sabato 15 novembre 2025

VIVA CENERENTOLA !

E’ una delle rare occasioni in cui si può dire che il teatro, inteso come palcoscenico, è davvero insostituibile. Nessun filmato o video potrebbe dare quelle sensazioni e infondere una tale massiccia dose di buon umore come Cenerentola dei Chicos Mambo in prima milanese al Teatro Menotti, purtroppo solo fino a domani. Ideata e coregrafata da Philippe Lafeuille, artista ecclettico e multidisciplinare con interpretazioni in balletti accanto a Madonna e Nurejev, porta sulla scena, come dice la locandina, una versione ecologica della celebre fiaba di Charles Perrault






Non aspettatevi graziose biondine, eleganti principi vestiti d’azzurro, zucche-carrozze, topini trasformati in cavalli e neanche una scalinata su cui perdere una scarpetta. Ma sacchi di plastica nera, alcuni vuoti, altri da cui sbuca a sorpresa qualcuno, bottiglie di plastica accatastate o a formare cappelli, bottiglioni grandi da impilare e poi sei straordinari ballerini, tutti uomini in tutine da intimo. Per un’ora si muovono in acrobatiche evoluzioni, leggeri come foglie al vento, anche su una bici a una sola ruota. Diventando di volta in volta la perfida matrigna con gonnellona e turbante di sacchi neri, le sorellastre legate da una corda di plastica, Cenerentola con uno straccio da lavare che funge da capelli, il Principe Azzurro, che di azzurro non ha niente, anzi porta un vistoso cappello fatto di bottiglie, ovviamente di plastica, rosse. Il tutto sempre accompagnato dalla musica suadente del balletto Cenerentola di Prokofiev. I riferimenti alla fiaba sono spesso lontani, indecifrabili, ogni tanto invece vicinissimi come la ricerca del piedino per la minuscola scarpetta, che per l’occasione è un sacchetto di plastica, in cui uomini maldestri cercano di infilare, senza successo, i loro piedoni. L’ironia è il vero filo conduttore, sempre giocata con eleganza, senza mai neanche un lampo di grezza comicità. Frequenti, invece, i momenti poetici non assolutamente in contrasto. Come la pioggia di pezzetti di plastica nella scena finale o il mantello di Cenerentola anch’esso fatto di plastica variopinta, trascinato a formare un tappeto. 


mercoledì 12 novembre 2025

100% LINO

Si chiama Lino, non se ne conosce il cognome. Non alto, anzi decisamente basso ma con un fisico atletico. Bruno, brizzolato, emana un fascino di cui è visibilmente conscio. Sempre elegantissimo, specie in inverno quando indossa morbidi pullover e trench in tweed di marca inglese che alterna a piumoni in colori insoliti, per le occasioni informali. 



Si accompagna a Ifa, una bella irlandese, alta e molto chic, con qualche anno più di lui, tanto che i maligni insinuano che lui sia il suo toy boy o addirittura il suo badante. C’è chi dice che sia stata una modella, chi un’atleta con un passato olimpionico. Lino non parla mai di sé, né di quello che fa, non partecipa alle conversazioni di gruppo, ma è sempre attento a ciò che succede intorno. Qualcuno, dato l’alto tenore di vita e certi atteggiamenti da boss non sufficientemente nascosti, propende per una sua appartenenza alla mafia messicana. Una tesi avvalorata dal fatto che da qualche tempo, oltre la spagnola, lo accompagna una biondina graziosa di nome Marilyn.  La presenta come sua figlia, ma tranne la bassa statura non ha niente in comune con lei. Per questo si pensa che gestisca un giro di alto livello di escort minorenni. Confermato, in parte,  dal fatto che frequenta ambienti di giovanissime, anche di buona famiglia, sensibili  ai suoi modi da seduttore e quindi facili prede da coinvolgere. A differenza dei suoi simili, nell’area cani non gioca mai con la pallina, ma da vero macho è sempre pronto a intervenire in caso di rissa per difendere “le sue femmine”, chihuahua e non. 

domenica 9 novembre 2025

SHAKESPEARE IN LAUGH

Mobbing Dick al Teatro Gerolamo di Milano è uno spettacolo che affronta, con tutte le migliori intenzioni e una comicità acuta e intelligente, come annuncia il titolo, il tema del mobbing sulle donne nel mondo dello spettacolo. Eppure non riesce ad avere la consistenza che potrebbe meritare. Nonostante l’eccezionale bravura di Caroline Pagani.

     


 

Autrice, attrice, oltre che regista e cantante, Pagani ha vinto vari premi tra cui quest’anno il Premio Tenco come Miglior Album a Progetto sull’opera del fratello Herbert, cantautore e artista morto nel 1988 a 44 anni. Sola in scena, con ogni tanto la voce fuori campo di Davide Livermore nella parte del regista, ricattante e abusante, balla, canta, parla, si dispera, ride.  Diventa irresistibilmente comica e un attimo dopo seria, impegnata, fino a fare tenerezza. Interpreta un’attrice in un’audizione che si propone con vari personaggi shakesperiani dai più noti come Cleopatra, Giulietta, Lucrezia, Titania del Sogno di una notte di mezza estate ai meno conosciuti come Isabella di Misura Misura, commedia oscura del Bardo. Passa da un’eroina all’altra cambiando d’abito velocissima, senza mai far perdere il ritmo. Ogni tanto ritorna se stessa, l’attrice smarrita che invano cerca di sapere cosa deve fare per accontentare l’odioso regista, che cerca solo un fine in questo incontro.  Perfette le "mises" dei vari personaggi, alcune da burlesque con nudità varie, ma mai volgari. Ottima la scenografia con il grande letto con coperta rossa e baldacchino e un paravento traforato dietro cui l’attrice si cambia. Per quanto evidenziato non riesce totalmente a convincere il raffronto tra la forma di abuso di cui è vittima l’attrice e la violenza subita dall’eroina shakesperiana. La comicità è forte, ben studiata, calibrata, ma forse il grottesco prevale troppo. Questa sera Caroline Pagani è di nuovo sulla scena al Teatro Gerolamo con Luxuriàs, ispirato a Francesca da Rimini  sul  tema del femminicidio.  

venerdì 7 novembre 2025

VIA SULL' ASTRONAVE

In un primo momento può sembrare un controsenso “parlare” di protoni, spazi siderali, intelligenza artificiale, utilizzando un materiale antico come l’argilla.  Eppure l’incontro dei due mondi è perfetto nell’interpretazione artistica di Albi, al secolo Alberto Pessani, da vedere nella mostra Argille astrofisiche alla Galleria MZ di Milano, fino al 10 novembre. Non tanto per la lavorazione, solo apparentemente primitiva, e la scelta dei colori e degli accostamenti forti e intriganti. 




Vero responsabile dell’accordo il filtro dell’ironia che scherma tutte le opere. Ben evidenziato nelle frasi sui cartellini che accompagnano ogni pezzo e nella frase-spiegazione di Albi: “Perché l’astrofisica? Visto che non ho capito quasi nulla della fisica mi proietto su una astronave che a velocità pazzesca sfiorerà i misteri astrali”. Il percorso-racconto inizia sul perché di quell’acqua che ha permesso la vita, di quel campo magnetico che ci difende, del macigno che, caduto nell’attuale Golfo del Messico 65 milioni di anni fa, ha causato la sparizione dei dinosauri e di conseguenza ha favorito la vita dei piccoli mammiferi (uomo compreso). Una piastrella tonda con i menhir e un raggio di sole accennano a Stonehenge, un’altra con un nudo di donna rivela come gli antichi egizi consideravano l’universo. Si arriva quindi a Galileo che con un cannocchiale fonda la nuova scienza. Inevitabile, ma non scontato, il cenno all’intelligenza artificiale. Girando una corona si può cercare di capire se salverà il mondo.  Dalla fisica quantistica, in un uovo da aprire, all’esopianeta con gli alieni di altri pianeti che trasmettono le onde sulle terra. Un microscopio e un cannocchiale pendono dagli occhi di una testa, mix di Max Planck, iniziatore della fisica quantistica, e Albert Einstein. In una ciabatta appuntita, un uomo seduto come Il Pensatore di Rodin, è depresso per essersi reso conto di conoscere solo il 10% dell’Universo. Il racconto o meglio il viaggio sull’astronave termina con le galassie, i pulsar, stelle di neutroni, e le nebulose che creano una fittissima nebbia. Cosa fare? “...procuriamoci pane, salame, formaggio e vino e brindiamo assieme perché in definitiva a noi ce piace de magnà e beve!”. Questa volta l’ironia diventa risata smaccata e liberatoria.  


giovedì 6 novembre 2025

COS'E' UN BACIO?

Una storia tristissima che ti colpisce, ti commuove nel profondo.  Allo stesso tempo uno spettacolo che ti prende e ti entusiasma.  Questo è Un bès-Antonio Ligabue al Teatro Menotti di Milano fino al 9 novembre.  Solo una delle tante tappe del pluripremiato lavoro che Mario Perrotta porta in giro da tre anni, su cui ha realizzato anche un emozionante docufilm.  


 


Solo sulla scena l’autore e attore interpreta il pittore nella sua drammatica solitudine, in una vita al margine, da scemo del paese o in manicomio. Sempre alla ricerca di una dimostrazione di affetto, anche piccola. Di un "bès", un bacio appunto, che tutti gli rifiutano. A cominciare dalla mamma adottiva che lui adora.  La sua mamma naturale l’ha solo messo al mondo e poi è stata uccisa, forse da quell’uomo che ha sposato di cui il povero Antonio, o meglio Toni, non ha voluto accettare il cognome Laccabue e l’ha scambiato in Ligabue. Perrotta-Ligabue urla, strepita, ride, piange, sempre concitato. Intorno a lui, unica scenografia, grandi pannelli con fogli di carta. Ed è su questi che completa e rende ancora più viva la sua narrazione. Con un carboncino parte da un punto nero che diventa a poco a poco un volto, quello della madre sempre presente, un paesaggio, un particolare, tratti di uccelli. Il racconto così diventa più definito e nello stesso tempo prende più l’apparenza di un sogno, di un pensiero, che con lo strappare del foglio scompare. I fogli vengono gettati in platea e Perrotta alla fine dello spettacolo dirà che sono a disposizione del pubblico. Straordinaria la capacità dell’attore di comunicare il dolore profondo di non riuscire a farsi capire del pittore, costretto ad elemosinare quel "bacio", un semplice bacio che per molti è solo un punto di partenza, per lui è tutto. Notevole anche il suo non eccedere nell’inscenare la pazzia, senza però toglierne quel lato inquietante che, probabilmente, allontanava la gente.   

mercoledì 5 novembre 2025

PAROLE PAROLE PAROLE

E’possibile riuscire a parlare, anzi a dissertare su un vocabolo per dieci minuti, senza tirare in ballo spiegazioni linguistiche, parallelismi culturali, ma sorprendendo e divertendo, senza l’ausilio di nessun effetto facile? Per Flavio Oreglio sul palcoscenico del Teatro della Cooperativa di Milano con Varie ed eventuali. Pensieri sparsi e note a piè sospinto è possibile, anzi si è rivelato un successo.  



Il titolo dello spettacolo con quel "piè sospinto" fa pensare a qualcosa di surreale. Che non è. Il monologo di Oreglio parte da "varie ed eventuali", che come spiega, sono quasi sempre presenti in verbali, comunicati, documenti di riunioni, e che apparentemente marginali possono diventare prioritari o addirittura “mine vaganti”.  Ed ecco considerazioni su parole, espressioni ricorrenti, luoghi comuni. Irresistibile la riflessione sull’uso dei numeri in svariate frasi fatte. Il quattro, il due e l’uno, nella formula "numero uno", sono i protagonisti. O quella su certe parole che riescono ad assumere nei modi di dire concetti diametralmente opposti.  Musicista, cantautore con al suo attivo otto album di canzoni e una grande passione per jazz e ragtime, Oreglio ogni tanto interrompe la lettura sul leggio e la riprende cantando e suonando un piano elettrico, con l’accompagnamento dell’amico chitarrista Marco Guzzetti. La satira continua coinvolgendo, spesso e volentieri, i battimani del pubblico, con cui il dialogo è sempre diretto. Il ritmo è continuo, incalzante, senza pause o rallentamenti. Gli applausi sono a scena aperta e la comicità intelligente è sempre in primo piano, sostenuta da un attento studio del mondo intorno e da una cultura ben radicata, ma mai esibita. Varie ed eventuali.  Pensieri sparsi e note a piè sospinto, in prima nazionale a Milano da ieri, è in scena al Teatro della Cooperativa fino a domenica 9 novembre. Da non mancare.

mercoledì 29 ottobre 2025

SPAZIO PADRONE

Sembra un’ovvietà, eppure nessuno lo fa rimarcare. La scultura deve vivere nella presenza dello spazio.  Deve dialogare con ciò che le sta intorno. Un concetto interessante che è emerso nell’incontro di ieri alla Paula Seegy Gallery di Milano. A farlo notare è stata Maria Cristina Carlini artista, ma soprattutto scultrice. Di cui sono esposte in galleria, dal 25 settembre all’8 novembre, alcune opere.





Motivo dell’incontro estemporaneo la presentazione dei suoi "tirage de luxe" con il critico e curatore Matteo Galbiati. Si tratta di quaderni con le foto delle opere in mostra e in fondo una piccola opera in tiratura limitata di 20 esemplari, realizzata a tecnica mista con interventi in oro, che può essere lasciata nel catalogo o incorniciata e appesa. Un’occasione per dialogare con l’artista sulla sua attività e sulla mostra in corso Maria Cristina Carlini. Material, Composition, Architecture. Ed è per questo che rispondendo alle domande di Galbiati, che ha definito dedizione, vocazione e tenacia le caratteristiche del suo lavoro, Carlini ha parlato del dialogo con la materia. “La scultura vive la difficoltà della materia”, “Lo scultore deve pensare alla terza dimensione”. Ha quindi parlato dell’obbligo per l’artista di rispettare e assecondare la materia, la terra in particolare che è viva. Ma anche la ceramica con cui Carlini ha iniziato il suo percorso artistico. “Si deve tenere conto di quattro elementi che sono l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra”. Interessante venire a sapere come la materia possa condizionare ma anche guidare l’artista. “L’ispirazione non so casa sia” ha detto. Una frase davvero apprezzabile in un’artista del suo livello, soprattutto in un mondo dove sembra che non si possa disegnare neanche una scarpa o una T-shirt senza l’ispirazione con la I maiuscola.  L'artista ha quindi parlato dello spazio che agisce sulla scultura, mettendo in evidenza come sia impegnativo quando non si conosce il luogo dove la scultura sarà collocata, indipendentemente dalle sue dimensioni. Una serie di concetti e commenti che contribuiscono ad apprezzare maggiormente le opere. Dalle sperimentazioni con materiali diversi, come corteccia, legno, cartone, ai paesaggi dell’anima Omaggio a Kiefer, alle immaginarie architetture.