Anche se si è visitato il Museo dell’oro di Bogotà, si è visto solo una piccola parte di quel “mondo” che invece si riesce a capire e interpretare al Museo Rietberg di Zurigo, fino al 21 luglio. Non solo perché la mostra Più che oro è stata realizzata con la collaborazione, oltre che del museo colombiano, del Los Angeles County Museum of Art e del Museum of Fine Arts di Houston. Ma, soprattutto, perché vi hanno collaborato membri della comunità indigena colombiana degli Arhuaco. Come anticipa il sottotitolo della mostra Lustro e visione del mondo nella Colombia Indigena.
Per quanto siano straordinarie come fattura e creatività, non è tanto il valore intrinseco delle opere, quanto quello che raccontano, ben documentato dal lavoro di Fernanda Ugalde, curatrice presso il Museo Rietberg e co-curatrice della mostra. Non è l’oro il protagonista e non perché ci siano parecchi pezzi in prezioso platino, smeraldi, ma anche in pietra, terracotta, ceramica o fatti di conchiglie o di piume. L’oro prevale negli ornamenti, negli orecchini, nei collari, nei bracciali, negli anelli, pure in quelli da infilare al naso o addirittura in quelle specie di maschere con straordinarie incisioni sempre da infilare al naso. Mentre le urne funerarie, le ciotole, le statuette sono in pietra o in ceramica. Ogni materiale parla in uguale modo delle comunità indigene. L’uso della coca è continuamente richiamato. Non solo nelle ciotole, ma soprattutto nelle statuette che rappresentano un indigeno seduto che mastica, con la guancia deformata. “Sedersi e pensare” è la frase che sintetizza uno stile di vita, spiega Ugalde. La coca è un modo per comunicare con il mondo intorno. Sempre in pietra sono fatte le ocarine, anche a forma di uccello perché ne imitano i versi. Frequente la rappresentazione degli animali, il pescecane con i suoi denti è uno dei preferiti. Volutamente schematiche le didascalie . Svariate le foto di paesaggi colombiani, cerimonie e raduni di indigeni. Una stanza del percorso museale è tappezzata da immagini di boschi e di natura con qualche maschera appesa. Ci sono dei sedili in cerchio per ricreare l’atmosfera delle riunioni indigene. Questa mostra è anche un’ottima occasione per conoscere il museo, uno dei più grandi musei d’arte della Svizzera, dedicato alla culture tradizionali e contemporanee di Asia, Africa, America, Oceania. E’ “diffuso” in tre ville ottocentesche in una delle quali visse Richard Wagner per diversi mesi. Annessa un’ala contemporanea con grandi vetrate dove si tengono le mostre temporanee, come appunto Più che oro, e un rifornito e incuriosente museum store. Il tutto immerso in uno strepitoso, grande parco vicino al lago.