martedì 3 dicembre 2024

LETTERE DI E A UN SEDUTTORE SPECIALE

I modi di viaggiare sono infiniti. E’ vero ed è scritto anche sul logo di Albeggi Edizioni. E quindi anche in copertina di La verità di Elvira. Puccini e l’amore egoista di Isabella Brega. In effetti per l’anno pucciniano nel centenario della morte del grande musicista, l’autrice ha pubblicato un’edizione speciale del suo libro, edito nel 2018, arricchendola di una ben congegnata guida di luoghi pucciniani della Versilia e della Lucchesia. Ma non è certo per questa aggiunta, per quanto interessante e ben documentata, che il libro merita una lettura attenta. 


La formula, infatti, è particolarmente incuriosente, si presta a considerazioni e riflessioni sul personaggio. E’ in forma di epistolario: una ventina di lettere, alcune scritte da Puccini, svariate dalla moglie Elvira e dalla sorella (di Puccini) Ramelde, una dalle amiche, forse amanti, Sybil e Josephine von Steigel, una dalla figliastra Fosca. Alcune sono autentiche reinterpretate, altre frutto di fantasia, ma sempre su basi veritiere. L’unico uomo nella corrispondenza è lui, il Maestro, e questo la dice lunga sul suo rapporto con le donne. Capace di forti passioni e gran seduttore, ma assolutamente inaffidabile, donnaiolo irriducibile, gaudente smodato e seriale. In tutte le sue "maschilistiche debolezze" appare soprattutto nelle lettere di e a Elvira, per certi aspetti donna gelosa, vendicativa, disprezzata dai più, famiglia di lui compresa, massacrata dai critici,  eppure determinante nella vita e nella carriera di Puccini. Anche se sempre tenuta nell’ombra. Completano il libro un’intervista alla famosa soprano bulgara, da moltissimi anni in Italia, Raina Kabaivanska, e alla nipote ed erede Simonetta Puccini, figlia naturale di Antonio, unico figlio di Elvira e Giacomo, morta nel 1917.

venerdì 29 novembre 2024

IL SOGNO E' IN SCENA

Stilizzati ballerini compaiono sul palcoscenico, apparentemente sono nudi, ma di una nudità non provocante, eterea. In realtà indossano attillate tute color carne. Si fa fatica a distinguerne il sesso.  A sorpresa, a poco a poco, perdono peso e consistenza e si librano verso l’alto. Sul palcoscenico restano i loro corpi distesi, abbandonati come inutili fardelli. Dopo un po’ di tempo si scopre che non sono immobili, muoiono braccia e gambe, con eleganza e ritmo. Sono i cinque ballerini che, riflessi in un enorme specchio inclinato, diventano le creature volanti. Non a caso lo spettacolo s'intitola Fellini Dream e la compagnia No Gravity . Ed è in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego fino al 1° dicembre. 


I danzatori, che sembrano “sfidare le leggi gravitazionali”, sono la Compagnia di Danza di Emiliano Pellisari , che cura le scene, i costumi, le luci, importantissime, e ovviamente la straordinaria coreografia, insieme a Mariana Porceddu, in arte Mariana/P, che è anche la prima ballerina. E’ lei al centro di questo sogno felliniano, ribadito dalle musiche di Nino Rota. Oltre che da continui riferimenti, più o meno forti, alla creatività del grande regista. Come le strane suore che circondano la protagonista e all’improvviso spiccano il volo e diventano farfalle. O i cerchi formati dai ballerini ed enfatizzati da mantelli, che si muovono come nuvole, i palloncini, gli ombrelli. O ancora il pagliaccio bianco vestito con il surreale cappello a cono. Tutti “freschi” del sogno da cui sono usciti. L’incantesimo continua, forse un po’trascinato. E non perché si rompe la magia, che all’inizio davvero sorprende e affascina. 

domenica 24 novembre 2024

COME METTERSI ALL' OPERA

Si segue con attenzione e si ride spesso. Ma far ridere non è la finalità e l’obiettivo primario di L’opera da 4 soldi in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano da venerdì scorso al 1° dicembre. Anche se il titolo potrebbe creare qualche dubbio in proposito e il sottotitolo ovvero come avrei fatto l’Opera da 3 soldi se avessi avuto i soldi per fare l’Opera da 3 soldi, confermare solidamente il carattere farsesco. Scrive nelle note Massimiliano Loizzi, che dello spettacolo è autore oltre che regista e unico interprete: “Avrei potuto chiamarla L’Opera del migrante evocando quell’Opera del mendicante di John Gay (poeta e drammaturgo britannico del 1700), da cui il capolavoro di Brecht fu tratto... raccontare un universo brulicante di miseria e dolore, con la maschera dell’intrattenimento e della satira”.



Certo la partenza è quella e cioè una storia ambientata nei bassifondi di Londra con mendicanti, delinquenti, tra rapine, prostituzione, ma anche amori. In realtà è un provocatorio attacco alla società capitalista e al mondo borghese, responsabile delle miserie del proletariato. Proprio come nell’opera brechtiana Loizzi al parlare alterna il canto, spesso supportato da scritte che compaiono sullo schermo-sfondo del palcoscenico. In un mix di melodramma e commedia. Dove i personaggi citati, e che ogni tanto si sostituiscono a quelli voluti da Bertolt Brecht, sono i nostri politici, sbeffeggiati ma assolutamente aderenti ai veri personaggi per l’insulso frasario. Ogni tanto Loizzi coinvolge il pubblico, ma senza insistenza disturbante.  Scherza con qualcuno perché sembra non capire, chiede l’applauso, cammina fra le poltrone. Le sue battute sono veloci alle volte anche troppo, tanto da non riuscire ad afferrarle prima della risata del pubblico. La satira c’è ed è forte, riuscita, ma senza mai arrivare alla presunzione di voler lanciare dei messaggi.

giovedì 21 novembre 2024

LA VITA E' UN ROMANZO. DAVVERO.

Che il suo libro potesse dare, attraverso il racconto della sua vita, un’esauriente e dettagliata visione del "periodo storico", non se ne dubitava. La scrittura chiara e ben articolata, senza concessioni a frasi fatte e retorica descrittiva si immaginava. Ma che Gisella. Volevo essere felice di Gisella Borioli Lucchini, "prendesse" come un romanzo, addirittura un thriller dalla trama ben congegnata, è stata una sorpresa. La trama non c’è, almeno nel senso tradizionale, ma c’è qualcosa che funziona in modo altrettanto efficace ed è il sentimento che gioca da filo conduttore. Sentimento che va dalla timidezza, e al saperla vincere, all’affetto incondizionato per la famiglia, dal grande amore fatto di attese, insegnamenti e batticuori per il marito Flavio Lucchini alla passione per il lavoro, tale da far superare la paura di mettersi in gioco. 



Ne viene fuori una Gisella personaggio. Senza mai percepire autoreferenzialità, nemmeno nelle descrizioni delle più avventurose imprese editoriali e del loro successo. Questo poteva già apparire alla presentazione del libro, un piacevole incontro, con un "Amarcord" di persone che hanno condiviso parte della vita, ma soprattutto del lavoro di Borioli, nel grande salone del FLA (FlavioLucchiniArtMuseum) al Superstudio Più. Ma un conto è la parola, che può essere smorzata, mitigata, addirittura ironizzata con un sorriso in più, un’esitazione, una pausa al punto giusto, un conto è la scrittura, ferma, immobile che non permette, né promette interpretazioni diverse. L’intenzione di Borioli di non cadere nella trappola dell’autocelebrazione e nella retorica, perfettamente mantenuta, forse è già espressa in quelle sei righe sotto il titolo: "Gioie e dolori, amori e tradimenti, successi e sconfitte, sogni e bisogni (titolo di una rubrica di Donna, mensile fondato e diretto dai Lucchini).Il turbolento mondo della moda nel sottofondo. Ogni vita è un romanzo. Questa è la mia".  A completare il tutto la prefazione di Andrée Ruth Shammah, (regista e direttrice di teatro a cui Borioli è legata da molte iniziative comuni) e svariate foto dei fotografi che hanno ruotato intorno alla coppia, tra cui  quella in copertina del matrimonio, firmata Oliviero Toscani. Dal libro si riesce anche a capire, non a condividere certo, come qualcuno per "invidiosa debolezza" abbia tentato di sfumare o anche di cancellare, i personaggi Lucchini e Borioli, dalla storia dell’editoria di moda e non solo.

martedì 19 novembre 2024

OLTRE IL GIARDINO

Il libro s’intitola Il giardino delle delizie e il suo autore è un architetto. Immediato pensare che si tratti di un architetto di giardini. E invece no. Ugo La Pietra è anche un editor, un musicista, un fumettista, un pittore, un cineasta, ma nella progettazione non tratta giardini.  Li tratta d’artista, nel senso che oltre ad aver scritto  altri libri sui giardini, li studia, li dipinge, li disegna. E nella mostra, aperta alla Galleria Paula Seegy a Milano fino al 30 novembre,  si trovano ben 27 delle sue opere in gran parte inedite, tra acrilici su tela, su legno, su carta, oltre a un album di disegni. Ma dietro a questi lavori c’è tutto un pensiero che La Pietra ha ben espresso ieri alla presentazione del libro in galleria. 




Ha parlato di urbanistica, di natura, di artificio. Perché il giardino è espressione del rapporto tra natura e struttura e dal punto di vista artistico nei giardini si fondono l’arte concettuale e la spettacolarità, due correnti artistiche che lo stesso La Pietra ha attraversato o comunque ne è venuto a contatto. Nei suoi dipinti si percepisce l’amore per i giardini “meta di riposo psicofisico, luogo dove coltivare  …spettacolarità e concettualità”, “spazio organizzato per il piacere”, “espressione del superfluo”, “sinonimo di paradiso”. Da cui la serie Il giardino delle delizie.  Ma anche l’incontro tra struttura e natura : è il caso dell’affascinante serie Gazebo (foto in basso). Nel libro scrive di fare attenzione al rapporto architettura-natura perché con il tempo vince la natura. Il suo discorso si "allarga", passa dal parlare del giardino come luogo di rifugio e contemplazione ai gazebi come luoghi di decompressione che nelle città potrebbero offrire un rimedio all’inquinamento acustico e atmosferico. 
 Evidenzia come in Italia, a differenza dei paesi soprattutto del nord, non ci siano parchi urbani. Un filo poetico aleggia su tutto. Riporta frasi come quella di Gilles Clément (botanico, paesaggista, entomologo che da anni conduce esperimenti nel suo giardino nella Nuova Aquitania, in Francia):"...il giardino sembra il solo e unico territorio d’incontro tra l’uomo e la natura, dove il sogno sia autorizzato". E osservando i suoi quadri il sogno continua. In linea ed esaustiva la prefazione del libro di Manuel Orazi.  

venerdì 15 novembre 2024

QUEL PASTICCIACCIO BELLO

Un umorismo raffinato, inedito, con riferimenti colti d’attualità e non, capace di scatenare risate irrefrenabili, che riesce a tenere la scena per un‘ora e mezza, senza un momento di cedimento. Questo è Fantasista!-A comedy pastichaccio (sì proprio scritto così) per la prima volta a Milano, al Teatro della Cooperativa fino al 17 novembre. In scena con un leggio, che guarda di tanto in tanto, Alessandro Ciacci (classe 1989) che del monologo è autore, regista oltre che unico attore. Come lui stesso scrive nelle note di regia è uno "show fluido" in cui “lo spettatore non assisterà a nulla di canonico, di ortodosso…un happening in cui le risate saranno provocate da un’imponente dose di follia”.

E qualcosa già affiora in quel sottotitolo : menippeo q.b. & con uso di paillettes. Ciacci parla di tutto, dall’autobiografico incontro con la sua maestra d’asilo, alla proposta della fidanzata Laura di una costosissima passeggiata nel bosco per sentire il bramito di un cervo. Con intervalli, in stile pubblicità del vecchio Carosello, revocato dalla musica. In un mix, spiega Ciacci, di Monthy Python e Woody Allen, si pubblicizza anche una bara. Niente è prevedibile, niente è scontato. Così tanto che se ci si distrae un attimo si rischia di perdere il filo. E si finisce per guardare invidiosi il vicino di poltrona che ride a crepapelle. Lo spirito critico c’è, si sente, ma non è dominante e comunque non è il filo conduttore. Ci sono dei bersagli, ma accennati, da intuire. Interattiva l’ultimissima parte in cui l'attore chiede al pubblico di scegliere tra due proposte per una serie di "cose", assolutamente surreali.

giovedì 14 novembre 2024

QUELLO CHE CONTA E' L'IMPRESSIONE

Il film Pissarro. Il padre dell’impressionismo, diretto da David Bickerstaff, già come è strutturato dice molto della pittura dell’  artista. Quale altro film biografico potrebbe essere fatto solo con dipinti del pittore, alternati da qualche altro non suo e dai commenti di direttori di museo e curatori di mostre? Il suo tipo di pittura, come lo stesso Pissarro afferma, non porta sulla tela persone, natura, case, come sono, ma ne riporta l’impressione che possono dare e che gli hanno dato. Da cui il nome Impressionismo. E come tali in questo senso già parlano di lui, del suo modo di vedere il mondo intorno, perché le sue opere sono tutte dipinte dal vero.  




E'particolare la sua visione di un bosco, della campagna francese, di un boulevard parigino ma anche delle persone.  Attraverso le contadine intorno all’albero (nella foto del manifesto) riesce a trasmettere il senso del lavoro duro, della fatica quotidiana, più che farne dei ritratti.  Nella donna "che si bagna i piedi" si percepisce la freschezza dell’acqua,  oltre a una certa sensualità. Nel ritratto della figlia morta a otto anni, con in braccio la bambola si avverte il dolore di un padre che conosce il tragico destino della sua bambina. Il film mette ben in evidenza la forza della pittura di Pissarro, il suo essere stato avanti nei tempi e quindi le difficoltà a essere capito. Molto di questo artista Bickerstaff l'ha ricavato dalle lettere intime scritte agli amici, conservate presso l’archivio dell’Università di Parigi, ma anche nell’archivio dell’Ashmolean di Oxford, primo museo pubblico del Regno Unito e della retrospettiva dedicata a Pissarro in quattro decenni.  Il film che fa parte della Grande Arte al Cinema , distribuito in esclusiva per l’Italia da Nexo Studios con i partner Radio Capital, Sky Arte, My Movies, sarà nei cinema solo il 19 e 20 novembre.