giovedì 11 dicembre 2025

DUE PICCIONI CON UNA STORIA


Davvero geniale la formula di spettacolo di Lo sciopero delle 
bambine. L’eroicomica impresa del 1902, in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 14 dicembre. Con la regia di Enrico Messina, che ha curato anche i testi e la drammaturgia insieme a Domenico Ferrari e Rita Pelusio, racconta un importante momento nella storia del lavoro minorile e della condizione femminile, ignoto ai più. 




L’evento, come dice il titolo, è lo sciopero delle bambine, o meglio delle "piscinine", come venivano chiamate in dialetto milanese le piccoline, bambine dai sei ai tredici anni che lavoravano sfruttate e sottopagate nelle sartorie di Milano. Uno sciopero che era stato ridicolizzato dai giornali e dai padroni, ma che aveva avuto il sostegno di donne impegnate socialmente e femministe come Anna Kuliscioff. Qualcosa quindi difficile da proporre con il rischio di caduta nel patetico e soprattutto nel goffo. Superato completamente dalla scelta di far raccontare l’episodio da due piccioni che su un cornicione o un marciapiede osservano tutto e si fanno delle domande. I due piccioni, le bravissime Rossana Mola e Rita Pelusio, benissimo vestite e truccate da volatili da Lisa Serio, sono eccezionali nell'imitazione dei movimenti degli uccelli, soprattutto della testa. I loro commenti apparentemente surreali, in realtà sono perfetti per evidenziare la tematica. Sono giochi di ironia e metafore per illustrare la situazione, come quelle briciole "di cui non accontentarsi", e continuare a lottare per i diritti e contro le ingiustizie. Al termine di ogni replica segue un incontro di una ventina di minuti con personalità della società civile sui temi dello spettacolo. Ieri sera con Martina Bettinelli di una cooperativa contro l’emarginazione e con Eleonora D’Errico, giornalista e scrittrice, autrice di La donna che odiava i corsetti, su Rosa Genoni, creatrice di moda, attivista socialista e protofemminista(1867-1954), nonché sostenitrice dello "sciopero delle bambine".

 

mercoledì 3 dicembre 2025

PERCHE' DELITTO E CASTIGO ?

Uno dei romanzi più famosi della letteratura di tutti i tempi diventa uno spettacolo teatrale di meno di due ore. Delitto e castigo è in prima milanese al Teatro Menotti da ieri fino al 7 dicembre. La regia è di Andrea Baracco, ma l’adattamento teatrale è di Glauco Mauri, e data di vent’anni fa. Un’operazione coraggiosa che rivede nella contemporaneità situazioni, confronti, inquietudini di sempre. 




Nessuna caratterizzazione della scena, ma un allestimento sobrio ed essenziale che lascia alla credibilità degli attori, e di conseguenza al pubblico, la possibilità di definirla. Attuali anche i costumi,   ben caratterizzati sui personaggi. A cominciare dal protagonista Raskolnikov, interpretato da Gabriele Graham Gasco in T-shirt, pantaloni da tuta e sempre un cappello in testa. E’uno studente di 23 anni senza soldi, che passa le sue giornate in un tugurio nella zona più malfamata di S.Pietroburgo. Con lui si alternano gli altri personaggi. Dalla sorella Dunja (Arianna Pozzi) bella e corteggiata, disposta, per aiutare finanziariamente il fratello, a sposare un suo ammiratore, Woody Neri, nella doppia parte del ricco pretendente e del rivale meschino e vizioso. C’è l’amico affezionato e generoso Razumichin (Giulio Petushi) che, al corrente dell’assassinio di due donne perpetrato da Raskolnikov, cerca di aiutarlo in tutti i modi. C’è Sonja (Aurora Spreafico) che nel romanzo ha una lunga parte e qui è solo la povera ragazza dai buoni sentimenti legata al protagonista, costretta a prostituirsi per mantenere la matrigna tisica e i fratellastri. E infine c’è Porfiu (Paolo Zuccari) nel ruolo del poliziotto amorfo. La trama è soprattutto nei pensieri e nelle esternazioni del protagonista, nei suoi tormenti esistenziali, nella sua incapacità di prendere decisioni e nella sua disperata ricerca di un luogo dove vivere e soprattutto di uno scopo per vivere.  

martedì 2 dicembre 2025

IL POTERE DELL' ARTE

Che l’arte sia portatrice di importanti messaggi non è una novità. Ma è molto più raro che le opere di un artista si riferiscano tutte a tematiche legate ai diritti umani e siano il risultato di un’indagine che può aiutare a “smascherare il male”. Così per Fabio Mauri (Roma 1926-2009) da scoprire in Fabio Mauri. De oppressione alla Triennale di Milano da domani al 15 febbraio. 




Non è un caso che la mostra, curata da Ilaria Bernardi, sia presentata e realizzata, in collaborazione con la Triennale e lo Studio Fabio Mauri (Associazione per l’arte L’Esperimento del mondo) dall’Associazione Genesi. Fondata nel 2020 da Letizia Moratti che ne è anche presidente, ha come missione l’educazione ai diritti umani attraverso l’arte contemporanea. Con la scoperta di artisti giovani e la riscoperta di storicizzati anticipatori, che con i loro lavori hanno fatto e fanno riflettere su tematiche come l’ambiente, le vittime del potere, la parità dei diritti. Le opere di Mauri utilizzano diversi linguaggi, dal disegno alla pittura, dalla scultura alla performance, dall’installazione ai video, alla scrittura. Nell’insieme raccontano come il secolo scorso sia stato attraversato da grandi drammi. Con un invito, tramite anche corpose e sovente ironiche didascalie a non abbassare la guardia, perché il male si può ripetere. Dal video dell’artista con un’immagine proiettata sulla sua fronte, riferito a una sua conferenza sulla "Ricostruzione della memoria a percezione spenta"(foto in basso). Alla foto di Goebbels in visita ufficiale a una mostra e di fronte la gigantografia di un’equazione, risultato di una ricerca sul principio dell’errore. Alle immagini di repertorio di nazisti con minuscole didascalie che prendono in giro il loro stupido apparire, tipo “Vincono a vela”, “Definiscono l’arte”, “Amano il ballo”, “Si legano ai classici”, “Si abbronzano”, ma anche “Utilizzano gli sciocchi”. Sotto le foto un inquietante quadrato nero. Diverte, ma fa pensare Vomitare sulla Grecia, riferito alla dittatura dei colonnelli a seguito del colpo di stato del 1967, con la foto dell’interno di un aereo e intorno sacchetti per vomitare. Sul tema della censura l’installazione Amore mio, in una stanza chiusa al centro dell’esposizione. Interamente affrescata con colori forti e un faretto che il visitatore può girare illuminando certi disegni e nascondendone altri (in alto a sinistra).  Durante la mostra sono previste visite guidate, workshop, incontri organizzati da Genesi con i propri patrocinati, L’Università Cattolica, il Fai Ponte tra culture con l’associazione Amici del Fai, Gariwo-la foresta dei giusti e Robert F.Kennedy Human Rights Foundation Italia. 

giovedì 27 novembre 2025

SOGNI E TATUAGGI

Dopo varie presentazioni in Italia e all’estero è stato proiettato ieri, all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano, Felix, dare to dream  di Valerio Bariletti e Morgan Bertacca, che ne sono pure i produttori. Un docufilm coinvolgente anche per la caratteristica di poter essere “letto” da diversi punti di vista. Dalla più immediata biografia al quadro di un momento culturale. In evidenza concetti di famiglia, generazioni, creatività e arte ai margini. 


 

La storia è quella di Felix Leu che, a sedici anni, lascia la casa e raggiunge la madre a Parigi, dove vive con l’artista Jean Tinguely. Da lì, la controcultura rivoluzionaria degli anni 60 e 70, di cui è un convinto esponente, e un suo ben consolidato concetto di libertà, lo portano a New York.  Qui incontra  Loretta. E’ amore a prima vista, sarà la sua compagna e con lei formerà una famiglia. E sono Loretta e i figli che raccontano il personaggio. Ai loro ricordi si alternano flash con Felix stesso. In questo quadro di anticonformismo e di” rimanere fedele ai propri sogni navigando nell’oceano della vita” si inserisce la scelta di dedicarsi al tatuaggio. Una forma d’arte che non è mai stata considerata tale ma che, come ha detto prima della proiezione Bariletti, è nella storia.  Dopo lo "scrivere nelle grotte" l’uomo ha incominciato a "scrivere sul corpo". Sul proprio come quello altrui, creando empatia. E’ con questa filosofia che la famiglia gira per il mondo con un passaggio in India, immancabile in quella generazione, dove Felix non si fa pagare per i tatuaggi, data la  povertà della gente. Le ultime immagini parlano della sua malattia, di come l’ affrontano lui, Loretta e i figli. La fotografia di ottimo livello riesce a trasmettere luoghi, persone, espressioni e soprattutto ambiente. Forse un po’ lunga la seconda parte e qualche volta risapute certe rievocazioni del mondo hippy.   

mercoledì 26 novembre 2025

OLTRE LA TEMPESTA

Shakespeare è il teatro. Ma guardando uno spettacolo di più di quattro secoli come La tempesta, in prima milanese al Teatro Menotti, ci si chiede quanto la capacità di coinvolgere, ora, dipenda molto dal regista. In questo caso dall’argentino Alfredo Arias di cui l’opera del Bardo è stato uno dei passi più importanti della sua straordinaria carriera, rappresentato per la prima volta al Festival di Avignone nel 1986. 




C’è una storia, o meglio una trama, ma è solo una traccia su cui si costruisce un’atmosfera tra sogno e realtà. E tutto è studiato per crearla. Dalla scena con quell’incredibile labirinto di pietre, che sembra inghiottire gli attori, alle luci giocate su straordinari chiaroscuri.  E poi naturalmente i personaggi. Tra  i quali la figura dominante è Prospero, interpretato dal bravissimo Graziano Piazza, sovrano dell’isola dove è stato relegato, insieme alla figlia, dal perfido fratello per essere Duca di Milano al suo posto. Da  qui parte la storia del naufragio che coinvolge il fratello fedigrafo e chi l’ha aiutato. Un naufragio provocato dalla famosa tempesta con l’aiuto di Ariel (Guia Jelo), personalizzazione del vento, ora al servizio di Prospero.  Una storia di rivalsa, ma anche di perdono che Prospero concede a chi lo ha emarginato. Una riflessione su temi  che ribadiscono la contemporaneità della tragedia shakespeariana.  Sottolineata anche dai costumi. Divise militari, marsine, gonne ampie e busti strizzati per le donne, abiti senza tempo, invece, per Prospero deus ex machina.  Prodotta dal Teatro Stabile di Catania, Marche Teatro, Tieffe Teatro Milano e TPE-Teatro Piemonte Europa, La tempesta, è in scena al Teatro Menotti fino al 30 novembre.   

domenica 23 novembre 2025

L'ANIMA JAZZ DEL PASSEROTTO

Edith Piaf, l’anima in jazz è il titolo dello spettacolo dei Môme, ieri sera al Teatro Gerolamo di Milano. Sorprende questo legame con il jazz della più grande cantautrice francese. Ma è sufficiente sentire le prime note o addirittura l’introduzione di Elda Olivieri, voce narrante del gruppo, per capire che è una ben studiata chiave di lettura. Una delle poche possibili considerando l’inarrivabile livello della mitica "passerotto" (piaf traduzione in argot di passerotto, come veniva chiamata per la sua esile figura). 



Non solo per gli arrangiamenti di Danilo Boggini, ben interpretati dai Môme, lui stesso alla fisarmonica, Val Bonetti alla chitarra, Mauro Pesenti alla batteria, Marco Ricci al contrabbasso. Ma soprattutto da Beatrice Zanolini, voce solista. Che è riuscita a intonare le canzoni più iconiche della Piaf, senza da mai sollecitare un confronto, pur mettendo tutta l’enfasi possibile e coinvolgendo il pubblico. Con vere punte di entusiasmo per Milord, La vie en rose e Non, je ne regrette rien, cantata dopo gli applausi finali, come un bis riassuntivo.  Da parte di Zanolini nessun commento autoriferito, per quanto riguarda la sua interpretazione in jazz, ma piccoli ripetuti accenni-omaggio all’inarrivabilità della Piaf. Il tutto in una forma colloquiale, simpatica, mai recitata. Con lo stesso calore il ricordo, fuori programma, di Ornella Vanoni, con una canzone di Vinicius de Moraes.   I Môme sono di nuovo questa sera sul palcoscenico del Teatro Gerolamo con Marilyn in jazz.     

venerdì 21 novembre 2025

STRANI MONDI

Un’eccezionale varietà di opere con svariati presupposti, contenuti diversissimi e, soprattutto, una pluralità di significati. Questo è ciò che si percepisce immediatamente nella mostra Gillo Dorfles. Ibridi e personaggi alla Paula Seegy Gallery di Via San Maurilio a Milano. A cura di Martina Corgnati, propone una selezione di lavori realizzati da Dorfles dal 1946 al 2013 e indicativi delle tappe della sua carriera artistica. 




La varietà non è tanto nelle tecniche diverse usate che vanno dalla ceramica alla matita, dalla tempera agli acrilici, quanto nei soggetti (ibridi e personaggi ma non solo) e nel modo di ”raccontarli”. Anche se qualcuno sostiene che le opere non dovrebbero avere un titolo, quelli di Dorfles, non indicati per molte, sono invece fondamentali, imprescindibili per alcune, e intrisi di umorismo. Come Il regno vegetale per l’acrilico su tela in un inaspettato azzurro con cenni, forse, di vegetazione. 0 il ritratto dissacrante di Freud messo a nudo e in cui niente del suo corpo è a posto.  S’intitola Il fustigatore l’acrilico dell’uomo con una frusta in mano e intorno animali o umani. Qui le tinte allegre sembrano voler ridicolizzare il personaggio nella sua inutile, retorica cattiveria (foto in alto). Senza titolo, perché lasciato all’immaginazione di chi guarda, il disegno con l’esile creatura futuribile (in basso a destra). Non poteva mancare l’acrilico su cartone di Vitriol, personaggio esoterico, e un po’ horror, inventato da Dorfles e in cui l’artista si rispecchiava. Il suo nome è l’acronimo di “visita l’interno della terra…troverai la pietra nascosta” in latino. Senza titolo le ciotole e i piatti in ceramica dove l’informale e il colore prevalgono su piccoli elementi realistici. Senza titolo anche il grande vaso-scultura in vetroresina (148x78 cm), che suggerisce le più svariate interpretazioni (in basso a sinistra).  E che nella versione piccola (29 cm di altezza), in terracotta, s’intitola Africa. Puntando sul colore. Inaugurata ieri, la mostra chiude il 31 gennaio.