martedì 16 settembre 2025

SACRO E PROFANO, MA NON TROPPO

Molto interessante e decisamente particolare la mostra Innesti 25, giunta alla quinta edizione.  Curata da Luigi Codemo è organizzata dalla raccolta museale GASC Galleria d’Arte Sacra Contemporanea  e da Isorropia Homegallery e si tiene, come sempre, a Villa Clerici, nel quartiere milanese di Niguarda, dal 18 settembre al 19 ottobre. Nelle sale del palazzo-museo sono esposte, accanto alle sculture e ai dipinti della collezione permanente di soggetto sacro, le opere di quattro artisti contemporanei. Queste dialogano con quelle sempre presenti, non necessariamente su temi sacri, ma cogliendone delle sfaccettature e “facendo immergere diverse modalità di percepire, teorizzare e dare corpo all’esperienza del sacro”.





Milena Sgambato
racconta una sua versione del Vangelo, dove le figure sono reali, attuali e come svuotate della sacralità (foto al centro)
. Piermario Dorigatti con i colori e le luci descrive un mondo attraente e inquietante nello stesso tempo (foto in alto). Luca Coser trasforma figure della tradizione in presenze fragili e sfuggenti, anche lui privilegiando i colori forti. Leone Ragno, più degli altri, affronta direttamente temi come la Crocifissione, la Deposizione e la Resurrezione, ma in dissolvenza,  fino a farli diventare quasi esclusivamente delle linee in toni sfumati.  Una mostra con spunti interessanti e coinvolgenti, quindi, che dà l’occasione di vedere opere, soprattutto di scultura, di grandi artisti come  Francesco Messina, Floriano Bodini, Pericle Fazzini. In una cornice privilegiata come Villa Clerici. Costruita  nella prima metà del 1700  come "villa di delizia"  dall’omonima famiglia milanese, appare improvvisa in una viuzza dietro un enorme cancello. Con un perfetto giardino all’italiana sul davanti e un vasto parco sul retro con anfiteatro, dove nella bella stagione vengono organizzati concerti di musica classica.


lunedì 15 settembre 2025

OLTRE IL GIARDINO

Non è la motivazione unica e neanche la principale per vedere Under the sun, beyond the skin con le opere di Sara Enrico. Ma di sicuro non è una motivazione da scartare poter visitare il parco forse più bello e curato di Milano, senza avere un bambino con sé. La mostra che fa parte della Furla Series, infatti, apre al pubblico domani nel fascinoso giardino della Villa Reale, davanti alla Galleria d’arte contemporanea, dove l’ingresso è consentito solo agli adulti accompagnati da un bambino. 

  

 


 

Questa premessa a parte, il giardino gioca un ruolo determinante, essendo quello dove l'artista Sara Enric
o, biellese classe 1979, ha realizzato il suo  progetto site-specific. Non solo lo spazio intorno alla villa, come ha spiegato la curatrice della mostra Bruna Roccasalva, è stato di grande ispirazione, ma è il punto di partenza di un dialogo tra passato e presente. E' una riflessione sull'incontro  tra contemporaneo e storia, tra natura e artificio e soprattutto vede uniti e in completa sinergia elementi culturali ed elementi naturali. Ed ecco quindi, sulla terrazza all’ingresso, The jumpsuit Theme elementi in cemento e pigmento ispirati alla tuta del futurista Thayaht, che creano figure antropomorfe relazionate con la facciata della villa (foto in alto). Nel grande prato davanti, dove passeggiano indifferenti alla gente i cigni del laghetto, ci sono i 23 elementi geometrici di Beyond the skin in gommapiuma e tessuto poliestere dai colori vivaci, dove l’effetto della luce è fondamentale. Il percorso continua con i frammenti del tronco di un bagolaro, un enorme albero caduto nella tempesta dell’estate 2023. L’artista con colorati elementi in ferro  restituisce loro una nuova vita. Quasi nascosto nel folto degli alberi ecco il Tempietto dell’Amore dove è installata un’altra scultura della serie Jumpsuit Theme. Il giro si conclude con Bodiless Observer , una metafora del toccare con gli occhi, con due opere a forma circolare e concava in vetro e cemento, “come l’involucro di un corpo che non c’è più”. La mostra chiude il 14 dicembre. 



venerdì 12 settembre 2025

IL PITTORE RITROVATO

Non capita spesso che un italiano sia molto stimato all’estero e poco conosciuto in Italia. Specie se si tratta di un pittore che ha affrescato un’intera chiesa in un paese non cattolico. Stiamo parlando di Antonio Moscheni, gesuita missionario, nato a Stezzano, piccolo paese vicino a Bergamo, nel 1854 e di Mangalore, città nel sud dell’India nota per i suoi collegi. Tra cui quello di Sant'Aloysius (foto in basso) dove si trova la cappella di S.Luigi Gonzaga con gli affreschi, per cui Moscheni è stato chiamato il Michelangelo Indiano



Ma il nome è solo uno dei riconoscimenti che gli sono stati tributati, tra cui il francobollo con un suo quadro stampato dal Governo Indiano . Nato in una famiglia benestante, Moscheni rivela subito il suo talento tanto da essere mandato all’Accademia Carrara di Bergamo, dove rimane qualche anno prima di andare a Roma per studiare i capolavori del Vaticano.  A 35 anni, con all’attivo varie opere nelle chiese del Bergamasco, entra nella Compagnia di Gesù prima da laico, poi da novizio.  Nel 1898 inizia l’avventura indiana con l’incarico di dipingere la cappella del collegio di Mangalore. Muore nel 1905 a soli 49 anni, a Kochi, qualche giorno prima dell’apertura ufficiale della Cattedrale da lui affrescata. Secondo le testimonianze per la fatica e le condizioni climatiche terribili. Una storia affascinante da cui emerge un personaggio speciale, non solo dal punto di vista artistico, ma soprattutto umano. Questo ha messo ben in evidenza il docufilm Antonio Moscheni il Michelangelo indiano, realizzato dalla giornalista Silvana Rizzi (foto al centro,  nella cappella) lontana parente del pittore e presentato a Milano, Forte dei Marmi e ultimamente a Stezzano. Proprio nella casa dove Moscheni è nato e ha vissuto da giovanissimo (foto in alto). Dove vivevano le sorelle a cui dall’India spediva lettere raccontando la sua esperienza, come si apprende nel docufilm. E dove si possono vedere, dopo il sapiente restauro, gli affreschi dell’artista dal tratto riconoscibile nei fiori, nei volti dei piccoli putti, nella scelta dei colori (in alto a sinistra).


mercoledì 10 settembre 2025

DITELO CON I FIORI

Una collezione per l’autunno inverno 2025, già nei negozi, presentata ieri a Milano, dove tutto il popolo della moda scalpita nell'attesa delle collezioni per la prossima primavera-estate che saranno sulle passerelle dal 23 al 29 settembre. Questa non è l’unica particolarità dell’evento di Emé, marchio fondato nel 1961 a Castiglione delle Stiviere con il nome di Atélier Aimée. Con più di 50 boutique e una specializzazione sulla sposa. 




L’altra “particolarità” riguarda la scelta della location: il Mercato Floricolo nell’area dei mercati milanesi. Non solo i fiori rimandano quasi immediatamente all’estate, ma dal titolo della collezione Il giardino di Emé  si immagina che i fiori siano il filo conduttore,  negli stampati, nei tagli, nei dettagli, nei colori. Invece niente di tutto questo, il giardino e quindi anche i fiori sono una metafora dell’attenzione alla bellezza, “che nasce dall’incontro dalla relazione e dalla condivisione”. Una collezione  che guarda al futuro “interpretando le esigenze della donna contemporanea… capi versatili curati nei dettagli per vivere al meglio ogni occasione…” spiega la direttrice creativa  Silvia Falconi. Sempre conservando quello stile e quella sensualità, mai banale.  Non a caso la musa ispiratrice è Tamara de Lempicka, icona dell’Art Déco,  di cui si ritrovano spunti nelle geometrie e nelle tonalità profonde, ma soprattutto nella sensualità e in un anticonformismo, precorritore dei tempi. Quindi non solo più abiti da matrimonio o per eventi speciali, ma da indossare anche di giorno. Complice della fascinazione la cornice, un vero mercato dei fiori all'ingrosso aperto al pubblico da lunedì al venerdì, dalle 10 alle 12,30.


venerdì 5 settembre 2025

IL MONDO ALL' OMBRA DEL VESUVIO


Si apre domani, 6 settembre, e si chiude il 5 ottobre Ethnos, festival internazionale della world music. Può sembrare uno dei tanti eventi di fine estate. Ma non è così. A cominciare dalla location "diversificata": otto comuni "all’ombra del Vesuvio", da Napoli a San Giorgio a Cremano, da Ercolano a Torre del Greco, da Castellammare di Stabia a Boscotrecase e Boscoreale, a Portici. Poi, non certo trascurabile, il fatto di essere alla sua 30° edizione, e di avere ospitato 500 concerti, quasi 500mila spettatori, 3mila artisti di cinque continenti, tra i quali Miriam Makeba, Gilberto Gil, Ryuichi Sakamoto, Tahar Ben Jelloun, gli Inti Illimani




Ma non sono i numeri, seppure interessanti, a rendere particolare e unico questo festival. Sono gli eventi in cartellone,  che spaziano dalla musica alla danza, all'arte, al cinema fino a incontri e workshop con artisti provenienti da ben 18 paesi. Tutti con un preciso obiettivo, da sempre lo stesso: “Storie e progetti musicali declinati attraverso le tematiche di resistenza, diversità, territorio, comunità e generazioni, senza mai cedere alle mode del momento” spiega Gigi di Luca ideatore e da trent’anni direttore artistico di Ethnos (nella foto in basso). A confermarlo l’inaugurazione nel parco di Villa Bruno a San Giorgio a Cremano con, dopo il suo talk celebrativo, il concerto del gruppo Ndima. Si tratta di cantanti, danzatori, musicisti della tribù dei pigmei Aka, che vivono nel villaggio congolese di Kombola (foto in alto). Ad anticiparlo una performance di body painting, un workshop di danza africana e il dj set Sangennarobar con Dario Cervo. Attesi, tra gli altri, dal Ghana il supergruppo Santrofi, dall’Ungheria il quintetto Sondorgo, dall’Argentina la musicista Luciana Elizono. Non mancano gli italiani "territorialmente connotati" come il gruppo ciociaro I trillanti, il polistrumentista calabrese Davide Ambrogio, il canto sardo di Cuncordu.  Novità di quest’anno il cinema, con la proiezione di tre cult: The Silence del regista e produttore iraniano Mohsen Makhmalbaf, Soundtrack to a Coup d’Etat, il documentario sull’episodio dei musicisti americani nella Guerra Fredda di Johan Grimonprez e Buena Vista Social Club di Wim Wenders.

Organizzata da La Bazzarra di Gigi di Luca, l’edizione 2025 del Festival è promossa e finanziata da Ministero della cultura, Nuovo Imaie, Ente Parco Nazionale del Vesuvio, con il patrocino della Città metropolitana di Napoli e la collaborazione del dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli.Per informazioni e contatti: www.festivalethnos.it

 

mercoledì 3 settembre 2025

FAB FOUR FOREVER

Aperta alle Gallerie d’Italia di Milano il 24 giugno, chiude questa domenica la mostra Tutti pazzi per i Beatles. Il concerto del 1965 a Milano nelle fotografie di Publifoto.  Ed è un peccato perché non è solo un’esposizione d’immagini, ma documenta un periodo importante e non soltanto per la musica. Le foto, scelte tra le oltre 500 scattate da ben sette fotografi della Publifoto, non rievocano solo quel concerto del 24 giugno di sessant’anni fa al Vigorelli di Milano, primo di una tournée che proseguiva a Genova e Roma, e che fu l’unica in Italia dei Fab Four. Le immagini, corredate da eloquenti cartelloni con testi, rivelano come l’evento segnò davvero un’epoca. 





In qualche modo fu un piccolo inizio pacifico di quella rivoluzione che doveva scatenarsi nell’Occidente, ma soprattutto in Europa tre anni dopo. I Beatles, infatti, con le loro canzoni assolutamente fuori dagli schemi hanno contribuito a dare il via a una "nuova libertà". Con un messaggio, recepito dai giovani, che incitava a credere nei propri obiettivi, a saper scegliere, soprattutto a non omologarsi. Non a caso i Fab Four sono stati immediatamente idolatrati dagli under 30, ma non capiti o addirittura criticati dagli over 30, che giudicavano il loro successo un fenomeno effimero, destinato a spegnersi nel giro di pochi mesi. Come ricordano i cartelloni con testi che riportano i titoli dei quotidiani di quel giorno, piuttosto che le interviste a personaggi noti. Quasi in contrasto con le foto che raccontano l’entusiasmo dei fans, non solo durante il concerto, ma all’arrivo dei Beatles in treno da Lione, al passaggio in auto stipati in una spider Alfa Romeo, per un contrattempo dell’ultimo momento. O i quattro, sorridenti e divertiti. sulla terrazza dell’Hotel Duomo, con le guglie della cattedrale a far da sfondo.  

martedì 26 agosto 2025

IL MISTERO DELLA CASA SULL' AUTOSTRADA

Fino a qualche anno fa era impossibile non notarla, superata l’uscita Serravalle sull’autostrada Milano-Genova.  Ora la casa s’intravvede appena, circondata o meglio soffocata in una spessa cortina di alberi. Colpiva e colpisce ancora, per quello che si riesce a vedere, per la forma da piccolo castello con torretta, come se ne vedono molti nel New England, e qualcuno, copiato, nell’entroterra ligure per la villeggiatura della Genova-bene di un secolo fa. 




Questa costruzione, in particolare, per i suoi colori cupi, le persiane rotte, l’aria abbandonata, i muri sgretolati, ricorda la casa di Norman Bates-Anthony Perkins di Psycho (ora uno dei “pezzi” più interessanti e visitati degli Universal Studios di Hollywood). Ogni tanto su uno dei balconi si notava un cartello Vendesi, che scompariva dopo qualche mese per riapparire di nuovo, senza che niente cambiasse. Sulle ringhiere si vedevano stesi ad asciugare dei calzini di lana spessa, con l’aria di essere lì da giorni, dimenticati. Sempre grigi, neri, sfilacciati e lisi.  "A chi appartengono? La casa è stata venduta? Ma allora ci vive qualcuno? Saranno occupanti abusivi?" Era normale porsi quelle domande. Forse la casa era stata venduta, ma il cartello continuava a esserci e non si vedevano tracce d’inizio lavori. Ma ripensandoci, chi avrebbe potuto comprare una villa, praticamente sulla curva di un’autostrada molto trafficata, da ristrutturare da cima a fondo con un costo non certo indifferente, date le dimensioni e lo stato dell’edificio. Da più di un anno, il cartello Vendesi è scomparso, non si vedono più calzini stesi, e la casa è sempre più in rovina. Circola voce che se ne voglia fare un museo delle autostrade. Anche per ricordare che quella è la prima autostrada italiana, chiamata Camionale. Con video, foto, filmati e sicuramente la possibilità di gustare "il vero rumore". Ma forse è solo una fake news.