Assistere a uno spettacolo così è molto più di una prova per le proprie emozioni. Prende nell’intimo, commuove, provoca, indigna, spaventa, disgusta, fa sentire in colpa: un vero pugno nello stomaco. E proprio per questo dopo, a mente fredda, si realizza che di spettacoli come Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute dovrebbero essercene di più e soprattutto dovrebbero essere visti da tutti. Al Teatro della Cooperativa di Milano, dal 20 febbraio al 3 marzo, con la regia di Renato Sarti, è una sua rielaborazione di un testo per il teatro di Marco Paolini.
Sarti, infatti, aveva visto Ausmerzen di Paolini che parlava di Aktion 4, il primo sterminio di massa nazista perpetrato su disabili e malati mentali, i cosiddetti "fardelli inutili, di cui era venuto a conoscenza negli anni Novanta, quando preparava lo spettacolo sul lager della Risiera di San Sabba. L’aveva giudicato perfetto per ricordare, a cent’anni dalla nascita che cade quest’anno in marzo, Franco Basaglia, il rivoluzionario della storia della psichiatria. Alla sua richiesta di portare lo spettacolo al Teatro della Cooperativa, Paolini aveva risposto “Perché non te lo fa ti? Mi fido” lasciandogli carta bianca su uno spettacolo basato sul suo. Documentato con foto, articoli di giornale ecc. rievoca, appunto, il progetto attuato dai nazisti dal 1939 al 1941. Che prevedeva l’eliminazione di malati mentali, disabili, bambini affetti da malformazioni, ritenuti "vite indegne di essere vissute". Dietro tutto questo un’organizzazione che coinvolgeva oltre ai militari che comandavano il tutto, scienziati, illustri clinici, infermieri, ospedali, medici di famiglia e anche suore. Le persone venivano prelevate dalla famiglia con l’assicurazione che sarebbero state curate o comunque seguite per un migliore inserimento nella società e poi venivano uccise. Tra l’altro in questo modo scienziati e medici sperimentavano tecniche che poi si sarebbero rivelate fondamentali per la Soluzione Finale, tra cui le camere a gas. Questa "eugenetica", a cui aderirono molti medici, perseguiva l’igiene razziale, per cui per tutelare la parte buona e sana della popolazione tedesca, si doveva difendere i geni sani espellendo quelli deboli, con la sterilizzazione prima e l’eliminazione fisica poi . Sul palcoscenico, a raccontare di questo accanto al regista, l’attrice disabile Barbara Apuzzo (nella foto con Renato Sarti) che, come ha scritto Sarti, “con il suo corpo, la sua voce, la sua presenza fisica renderà ancora più chiaro il messaggio”. Notevole la scenografia dello stesso Sarti : una scrivania, una sedia e una bilancia da studio medico e tutto il fondale, lati compresi, tappezzato di cravatte e di qualche vecchio capo, appesi come stracci alla rinfusa. Proprio come le tante vite soppresse, confusamente, senza nome, né rispetto.