Parlare di internet, app, social, manipolazioni on
line, furbizie varie virtuali, non è più un modo per rinnovare la narrativa
gialla e non. E’ una conditio sine qua
non per essere contemporanei. Quindi
il fatto che Paolo Roversi riesca a sostenere duecento pagine e più piene di
delitti, investigazioni, colpi di scena basati per la maggior parte su
conoscenze del web e dintorni, non stupisce. Piuttosto stupisce che lo riesca a
fare senza forzature. O meglio che il racconto, infarcito di aspetti tecnici di
quel mondo, non risulti pesante e gratuito. Anche per chi è alfabetizzato il minimo sul settore. Forse perché, come ha detto Roversi alla
presentazione del suo ultimo libro Cartoline
dalla fine del mondo (Marsilio Farfalle), “La prima regola per scrivere dei
romanzi credibili è scrivere quello che conosci” e avendo fatto il cronista
alla Gazzetta di Mantova e nutrendo una passione per l’informatica, ha i
requisiti. Comunque il potere e le magie del web non sono la caratteristica
principale del romanzo. Il protagonista è il solito Enrico Radeschi,
giornalista e hacker, che ritorna a Milano dopo esserne stato via otto anni,
per sfuggire a una pesante minaccia di morte. L’antagonista omicida con cui si
deve confrontare è un altrettanto abile hacker, che agisce secondo un piano, in
qualche modo ispirato a Leonardo da Vinci. Alle sue opere, ma anche ai segreti
della sua vita. Fra droni e punture di strani serpenti si viene a scoprire una
Milano leonardesca sconosciuta. Come il vigneto o il cavallo alto più di sette metri, arrivato a Milano nel 1999, in pezzi da
comporre, dal Michigan e ora davanti al galoppatoio di S.Siro, disegnato dal
grande maestro. Anche se ogni tanto la narrazione sembra interrompersi per
queste note storiche, che ricordano un po’ le descrizioni di animali nei
romanzi di Salgari, non si avvertono stridori e stonature. Non sono inopportune,
non tanto perché incuriosiscono, quanto perché danno un ritmo diverso alla suspense. Aggiungono quel qualcosa in
più a una Milano che con i locali degli happy
hour o la Silicon valley del
quartiere cinese, sarebbe un po’ risaputa.
martedì 30 gennaio 2018
domenica 28 gennaio 2018
L'ALTRA FACCIA DELLA PROTESTA
Sono passati cinquant’anni eppure nella mente di
qualcuno c’è ancora l’idea che il ’68 sia stato un movimento di studenti, borghese e culturale, fine a se stesso, che
poco aveva a che fare con il mondo del lavoro. Fa piacere quindi sapere della mostra ’68 Altrove che tratta il ’68 in Sardegna. E che non parla quindi
di assemblee e cortei universitari, ma fa rivivere le rivolte dei pastori, dei
contadini, degli operai, scoppiate proprio in quell’anno. E’ da vedere a Milano
alla Galleria Expowall di via Curtatone, una galleria di fotografia aperta nel
2015, interessata all’architettura e alle tematiche
sociali. L’autore delle
immagini è Fausto Giaccone, che proprio nel‘68 decise di fare il fotografo,
nonostante o forse grazie a una laurea in architettura. Le foto, in bianco e nero, ritraggono
comizi e folle, dove accanto alle
facce di giovani e giovanissimi studenti, ci sono i volti maturi e segnati di
lavoratori e anziani. C’è l’
operaia in tuta immortalata nella protesta della Sir a Porto Torres. Ci sono cortei,
riunioni nei circoli, ma anche flash di gente per strada, che sembrano
riferirsi a una realtà di un secolo fa, come le donne vestite di nero per
l’uscita della domenica al braccio dei mariti che le esibiscono come un trofeo.
“Sorprende di Fausto la capacità di
cogliere in quei volti la tensione ad ascoltare, capire, parlare di come fare
tutti insieme…Non c’è rabbia in quei volti , e mai rassegnazione” scrive Marco
Delogu Direttore Italian Cultural Institute London nella brochure di
presentazione. Interessanti nella sala interna le foto di reportage, realizzate da
Giaccone, affiancate alle copertine
delle riviste su cui sono apparse, da
Astrolabio a l’Espresso, da Noi donne a Paris Match. Raccontano i guerriglieri
palestinesi in Giordania e gli studenti di Valle Giulia a Roma. Insieme alle
foto della Sardegna, a quelle del
terremoto del Belice in Sicilia, e a quelle del Cairo, dove Giaccone rimase alcune settimane per incontrare un gruppo della resistenza palestinese, fanno
parte di una mostra organizzata nel 2008 dal Comune di Noceto per
i quaranta anni del ’68. ‘ 68 Altrove è aperta
fino al 16 febbraio.
venerdì 26 gennaio 2018
RITRATTO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO
Quello che colpisce di più è
l’attualità delle tematiche. Lunga
giornata verso la notte, in prima nazionale da ieri al teatro Menotti di
Milano, è stata scritta da Eugene O’Neill nel 1956, ma l’approccio è straordinariamente
contemporaneo. Merito del testo certo,
dell’ottima recitazione, ma soprattutto della regia di
Arturo Cirillo che è anche attore. Tutto si svolge in una giornata, come
si evince dal titolo, in una casa nel Connecticut. Qui vive una famiglia della
media borghesia con padre alcolista, appunto Cirillo, attore mediocre, che comunque è
riuscito con il suo lavoro a diventare benestante, partendo da un’infanzia di
miseria, che rivela nella sua maniacale avarizia e nell’attaccamento morboso al
denaro. La madre, interpretata da Milvia Marigliano, è una donna che la perdita
di un bambino, morto piccolissimo. ha
portato alla dipendenza ormai incurabile dalla droga. E poi ci sono Rosario Lisma
e Riccardo Buffonini nei panni dei figli Jamie, alcolista anche lui, costretto dal padre a
fare l’attore e quindi frustrato ed Edmund gravemente malato. Tutti sono pronti
a nascondersi l’uno con l’altro gli enormi problemi, fingono un’armonia famigliare
a loro stessi, più che al mondo esterno che ignorano completamente. E poi basta una
parola pronunciata in modo diverso, piuttosto che una frase fraintesa, per
generare il dramma che davvero rivela punti di contatto con la tragedia greca. Eppure
il quadro che si ha davanti è di un realismo sconcertante, senza eccessi, e per
questo più disperato e intenso. L’orrore nell’apparente banale quotidianità diventa più spaventoso di qualsiasi violenza, stupro, incesto, assassinio. E l'idea dei quattro camerini di teatro, in cui si ritirano i quattro quando
escono di scena, è perfetta per smorzare i toni. Quel giocare su vita e finzione
permette di spingere al massimo sulla forza e la crudezza del dialogo, senza il
rischio di cadere nel drammone a effetto. Lo spettacolo a Milano fino al 4
febbraio, sarà a Napoli dall’8 all’11, a Catania dal 20 al 25, a Pistoia dal 2
al 4 marzo, a Taranto dal 6 al 7 , a Bisceglie il 9, a Trieste dal 14 al 18, a
Padova dal 21 al 25.
mercoledì 24 gennaio 2018
SEGRETI E MEMORIA
Non per essere ripetitivi o
polemici ma con la cultura non solo si può mangiare, ma addirittura fare
impresa. E’ quanto sostiene Edoardo Filippo Scarpellini amministratore delegato
di MilanoCard. E la sua non è un’affermazione programmatica, ma una constatazione.
Nata nel 2009, MilanoCard ha creato una tessera per l’offerta turistica di
Milano. Che significa, anche e soprattutto, arricchirla di nuovi contenuti
sempre più attraenti. “La nostra missione è rendere la bellezza contagiosa” dicono e nessuno slogan si adatta
meglio di questo alla loro attività. Tra le novità, in partenza sabato 27 gennaio, l’Archivio Storico e il Sepolcreto
della Ca’Granda: in pieno centro della città nell’Università degli Studi, uno
spazio di oltre tre chilometri che ricorda dieci secoli di storia. Progettato
come ampliamento dell’Ospedale Ca’Granda nel 1637 da Francesco Maria Richini,
l’Archivio raccoglie i documenti relativi all’ospedale dall’anno Mille a ora.
Dall’atto di fondazione del Duca Francesco Sforza, a varie pergamene, cartelle
cliniche, bolle papali, dalle donazioni dei benefattori, di cui una firmata da
Napoleone, alle lettere di personaggi come Leopardi, a testamenti e testi di
medicina. Le carte raccontano come Ca’ Granda non si limitava a curare i
poveri, ma dava loro da mangiare e si occupava di crescere i bambini
orfani. L’archivio funziona ancora ora
da sala riunioni per l’estate , essendo molto più fresca, rispetto a quella
vicina più raccolta e con boiserie alle pareti, utilizzata in inverno .
Straordinario il soffitto a volta con lunette, dipinto nel 1638 da Paolo
Antonio de’ Maestri detto il Volpino. E’ accanto alla seicentesca chiesa della
Beata Vergine Annunciata, con la Cripta sotto cui si trova il Sepolcreto. Qui
erano custoditi, con una degna sepoltura, i resti di circa 150mila pazienti
dell’ospedale. Il Percorso dei Segreti, così viene chiamato, si visita con una guida
in circa 50 minuti da martedì a venerdì
dalle 17 alle 22 e sabato e domenica dalle 15 alle 22. E già nella scelta degli orari, adatti per chi lavora,
s’intuisce la volontà di adeguarsi ai ritmi di vita contemporanei. Ma l’offerta non finisce qui, per settembre è
già programmata una visita particolare della quadreria con i ritratti dei
benefattori dipinti dai fratelli Induno, da Segantini, Previati, Sironi, Casorati,
Campigli, Tadini e altri. Non essendo possibile esporli tutti, si fanno
rivivere con performance di attori.
sabato 20 gennaio 2018
ROMANZA POPOLARE
Ogni tanto capita di vedere film o spettacoli
teatrali che avresti voluto durassero di più. Perché creano un’atmosfera,
una situazione che ti appassiona e in cui ti senti bene. La
Rosetta di Piazza Vetra, in scena allo Spazio Teatrale Dilà a Milano, è uno
di questi. Scritto da Delia Rimoldi, che è anche la regista oltre che una
tenera ed esuberante Rosetta, s’ispira alla storia vera di Elvira Andrezzi,
prostituta e cantante con il nome d’arte di Rosetta de Woltery, uccisa
giovanissima (non aveva ancora 18 anni) in circostanze misteriose. Sulla sua
vicenda sono state fatte e scritte dai giornali, e anche da Leonardo Sciascia, varie ipotesi, mentre resta una famosa canzone popolare, in diverse versioni,
tra cui una di Nanni Svampa e i Gufi e una di Milly, che racconta appunto il
funerale. Sul palcoscenico, a fianco di Rosetta spontanea fino ad apparire
goffa, dolce ma risoluta, golosa di liquirizia e pronta ad aiutare tutti, Claudio
Gaj nei panni dell’amico pianista con forte accento torinese, che vuole
guadagnare per pagarsi strane iniezioni per guarire dalla sua omosessualità e
farsi una famiglia. E ancora Davide Benecchi alla chitarra che parla in milanese stretto e Francesco
Tornar, un convincente Guido, negoziante padre di famiglia, innamorato da
sempre di Rosetta. L’ambiente è quello dell’osteria milanese, frequentato dalla
ligera, la malavita dal cuore d’oro,
ben tratteggiato oltre che dai dialoghi, dalle canzoni tipiche di quel mondo.
Che piacciono non solo a chi, nato alla metà del secolo scorso, le ha ascoltate
al Derby. Emerge una milanesità ignara del politically correct, che non ha
niente a vedere, però, con l’odierna leghista, becera e razzista. C’è l’amore e
la fierezza del proprio stato, senza pretesa di messaggi o retorica del
buonismo, che fa sorridere e commuove. A
ingrandire la scena, in un angolo, Simone Galimberti schizza i personaggi che vengono
proiettati sul grande schermo del fondale. Da vedere ancora stasera e domani. ( Nella foto Delia Rimoldi e Francesco Tornar).
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