martedì 30 dicembre 2014

SANTA KLAUS HOUSE



Ma  Babbo Natale dove dorme quando viene in missione in Italia? Un quesito che i bambini più pratici si saranno posti, mettendo in difficoltà genitori e adulti di riferimento. Certo volando con le renne lui fa presto. Non ha bisogno di catene o gomme da neve,  e può viaggiare di notte. Ma ha una certa età e Rovaniemi non è a due voli di piccione. Sarà stato interessante scoprire che in Italia un tetto ce l’ha, ed è qualcosa di più di un pied-à-terre. E’ un castello a Camogli con straordinaria vista mare. Il clima non è tropicale, ma è lontano dai rigori della Lapponia e i tramonti sono da urlo. Non è accessibile in auto, ma ha un grande terrazzo perfetto per posteggiarci slitta e renne. Nel salone di accesso con camino poltrone e piccoli orsi bianchi, per creare atmosfera, c’è una reception in cui efficientissimi elfi prendono le lettere dei bambini o danno degli attestati da far poi firmare allo stesso Babbo Natale. Accanto c'è un marchigegno con carrucola dove mettere le lettere, direttamente collegato alla “posta centrale” in Finlandia. Al piano di sopra, dove preferisce stare Santa Klaus su una poltrona-trono, c’è il suo letto con pantafole, una scrivania dove sbriga la corrispondenza sempre cartacea, un camino e una tavola imbandita. Si fanno delle ipotesi su eventuali cene a lume di candele, dopo che i visitatori se ne sono andati.Magari uno di quegli, solo apparentemente assessuati elfi, che nella finzione si preoccupano del suo benessere, bucato compreso steso a una finestra. Sul terrazzo in alto con vista portentosa sul Golfo Paradiso un falegname vero, non Giuseppe, insegna ai bambini a lavorare il legno. Non è un sogno pazzo. E’ tutto reale dal 7 dicembre e lo sarà fino al 4 gennaio. I mobili sono veri, autentici Ottocento e arrivano dall’Antichità Sinatra  di Ruta di Camogli. Gli elfi sono volontari come i babbi natale che si alternano sotto il completo rosso e bianco, per la maggior parte atletici campioni delle squadre di calcio o di pallanuoto. La carrucola della posta e la slitta sono state realizzate dai detenuti del carcere di Marassi. Dietro, dall’idea alla realizzazione, la Asco associazione dei commercianti e degli operatori turistici di Camogli. Un’ottima iniziativa che è stata molto apprezzata, come racconta in numeri la presidente dell’Asco, Luciana Sirolla: 9600 passaggi Facebook, 1400 visitatori il primo giorno e una media di 350 per gli altri giorni, Natale compreso. 

lunedì 22 dicembre 2014

BUONGIORNO, SONO APE MAYA


Il monologo a teatro è un’arma a doppio taglio.Se l’attore/attrice è convincente, ben calato nel ruolo, può incantare lo spettatore, anche se il testo ha solo qualche spunto interessante. Se, invece, chi recita non è abbastanza dentro la parte, per quanto ben scritta e                          di livello, si prova la strana sensazione che si disperda, che      non prenda         e che, soprattutto,             sarebbe stato meglio leggerla. Non succede con “Diario di un’ape operaia” di Giulia Lombezzi, per la quale calarsi nella parte  sembra essere assolutamente naturale. Non si riesce a immaginare come si potrebbe interpretare quel copione in modo migliore e con una gestualità più adatta. La motivazione è semplice da scoprire. La giovane attrice(classe 1988) è riuscita nell’intento proprio perché ne è anche l’autrice. Certo è importante, ma non determinante, il contributo di Claudio Gay pianista e compositore suo coetaneo, che ha scelto dei pezzi musicali, come stacchi o di accompagnamento, che non solo non deviano minimamente dal senso del monologo, ma lo rafforzano. Come dice il titolo, è il racconto di un’ape-donna che alla ricerca disperata di un lavoro lo trova in un alveare-call center. All’inizio è un crescendo d’ilarità per i tentativi della precaria-ape di realizzare più chiamate possibili in meno tempo. Con qualche elemento forse un po’scontato, ma trasformato e reso inedito da una recitazione veloce, scattante, dove la mimica e il movimento, e anche la musica di appoggio, sono davvero innovativi. Poi, senza perdere il filo dello humour, il racconto diventa più serio, fino ad arrivare al patetico e a toccare, senza presunzione, ma con osservazioni acute, il problema umano e sociale. 

venerdì 19 dicembre 2014

SEXY CHRISTMAS


In Italia sette donne su dieci e otto uomini su dieci considerano il Natale il momento migliore per tradire il partner. E’ quanto riporta l’indagine svolta dal portale Incontri-ExtraConiugali.com  su un campione di mille uomini e mille donne di età compresa fra i 24 e 60 anni. Perché ci si chiede? Forse per la facilità di introdursi in casa dell’amante senza dare nell’occhio? Magari travestiti da Babbo Natale o infilati in un grande pacco spacciandosi per un panettone (in questo caso inevitabile la complicità di un amico/a robusto/a)? O forse perché la trasgressione è la normale reazione di difesa quando si è circondati da quadretti alla Mulino Bianco, valanghe di buoni e melensi propositi,tonnellate di foto tutti insieme? 
                                                                                                                    O forse perché si vuole preparare il terreno per una riconciliazione a S.Valentino, dando finalmente, una volta per tutte, un senso all’insulsa cenetta a lume di candele del 14 febbraio? O forse, più banalmente, perché la scusa dell’acquisto-sorpresa senza bisogno di giustificativi, regala ore per incontri clandestini?  Secondo i risultati  della ricerca, che si è occupata anche  delle motivazioni, il tempo del finto shopping è un elemento importante, ma in secondo piano  rispetto al “fascino del proibito”. Questo condiziona il 65% degli uomini e il 72% delle donne. Per le più giovani è una sfida-competizione con la partner ufficiale,  resa più difficile e quindi più intrigante da tradizioni e incontri famigliari, per le altre è una voglia di evasione dalla routine. Da leggersi quindi come un autoregalo.
Nelle foto dei mps (mai-più-senza) per Natali trasgressivi. Felpa con maniche d’oro e stampa di rossetto, invece di renna o albero di Natale (Leitmotiv). Cannuccia in argento brunito e decorato, ideata dalla stilista russa Masha Sontzef e realizzata da orafi fiorentini, per non macchiare di rossetto la flûte di champagne e un bracciale punk in pelle e pietre per giochi sadomaso(GFase).



mercoledì 17 dicembre 2014

LA NUOVA CITTA' CHE SALE


E’ un peccato che la  scultura di Maria Cristina Carlini sia a  Rho Fiera Milano, dove  quando ci si va  si  è sempre troppo di fretta per apprezzarla come dovuto. In acciaio corten e legno di recupero, alta dieci metri, è installata su un laghetto davanti 
                       al Centro Congressi. Come tutte le opere della scultrice ha un titolo “La nuova città che sale”. E’ una scala che non finisce con un gradino o un piano, ma con una punta. Non è tortuosa, ma ha l’aria di essere accessibile. Come osserva Camillo Fornasier,  consigliere delegato arte e cultura Fondazione Stelline, pone una domanda, ma di positività. “Finisce nel cielo o si contrappone al cielo”. Si chiama in modo  simile  a un dipinto di Boccioni di un centinaio d’anni prima “La città che sale”. Secondo il presidente della Fondazione Mudima Gino Di Maggio pochi artisti avrebbero osato. Eppure la scelta del nome per Carlini non è dettata d’arroganza, ma esprime una considerazione sull’opera. Entrambe, infatti, pur diverse tra loro, raccontano gli inizi di un secolo pieno di innovazioni. A fare da cornice  sono il palazzo Vela di Fuksas e i due edifici scuri di Dominique Perrault, con i quali dialoga in sintonia. Secondo Philippe Daverio, Maria Cristina Carlini, come Pino Spagnulo e  Giovanni Kounellis,  sono artisti capaci di stabilire un linguaggio comune, che li identifica “nella tribù”. Le loro opere di quel colore ruggine, sono in armonia con l’architettura contemporanea, parlano lo stesso linguaggio. “Perché senza linguaggio non esiste l’arte”. E la ricerca dei materiali e l’uso di alcuni insoliti, sempre in  armonia con lo spazio intorno, sono la caratteristica forse principale dei lavori di Carlini(dai campus universitari di Denver  alla Città Proibita di Pechino, al Lungomare di Reggio Calabria, ecc.). “Mi piacerebbe fare delle sculture e sapere dove vanno” dice l’artista, in genere  restia a parlare delle sue creazioni e delle sue fonti d’ispirazione: “Vorrei che ognuno ci potesse vedere quello che vuole”.


lunedì 15 dicembre 2014

VOGLIO SOLO TE'


Se si mettono a confronto tè e caffè e il loro uso nel mondo occidentale, il primo ne esce distrutto e annientato. Il caffè sembra essere una condizione per vivere, qualcosa da cui non si può prescindere. E’ il protagonista delle frasi luogo comune:“Senza un caffè la mattina non connetto”. “Il  primo pensiero quando mi sveglio è il caffè”. “Riesco ad aprire gli occhi solo davanti a un caffè”. E’ la motivazione per un incontro rapido: “Vediamoci per un caffè”. Nessuno  direbbe mai “Vediamoci per un tè”. Eppure la negletta bevanda ha lunghe tradizioni e antichi rituali. Ha una sua ora, le sue sale e per molti decenni è stata la motivazione per un ricevimento in grande stile (“La bevanda che permette anche a un                            povero di ricevere come un principe” scriveva Pittigrilli).  L’invito di signore per un tè, annunciato con giorni di anticipo, richiedeva abiti, orari, servizio, porcellane, argenti. “Venga a prendere un caffè da noi” non necessita di una preparazione, si dice ai vicini o a persone in confidenza. Anche nel modo d’uso il tè guarda alle tradizioni, il caffè si rinnova, a cominciare dalle apparecchiature. Pure il packaging si differenzia.  Chi regalerebbe una confezione di caffè? Invece il tè si presta a diventare un oggetto-dono. Ne è un esempio  la scatola del  Tsarevna Kusmi Tea, il tè di Natale nero speziato di base con aromi d’arancia, vaniglia e mandorla.  Racconta la storia  di quel  Pavel  Kousmichoff di S.Pietroburgo fornitore degli zar, con la sua casa del tè fondata  nel 1867, che, fuggito dalla rivoluzione del 1917, apre una boutique a Parigi,  abbreviando il suo nome in Kusmi. Quindi si espande a New York, Londra, Berlino. Ora il marchio è di proprietà della famiglia Orebi, nel settore dal 1935, e ha negozi nelle più importanti città, in Italia solo a Milano. Accanto alle vecchie “boites”, rivisitate fedelmente, e alle centennali miscele, ci sono nuovi tè “salutistici” con  packaging  contemporanei e di design.  Come  dicono gli eleganti still life del fotografo Dimitri Tolstoï, discendente dello scrittore.


   

venerdì 12 dicembre 2014

E' NATALE, NON SOFFRIRE PIU'


Basta disperarsi per le mille cose da fare per Natale. E’ raro trovare un adulto che non si lamenti.  Molti ripetono “l’anno prossimo non faccio niente”. I più osé “mi chiudo in casa” o “Vado su un’isola deserta”. E poi immancabilmente sono lì a chiedersi  se 

regalare alla Pucci una borsa “come l’anno scorso”, al Giovanni un libro “anche se non legge mai”, ai vicini  gentili dei cioccolatini “che se mai li offrono”. C’è anche chi prova lo Snatale, organizzando festeggiamenti al contrario. Lì per lì tutti trovano l’idea geniale, ma poi sotto sotto, senza farsi vedere,  rimpiangono l’albero e Jingle Bells. 
C’è però un giusto mezzo tra il bianco, sdolcinato, cariatore di denti, Natale tutto rosso-oro-abete, dove l’inutile consumista regna sovrano e il Natale alla Savonarola antispreco, mortificante, cupo e anche un po’ flagellante.
Qualche esempio di regalo? Caratterizzato per la stagione, ma non   con renne & company stile maglione di Colin Firth-Mark Darcy, il cardigan, per lei, in lana con i lama, Perù style (Nice Things). Invece della scarpetta da Cenerentola da usare solo per un party, dove le possibilità di incontrare  il principe azzurro sono lo 0,0001 per mille, la  Superga pied-de-poule  utilizzabile in molte occasioni e altrettanti incontri. Per chi ha un cane ecco il guinzaglio Vario della Flexi, allungabile, con luci led, ergonomico. In altri cinque colori oltre al rosso.  Meglio che regalare un cane. I canili sono pieni di ex sorprese natalizie e c’è anche chi il 26 nella spazzatura ha trovato e salvato un cucciolo con tanto di fiocco rosso.
E infine anche sulla tavola qualche variazione. Senza arrivare  all’hot dog al posto del vol-au-vent o del capitone e alla Coca Cola invece dello spumante. Per il brindisi finale, perfetto con dolci e pasticcini, un Moscato di qualità. Come il Nivole d’ Asti   dal profumo intenso “con sensazioni” di salvia, pesca, pompelmo e meringa.