e fenomenologie che la griffe ha assunto in cinque decadi di storia”, appunto dagli anni 70 a oggi. 



Quindi si entra nel volume, immaginato come un assemblaggio di fogli prima sparsi, poi raccolti secondo il periodo. Quel che si dice uno "scrapbook". Sono disegni, pubblicità con ritratti di personaggi, schizzi, foto per riviste di moda, introdotti da una tabella con gli avvenimenti in Italia e nel mondo, non sempre i più importanti in assoluto, ma quelli che sono stati più determinanti nei cambiamenti di due decadi. Esempio dal 1970 al 1990: 1989 "...cade il muro di Berlino". Ma anche : 1985 "L’edonismo reaganiano è etichettato e sdoganato a Quelli della notte". A cui segue nella pagina dopo la descrizione di come la moda sia stata influenzata dal contesto e nello stesso tempo abbia influenzato il contesto, in ognuna delle due decadi. Che sono anche le decadi dedicate a Jean-Charles de Castelbajac, al quale si deve molto, nome compreso, della trasformazione di un’azienda di maglieria in un brand iperfashion. Come spiega bene la piccola storia in fondo al volume Un iceberg in Romagna. Da Gilmar a Iceberg senza ritorno, scritta da Marta Franceschini. Un racconto quindi fatto di immagini forti, ben studiate negli accostamenti dall’art director Luca Stoppini (che con Marco Sammicheli ha ideato e allestito la bella mostra Forme Mobili alla Triennale di Milano, dove sono presenti capi di Castelbajac), che sembrano al primo sguardo casuali, mentre niente è lasciato al caso. Nelle decadi dopo, i cambiamenti alle volte sono graduali alle volte più dirompenti. Sempre messi in evidenza dai più grandi fotografi del momento (Oliviero Toscani, Patrick Demarchelier, David Lachapelle, Peter Lindbergh, Steven Meisel), capaci di cogliere e raccontare il nuovo della creatività dei talentuosi stilisti che hanno lavorato per Iceberg. Tra i quali Marc Jacobs, Dan & Dean Caten, Giambattista Valli, Alexis Martial, Arthur Arbesser, e l’attuale James Long. Per nominarne qualcuno.   

martedì 29 ottobre 2024

LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE?

Il tema è datato, quasi cinquantenne. Se ne può sorridere e ironizzare ancora. Ma la domanda che ci si fa è se può continuare a reggere come spettacolo teatrale. Una risposta affermativa la continua a dare il titolo “Libertà obbligatoria”. Contradditorio fino al surreale, polemico, con la giusta venatura di humour.  Ed è quell’ironia non cattiva, né per questo qualunquista e superficiale, che rende gradevole la nuova versione di Libertà Obbligatoria, grande classico di Giorgio Gaber e Sandro Luporini del 1976, da vedere fino al 31 ottobre al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano. 


La regia è di Emilio Russo che, spiega, ha voluto considerare lo spettacolo di Gaber come "un classico da interpretare e pur nella sua universalità provare a contestualizzare". Ha preferito al monologo originale "una lettura collettiva tra musicisti e attori". E così ha introdotto, accanto al gruppo del precedente premiatissimo Far finta di esser sani, due attori di teatro, per rendere più chiaro e pregnante con le parole il pensiero di Gaber. Ed ecco quindi i bravi e convincenti Lisa Galantina e Gianluigi Fogacci dividere la scena con la piccola orchestra(un insolito quartetto) di Musica di Ripostiglio, Andrea Mirò definita "gaberiana per vocazione" con la sua voce entusiasmante e l’eclettico e brillante Enrico Ballardini. L’andamento non è serrato, non ci sono colpi di scena o effettacci, quasi per lasciare il tempo ai ricordi di affiorare e, forse, di confrontarsi con il presente. Si ride, si sorride, ci si sente coinvolti e gli applausi al ritmo delle canzoni lo confermano. Azzeccata la scenografia che racconta una casa dietro tende trasparenti. Divertente e interattivo con il pubblico il bis con Destra-sinistra . Forse inutilmente attesa da qualcuno La libertà (è partecipazione).

venerdì 25 ottobre 2024

AIMEZ-VOUS MOZART?

Che ridere faccia bene alla salute è confermato. Se poi il riso non è cattivo, né amaro, né volgare, né offensivo e presuppone una certa cultura, è ancora meglio. Tutto questo per dire che Classical Therapy del MozART Group, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano fino al 27 ottobre, è davvero uno spettacolo indovinato e "terapeutico". Sul palcoscenico un vero quartetto d’archi con i due violini, la viola e il violoncello, tutti musicisti diplomati presso prestigiose accademie musicali di Varsavia e Lodz, perché polacchi, che si esibiscono nei teatri di tutto il mondo da quasi trent’anni. 


Inizia come un regolare concerto con tutti in frac e le note del Mozart più conosciuto e poi a poco a poco la scena si trasforma. Qualcuno lo definisce cabaret, perché come in un cabaret ci sono danze, esibizioni, movimenti e uso degli strumenti musicali in modo inconsueto, che scatenano gli applausi. Ma in realtà è qualcosa di diverso, di speciale, dove niente è scontato e già visto.  Per quanto ci siano situazioni che suscitano convinte risate, non c’è presa in giro della musica, che sarebbe per certi versi facile. Nessuna delle gag tipiche su quel mondo, collegate magari al frac o al non coordinamento dei musicisti, o a qualche "stecca" clamorosa. Niente di tutto questo. E’ un racconto quasi storico sulla musica in cui la musica è linguaggio e filo conduttore, insieme a una garbata, ma solida ironia. Ci si mette un cappello da cow boy e gli strumenti diventano chitarre per musica country. Si muovono le gambe in un certo modo ed ecco il più scatenato rock and roll. Si suona qualche nota particolare, si usa gli strumenti come una batteria ed ecco i Beatles, che escono poi di scena uno dietro l’altro come sulle zebre di Abbey Road. Qualche accenno all’opera, ma mai insistito, perché troppo facile e al limite del grossolano. Geniale violino e violoncello suonati a quattro mani o ancora il ballo abbracciati in coppia suonando il violino.  Ogni tanto il primo violino dialoga con il pubblico in un inglese stentato. E sono dei break piacevoli che non interrompono, anzi completano l’atmosfera divertente. Al termine il coinvolgimento di una persona del pubblico con il tipico omaggio O sole mio all’Italia, spiritoso, ma non grottesco in modo scontato. Speciale il bis con un gioco di luci e ombre dietro uno schermo che conferma le capacità acrobatiche del quartetto, specie del secondo violino.

giovedì 24 ottobre 2024

A ZURIGO IL MONDO NEL TEMPO

C’è l’arte visiva nelle sue varie forme, dalla pittura alla fotografia, alla scultura, ma c’è di più nelle mostre che si tengono al Museum Rietberg di Zurigo. La collezione permanente raccoglie i tesori artistici extraeuropei, quindi dell’Africa, dell’America, dell’Asia e dell’Oceania. Ma le esposizioni temporanee, più a tema preciso, spaziano affrontando argomenti diversi, legati alla vita del paese, alla sua storia, alle vicende politiche e sociali. Ne è un esempio In dialogo con il Benin, arte, colonialismo, restituzione che, inaugurata a fine agosto, chiuderà il 16 febbraio. 




Il progetto vuole raccontare le vicende del patrimonio culturale del Regno del Benin, un tempo collocato nell’attuale Nigeria. Passando dal saccheggio dei colonialisti inglesi, alla vendita  dei beni sul mercato internazionale, fino agli scontri e le problematiche per la restituzione.  Quattro i curatori, tutte donne, alcune residenti in Nigeria, altre in Svizzera come Esther Tisa Francini. Interessante e in sintonia con il tipo di approccio della mostra l’allestimento,  con paratie che creano due spazi, uno interno con le opere e uno esterno che lo circonda, con fotografie (in basso l'Oba, tradizionale sovrano del Benin), testi, piccoli video, che illuminano sui passaggi, gli scontri culturali, i diversi modi di intendere l’arte e la cultura, gli interventi europei, eccetera. Tra le opere all'interno si va da pezzi del 16° e 17° secolo a molti del 1800 e del 1900 (nella foto in alto il particolare di una porta) fino ad alcuni, tra cui installazioni, commissionati ad artisti contemporanei su temi scottanti come la schiavitù o la memoria culturale.  Da vedere fino al 19 gennaio nello stesso padiglione, al piano inferiore Ragamala. Dipinti per tutti i sensi. L’esposizione propone una cinquantina di pitture miniaturali dell’India (Ragamala) che raccontano storie d’amore intense e dolorose, mettendo insieme musica, poesia e percezioni olfattive. E’ invece in una piccola villa, accanto alla principale, nel magnifico parco del museo, Iran Portrait of a country, mostra fotografica aperta fino al 5 gennaio 2025 (foto al centro). Sono esposte le immagini di Antoin Sevruguin , nato nel 1851 in Iran da genitori armeni, cresciuto a Tibilisi in Georgia, e poi tornato a vivere e a lavorare a Teheran,
dove è morto nel 1933.  Le 63 foto esposte, solo una minima parte dei 7mila negativi andati distrutti, tracciano in modo poetico e a volte struggente il profilo del suo paese d’adozione, appunto l’Iran, tra il 1880 e il 1896.  



 

sabato 19 ottobre 2024

CORAGGIOSA GRANDEZZA

Il film racconta la vita e le opere di un’artista, senza una cronologia precisa, con dialoghi, interviste, commenti di critici e persone che hanno ruotato intorno a lei. Non c’è una trama, né una sequenza particolare. Eppure quei 60 minuti si seguono come un thriller o con la curiosità di una commedia happy end. Si sta parlando di Maria Cristina Carlini. Il coraggio della grandezza di Pino Farinotti e Tiziano Sossi sulla scultrice. Prodotto da Daniela Azzola è stato proiettato ieri in anteprima al Meet Digital Culture Center di Milano, centro per la diffusione della cultura digitale, a un pubblico foltissimo. 




Certo il luogo è di grande attrazione, ma non è stato quello a influire e ben disporre alla visione. Come neanche la presentazione di Farinotti e Sossi. Breve ma approfondita, perfetta per introdurre il personaggio. E personaggio Carlini (nella foto al centro)lo è, nonostante l’ essere schiva, sempre semplice e naturale, senza mai fastidiose false modestie. Il suo percorso artistico inizia, quasi per caso, a Palo Alto in California, dove appena sposata segue il marito. Qui frequenta un corso di ceramica appassionandosi al torchio, tanto che quando si sposta a Bruxelles, oltre a continuare l’attività artistica, insegna a lavorare al torchio. Nel 1978 ritorna definitivamente a Milano, la sua città, e apre un laboratorio in zona Brera, chiamato Le terre.  Qui sta una trentina d’anni, fino a quando si sposta in una fabbrica dismessa di Via Savona dove attualmente vive e lavora. Il nome Terre non è casuale, le sue opere, quasi tutte di grandi dimensioni da cui il titolo del film, sono realizzate in materiali “veri” come l’acciaio, il corten, il ferro(nella foto in alto Bosco Ferro), il legno di recupero. Raramente sono colorate, i colori li prendono nel tempo. Oltre che con le loro forme parlano con l’irregolarità delle loro superfici. Nei racconti di Carlini non c’è mai niente di autoreferenziale. Si riscontra una grande determinazione, una passione che continua a esserci e a rinnovarsi, ma mai niente di costruito o di forzato. Anche quando parla dell’innamoramento da ragazzina del Tondo Doni di Michelangelo o della fascinazione per la Pietà Rondanini. Sono creazioni incredibili che, dice, le fanno pensare che sia impossibile creare qualcosa dopo. E invece le sue monumentali opere, presenti in tre continenti, la smentiscono. Da Fortezza a Roma a Viandanti e Danzatrici a Pechino. Da Madre e Out & Inside a Denver (foto in basso) a La Vittoria di Samotracia e Icaro a Miami fino a Impronte al Museo del Parco di Portofino e Obelisco in Piazza Enrico Berlinguer a Milano del 2024. 



mercoledì 16 ottobre 2024

LIBERTA' E' RECITAZIONE

Lo spettacolo è coinvolgente. Per quanto parli di qualcosa di lontano, dove il dialogo non esiste, ma la poesia prende il sopravvento. Per quanto racconti di una società e di una civiltà ideale vissuta più di ventimila anni fa, dedita alla ricerca di cultura e bellezza. Quindi al limite del surreale. Gli attori si esprimono più con i gesti e i movimenti del corpo che le parole. Che ci sono, ma sono qualcosa di lontano, che vanno interpretate e devono essere legate al contesto. Un contesto e cioè un palcoscenico con cassette di legno e un grande tubo di plastica, ispirato all’opera dell’artista cinetico Giovanni Anceschi




Lo spettacolo è Extravagare. Rituale di reincanto (nelle foto)con la regia di Ivana Trettel e rientra in una rassegna ideata dalla compagnia Opera Liquida. Ieri è stato al Pacta Salone, il 4 ottobre al Teatro PuntozeroBeccaria dell’Istituto Penale per Minori Cesare Beccaria, e il 25 ottobre sarà al teatro della Casa di reclusione Milano Opera. Il 24 ottobre, invece, arriverà nel carcere di Opera, Antigone della compagnia Puntozero, invitato dalla compagnia Opera Liquida. Non è casuale la scelta di uno spettacolo all’Istituto Beccaria o nel teatro del carcere di Opera, dato che Puntozero è una compagnia teatrale composta da detenuti e non, dell'Istituto Penale Minorile Beccaria, mentre Opera Liquida è una compagnia composta da detenuti ed ex detenuti della casa di reclusione di Opera. Non solo per quel che riguarda gli attori, ma anche per i tecnici audio e luci, gli scenografi, i costumisti. Eccetto per la regia che, per Extravagare è di Ivana Trettel(nella foto), curatrice anche della drammaturgia e per Antigone di Sofocle di Giuseppe Scutellà. Nel programma della rassegna, il 12 e 13 ottobre c’è stato il seminario Il metodo di Opera Liquida : un approccio artistico al teatro in carcere, condotto da Ivana Trettel, che dal 2008 si occupa di Opera Liquida da lei fondata, affiancata da Vittorio Mantovani storico attore della compagnia, ex detenuto. Il 24, 25, 26 ottobre si apre la terza edizione della Masterclass L’officina di Opera Liquida : un incrocio di sguardi tra teatro e accademia, che coinvolge oltre che Trettel, docenti universitari, docenti dei laboratori, quindi attori, formatori, costumisti e persone detenute partecipanti ai corsi, ed è aperta gratuitamente a studenti universitari, operatori e artisti. L’iscrizione alla Masterclass a numero chiuso si chiude domani. La rappresentazione di Antigone il 24 ottobre e di Extravagare il 25, entrambe nel teatro del carcere di Opera, sono invece aperte anche al pubblico esterno. E davvero vale la pena vederle, per il grande impegno e la professionalità delle due compagnie. E soprattutto per la comunicazione empatica. Per prenotazioni e biglietti, entro il 20 ottobre: www.operaliquida.org  

sabato 12 ottobre 2024

MEDEA, CHI E' ?



Quando si dice tragedia greca. Può arrivare alla massima espressione dei sentimenti, delle passioni, sia positive che negative. Non è semplice portarla in scena ora. Difficile gestire quegli eccessi senza cadere nel grottesco. Eppure è un “esercizio” che si continua a tentare. Perché nelle azioni commesse dai personaggi della tragedia c’è dietro un racconto di sentimenti e di passioni così profondo, che messo ben in evidenza può veramente diventare qualcosa di assoluto. E perdere quindi la classificazione di superato e fuori tempo. Questo è avvenuto  per Medea di Euripide, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, fino al 20 ottobre. 

Con la regia di Enzo Russo e la magistrale interpretazione di Romina Mondello nel ruolo di Medea (nella foto), per cui nel 2020 ha ottenuto il Premio Enriquez come Miglior Attrice. Ottima la recitazione anche dei personaggi a contorno, da Giasone alla nutrice, che accompagnano la cantante creando un coro fatto di suoni ma anche di gesti, battimani, studiati per fare entrare in un’atmosfera soffocante di trame, malintesi, false speranze, intrighi, fino alla spietata uccisione da parte di Medea dei suoi figli. Sul palcoscenico pochi elementi senza precisi connotati: forse una barca, dei bauli. Che aiutano a descrivere un mondo senza tempo, dove niente è sicuro e le certezze non esistono, e soprattutto non esiste un’unica verità. E’ un mostro Medea che, per castigare l’ex marito fragile e ingenuo, gli avvelena con l’inganno la futura moglie e uccide i figli avuti con lui?  O è una donna tradita e non tenuta in considerazione dal marito, ingrato, a cui gli ha fatto avere il prezioso Vello d’oro, che non vuole abbandonare i figli in mano a un uomo ambizioso e crudele? Una storia che potrebbe non essere così lontana da fatti di cronaca nera.

venerdì 11 ottobre 2024

TIRATI PER LA JACKETTA

Fa piacere che nel molto parlare di sostenibilità nella moda, ci siano delle proposte concrete e immediate. Da parte di chi, senza spacciarsi per “salvatore del pianeta”, dà un contributo alla causa e tiene viva l’attenzione sul tema.  Uno degli ultimi casi è quello di Jacketta, nuovo brand ideato da Priscilla Stecca, giovane e brillante professionista con al suo attivo una lunga esperienza nel settore sviluppo prodotto e comunicazione per marchi di lusso. In collezione solo blazer o meglio dire giacche, da cui il nome che mette insieme, con una nota di humour, l’idea di una giacca non impegnativa, appunto una "giacchetta", con l’inglese, “per una grafica comprensibile a livello internazionale”, spiega Priscilla (foto sotto).  



Le giacche sono realizzate su suo disegno con i resti dei tessuti di varie aziende che per le scarse dimensioni, al massimo 6 metri, non hanno più mercato. Sempre pregiati, come alpaca e cashmere, e sempre made in Italy. La giacca, chiamata Olivia, dal nome della figlia,  è realizzata, su ordinazione, in una ventina di giorni, in tre taglie e nei colori scelti dalla cliente, da tre sarte "a chilometro zero", perché in Umbria, dove Priscilla è nata e risiede. Esiste anche la variante con l’applicazione, al punto vita, di una banda di tessuto in contrasto , sempre proveniente dal recupero nella filiera. O di altri tessuti coloratissimi, che vengono dall’Africa e sono lavorati da donne. Per chi preferisce un flash di etnico. 

  

mercoledì 9 ottobre 2024

ANIMAL HOUSE

Cos’è il bike joring? Come si collega alla bicicletta? Il treibball  forse parla di palle o di palloni?  Certo canicross e dog scooter riguardano i cani, ma cosa sono? Per saperlo bisognava andare a Quattrozampe in Fiera, al Parco Esposizioni Novegro di Milano,  il 5 e il 6 ottobre "i due giorni pet friendly più famosi d’Italia”. Sono solo alcune delle discipline sportive riservate ai cani che si sono viste  nei 10 ettari di parco della fiera. Il bike joring e il dog scooter sono simili, solo che nel primo caso i cani trainano una bici con passeggero, nel secondo una moto. Il canicross, è intuibile, è una corsa campestre in cui cane e conduttore (in genere il padrone) corrono insieme. Quanto al treibball, che ha suscitato grande interesse, è una sfida tra cani che devono spingere i palloni attraverso una porta, guidati dai comandi del padrone. Le proposte non finiscono qui. 




Per i cani amanti dell’acqua c’è il disc dog, intuibile dal nome in cosa consiste o l'agonistico acqua dog. Per i meno sportivi (cani) che vogliono dar prova di ubbidienza c'è il classico mobility dog.  Nei quattro padiglioni della fiera, aperti ovviamente ai quattrozampe, solo se accompagnati, ci sono le proposte per sonno e riposo come le cucce in memory foam (cioè composte, come i materassi degli umani, di più strati per meglio adattarsi al corpo) o i tappetini in fibre naturali o con magneti per un effetto terapeutico e analgesico. Oltre a un campionario di oggetti e attrezzi per rendere piacevole, anche per il padrone, il viaggio in auto. Molto frequentata l’area destinata al Pet à Porter con tutte le proposte fashion per pelosi. Dai collari e i guinzagli ai cappotti di vario tipo, anche personalizzati per i più frivoli. Meno frivola la novità di questa edizione il Granny’s Pet Award Design, un concorso promosso da Quattrozampe in fiera  con il patrocinio dell’ADI (associazione per il Disegno industriale) che premia i progetti e le app pensate per migliorare il benessere degli anziani nella gestione di cani, gatti, conigli e altri animali domestici. 

venerdì 4 ottobre 2024

MOLTO PIU' DI UN RICORDO

Di spettacoli omaggio a Fabrizio De André ce ne sono stati svariati nei 25 anni che hanno seguito la sua morta prematura. L’amore scoppiò dappertutto in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego, dal 3 al 5 ottobre, ha sicuramente una connotazione più intensa, speciale. “Non per ricordarlo...ma per festeggiarlo... tra le parole e la musica, con nuovi pensieri e ricordi che creano un intreccio di emozioni tra il palco e la platea” così è scritto nella presentazione dello spettacolo, in questa versione, ideato e diretto dal direttore artistico del Teatro Menotti, Emilio Russo. E corrisponde al vero. 

                   
Sul palcoscenico Laura Marinoni, cantante e attrice di grande talento e presenza, nei total look di Antonio Marras, e l’ottima musica del Nidi Ensemble. Al pianoforte Alessandro Nidi, che ha curato gli arrangiamenti musicali, alle percussioni, davvero di ogni tipo, Sebastiano Nidi, al trombone e chitarra Filippo Nidi, alla fisarmonica e sax Andrea Coruzzi. Certo il centro dello spettacolo sono le canzoni di De André. Dalla mitica Bocca di rosa alle più sconosciute, da quelle in stretto genovese, incomprensibile ai più, a quelle in italiano con infiltrazioni di "genovese universale" o di inglese, dal tema politico e sociale all’amore di ogni tipo.  Con piccole intramezzi di parlato di Laura Marinoni. Mai spiegazioni o commenti, ma riflessioni derivate dalle canzoni, con tutto il carattere della spontaneità, rivelatrice di una profonda condivisione. Che si riflette nella partecipazione del pubblico, travolto dal ritmo, dall’entusiasmo, sicuramente dai ricordi che le canzoni, ma anche le parole, fanno emergere. Gli applausi dopo ogni pezzo sono sempre più fragorosi, al finale addirittura invitano gli artisti a ben due bis (foto di Laila Pozzo).


lunedì 23 settembre 2024

THE END


Si è chiusa la Milano Fashion Week con le proposte per la moda donna,
qualche flash per l’uomo e un po’ di genderless, per la primavera-estate del 2025. A porre la parola "fine", as usual, le sfilate in digitale, tra cui quelle di Chiara Boni con la Petite robe, di Jacob Cohen e di Husky con giubbotti e parka apparentemente classici, ma con linee e aggiunta di dettagli innovativi. Sempre più internazionale il pubblico, ma anche i brand che hanno presentato le loro creazioni.  Svariati quelli in gruppo di un Paese, supportati da Camera della moda, sia con presentazioni o sfilate nella Hub di Palazzo Giureconsulti, sia in location esterne.




 
Dai dieci coreani a Palazzo Isimbardi ai cinque di Seoul nella Hub, agli ungheresi della Budapest Selection, ormai habitué dell’appuntamento milanese, nella Casa degli Artisti di Corso Garibaldi (foto in alto). O ancora nell’ambito dei Black Carpet Awards "per celebrare i leader del cambiamento che promuovono l’inclusione nei campi della moda, dell’arte ..."si è aggiunto un premio speciale dedicato ai giovani creativi POC (People of Color). Nel caffé di Palazzo Reale, il Museo Munch, che ha fornito i dipinti in mostra fino a gennaio, ha presentato la prima Artist Edition progettata dall’artista norvegese Constance Tenvik, classe 1990 (seconda foto dall'alto). E’ una serie di foulard di seta e guanti ispirati alla commedia Gli Uccelli di Aristofane.  
A White, il salone nel Tortona Fashion District intitolato quest’anno Sign of the Times, delle oltre 300 aziende presenti più della metà erano straniere (nella foto al centro l'ingresso). Dal Sud Africa dieci designer, tra cui Maria Uys per Afrigarde con le straordinarie collane della sua Wearable Art. O i capi in tessuti e colori tipici, tutto made in South Africa,  di Abantu. Da Berlino, Prototype con pezzi classici come i blazer riveduti con brio in una scelta di colori a sorpresa. Tessuti di velluto di yak e tinture speciali e sostenibili, che richiamano il folklore tibetano, da Yid’Phrogma, uno degli espositori delle Secret Rooms che accolgono brand emergenti, frutto di accurato scouting. La sostenibilità è un tema dominante non solo all’White.  Nella Hub di Camera della Moda  svariati i giovani stilisti e i nuovi brand che la seguono. Da Pecora Nera che propone una maglieria particolare e vari accessori, tutti realizzati con materiali di riciclo, al brand franco-tunisino Chez nous.  Altro protagonista di questa settimana della moda l’artigianalità, il gusto per le lavorazioni particolari e per il recupero di quelle tradizionali. Molto ben in evidenza nelle collezioni del progetto Puglia Land of fashion ospitato a Palazzo Giureconsulti (nella foto un abito di Maria Elena Di Terlizzi). Insieme alla tendenza per capi che durano nel tempo, all’insegna quindi del rispetto per l’ambiente. Cura nei dettagli, ritorno alla sartorialità, con un occhio ben aperto a vestibilità e confort, quasi sempre identificabile con forme ampie e non costringenti.     


domenica 22 settembre 2024

LA DONNA CHE VERRA'

Un’esplosione di colori, piacevolmente "raddoppiata" dalla cornice di un piccolo, accogliente giardino. Cavia (nome di fantasia per raccontare la voglia di sperimentare)sceglie per presentare la collezione il dehors del ristorante Giacomo. Perfetta location, anche perché la designer Martina Boero si ispira alla vita di tutti i giorni e in particolare al momento della tavola. Ecco quindi il quadrettato delle tovaglie per il miniabito con ampio collo e la brassière da abbinare ai jeans, ma anche le stampe con i servizi da tavola della nonna (foto qui in basso). Grande uso dell’uncinetto  per la maglieria tutta in filati riciclati e con nastri a sorpresa. Ai piedi alcune modelle indossano  calzature create in collaborazione con Crocs con applicazioni di frutta e fiori. 




Come sempre da Hui, un habitué della Milano Fashion Week, la Cina incontra l’Europa, ed ecco la pulizia delle linee dell’Occidente per tessuti e stampe orientali e viceversa.  La camicia Oxford si sposa con il lungo mantello in seta con caratteri cinesi (foto al centro). La trasparenza (tendenza di stagione) è interrotta da ricami in 3D.  Top e bluse in tulle, con volants e applicazioni si accompagnano a jeans a zampa d’elefante. Tutto fresco e portabilissimo. Ancora un cinese in passerella in uno dei saloni della Stazione Centrale. E’ Septwolves, brand di Fujian nella Cina occidentale, nato nel 1990, che conta ben 1800 negozi e 500 corner. Amatissimo dall'attore Adrien Brody, da tre stagioni sfila a Milano con l’uomo e arriva questa volta con qualche uscita femminile. Per lui giubbotti, giacche, parka con cappuccio. Molto bianco, ma con stampe argentate. Sexy le proposte per lei: spencer asimmetrici, giacche corte con elastico a sottolineare la vita, gonne fascianti con spacco vertiginoso, abiti neri trasparenti illuminati da cristalli (foto in basso). Molti gli occhiali, produzione del brand, in acetato e titanio, anche a LED e luminosi.  In linea il face to face  moda cinese e moda italiana in Galleria Meravigli, seguito da show. Focus: come raccontare e comunicare lo stile cinese. Dalla Cina alla Palestina. Presentato oggi sotto il porticato di Palazzo Giureconsulti, hub di Camera della moda, Trashy Clothing, brand  palestinese dei due giovani direttori creativi Omar Braika e Shukri Lawrence. Per una vera  sostenibilità, utilizzano tessuti di scarto e campionature digitali per una moda che definiscono di “lusso anti-lusso”.  


sabato 21 settembre 2024

UN' ESTATE DI IDEE

Recuperare i capi di archivio con elementi che li aggiornino, apparentemente un’operazione semplice, in realtà possibile solo potendo contare su “contenuti” forti. Così la collezione di Curiel, che riutilizza vecchi modelli come l’abito con collo alla Audrey Hepburn,  ma in inediti colori pastello o la camicia in cotone rivisitata con un logo lucido. Notevole l'Atelier Collection, la capsule di Matteo Thiela che costruisce un abito sul manichino, facendoci girare intorno il filo. Il tutto rispettando perfettamente lo stile Curiel. Una lavorazione per pezzi unici che richiede un minimo di otto ore, davvero affascinante da vedere, oltre che nei risultati (foto qui sotto). In vendita a dicembre una piccola collezione "da ballerina" con capi da usare per la danza ma anche, dovutamente abbinati, per la sera. 



Arabesque nei suoi modelli evoca il Grand Tour, guarda ai broccati dei palazzi, introduce pizzi, rievoca  capi dell’archivio vintage. A Palazzo Isimbardi, con lo sfondo del magnifico giardino, dieci brand coreani presentano le loro creazioni. Proposte diverse tra loro, alcune genderless, ma tutte con un’ attenzione speciale alla sostenibilità. Dalle borse con accurate lavorazioni a mano alla maglieria rivisitazione di pezzi classici, a capi con stampe trompe l’oeil. Dagli abiti da sera alla semplice T-shirt ma sempre con qualcosa in più. Si chiama  Aurora Boreale il luxury beachwear per la prossima estate di Cristina Ferrari(foto sopra). E non è un nome di fantasia ma si riferisce a quei cristalli che impreziosiscono bikini, tute, abiti con sfaccettature tali da creare colorazioni cangianti, appunto l’effetto aurora boreale che quest’anno a maggio si è visto anche in Italia. Tulle elasticizzato, chiffon di seta, microfibre colorate i materiali, preziosi ma indistruttibili e a prova di tuffi marini. Nella Sala delle Cariatidi sfila J.Salinas brand del peruviano Jorge Luis Salinas, tra i più conosciuti internazionalmente della moda sudamericana. Noto per le lavorazioni artigianali come la maglia all’uncinetto per abiti, giacche, pantaloni, tute, da abbinare a gilé in pelle o top con maniche a palloncino. Colori solari:  arancione , rosa shocking, giallo, con flash di verde e azzurro. Vasta la collezione di Rodo presentata nel nuovo show room milanese. Tra le novità il denim, che si ritrova nelle sneakers senza lacci, nelle ballerine, nelle borse in accostamento alla pelle. Ma anche il vimini pied-de-poule per borse, sneakers , ballerine. Molti gli intrecci. Trasparenze e swaroski per impreziosire le clutch per la sera, ma non solo. “Borse con vista” si potrebbe definire la presentazione di De Marquet,  sulla terrazza al settimo piano dell’Hotel Milano Scala. Tre i modelli di punta, La Bonjour in vitello dalla linea pulita, piccola ma capace, con tracolla in alternativa, in diverse tonalità, tutte inedite, e le due borse a tracolla TwoTone e Outline in vitello e rafia e in vitello e velluto.