lunedì 27 febbraio 2023

BYE BYE MILANO

Ultimo giorno della Fashion Week milanese, solo in streaming. Ad aprire Alabama Muse con un quadretto pop alla Cuore Selvaggio, il pluripremiato film di David Lynch del 1990. Perfetto per far indossare alla coppia d’innamorati le pellicce animal free ideate da Alice Gentilucci (foto sotto, a sinistra). Made in Italy, sono in plastica riciclata  biodegrabile al 100%. Richiamano la volpe, la kidassia (capra dal pelo lungo), l’agnellino, lo sciacallo selvatico. A volte le diverse pellicce sono accostate tra loro in un creativo patchwork.  A completare il look, maglieria in cashmere di riciclo al 95% e di lana al 5%. Con inserti di pelliccia, decorazioni alla norvegese, varietà di punti. E ancora le mitene in pelliccia, la balaclava  (passamontagna) lavorato a jacquard e il colbacco di volpe o la volpe intera da portare come una sciarpa al collo, stile anni 40. 

 




Lo spirito british-country di Husky è rievocato nel video girato a Milano, tra i Giardini Pubblici e la Villa Reale, interrotto da flash di una Londra da cartolina. Tra le novità la giacca trapuntata  che pesa 80 grammi, la Riding jacket doppiopetto con pelle sui gomiti e sul collo, la nuova Competition  con inserti in nylon trapuntato. E poi ancora il bomber  con dettagli di pelliccia  e il giubbotto con ricami floreali in 3 D sul retro (foto a destra). La giacca con l’immagine aerografata di Carlo d’Inghilterra verrà regalata al neo-re il giorno dell’incoronazione. Laura Biagiotti ritorna al Piccolo Teatro per la sfilata in digitale. Scintillii di tessuti metallizzati, iridescenti, con reti di cristalli, si alternano al cashmere icona, intrecciato con fili di lurex. Molte le gonne di varia lunghezza, da indossare sopra il pantalone e sotto lo spolverino.  Ritorno del tailleur pantalone in tessuto finestrato o in un gessato reso femminile dai bagliori (foto in basso). A chiusura, Passo a due di Eleonora Abbagnato, danseuse étoile dell’Opéra di Parigi, e Jacopo Tissi, primo ballerino del Bolshoi. Che escono per i saluti con Lavinia Biagiotti Cigna. Ha chiuso i battenti ieri White, 300 marchi presenti tra Superstudio e Ansaldo e ottimi numeri per quanto riguarda i visitatori. Un’esplosione di creatività che si notava anche negli allestimenti degli stand e perfino nei nomi dei marchi. Facing the new  s’intitola questa edizione, che significa stare al passo con i cambiamenti, trovando nuovi modi per raccontare la moda. Dando importanza alla sostenibilità e valorizzando l’artigianato, diventato il vero strumento innovativo. Così Vusciché ,brand abruzzese  ricicla per i suoi capi, dalle linee fluide e le asimmetrie, le vecchie coperte della tradizione. Forti anche le contaminazioni con l’arte.  Così Maria Calderara nella collezione chiamata Questo è burro introduce frammenti d’ immagini della Land art del poliedrico artista Luca Maria Patella. Molti, più del solito, gli espositori di calzature. Dal marchigiano Duca D’Ascalona, con scarpe realizzate con sughero e legno, al parigino Calla con le babbucce fatte a mano da artigiani di Marrakech, utilizzando tappeti berberi. 


domenica 26 febbraio 2023

BRAND DI TUTTI I PAESI, UNITEVI !

La Milano Fashion Week è sempre più internazionale, non solo per pubblico e buyers ma, soprattutto, per la provenienza dei brand. Ad aprire la giornata oggi Hui, da diverse stagioni presenza fissa sulle passerelle.  Questa volta Hui Zhou Zhao, direttore creativo, s’ispira a un tessuto ricamato della dinastia Qing, visto al Museo della moda del Centenario di Shenzen, di cui è fondatrice e curatrice. Ecco sete con stampe che ricordano la casa "regno della donna cinese", con sovrapposto un pizzo di paillette, decisamente occidentale. O la stampa con magnolia per i nuovi pigiami genderless, ispirati alla leggenda di Hua Mulan, che si travestì da soldato per andare in guerra al posto del padre, ripresa in un noto film d’animazione. Altro simbolo il drago: sulle scarpe, le calze o in un disegno pixelato sulla finta pelliccia. Emblematico del mix di culture il grande mantello, patchwork di maculato, finestrati e sete orientali. 

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La cinese Anna Yang per Annakiki pensa a un mondo post-apocalittico e punta sul cyberpunk. I tessuti sono metallici, le spalle di giacche, cappotti ma anche di abiti sono oversize, sovente formano delle alette, le maniche sono ondulate o a palloncino. In contrapposizione alla vita segnata. L’ampia gonna lunga fino ai piedi di piumino è accostata, in contrasto-accordo, con un bustier dipinto addosso. Sia per lei che per lui c’è un pied-de-poule rinnovato. Come rivisitato è il camouflage sul bianco e nero per cappotti e giacche. Il giapponese Atsushi Nakashima gioca con i materiali e le geometrie. Niente è scontato o prevedibile, l’asimmetria è un filo conduttore. Abiti con una sola manica, lunghezze diverse nello stesso capo, drappeggi a sorpresa. Tagli e spacchi. Per lei e anche per lui. All’internazionalità contribuiscono varie iniziative rivolte a coinvolgere brand e stilisti di altri Paesi, tra cui svariate quelle di Camera della Moda, come la Budapest Select alla nona edizione. Con tre neonati brand nel Fashion Hub e quattro (Abodi, Cukovy, Kata Szegedi, Thefour) che hanno sfilato nella Caserma di Corso Italia. Modes, il flagship store di Piazza Risorgimento con l’Afro Fashion Association ha dedicato le sue dodici vetrine ad altrettanti designer di varie parti del mondo selezionati da Vogue Italia(foto in basso). Completamente made in Italy, ma di certo internazionale per la diffusione, Eleventy. Come spiega Paolo Zuntini, direttore artistico oltre che fondatore insieme a Marco Baldassari, la collezione nasce dal desiderio di riconnettersi con la natura, quindi capi confortevoli in cui sentirsi bene in colori caldi, beige, cammello, grigio, azzurro e molto bianco. Volumi fluidi e di provata vestibilità. Tra i pezziforti il bomber e il gilet lungo e corto in shearling, gli ultimi due reversibili, e il tailleur pantalone in nappa. Con fili di lurex, inserti in pelliccia, frange, la maglieria (foto in alto) 

sabato 25 febbraio 2023

RITORNO AL FUTURO

Giornata piena. Di spunti, idee, progetti, cambiamenti, piccole rivoluzioni, ma anche rievocazioni e recuperi. Banalità:  occhio al futuro con molti occhi al passato. Questa potrebbe essere la tendenza, per ogni marchio con le sue sfaccettature. Philippe Model Paris, nella seconda collezione di abbigliamento, riprende i concetti delle sneakers di cui è un guru. Capi classici dalle linee pulite, in materiali confortevoli e quello spirito francese sempre molto apprezzato. Pezzoforte le sneakers, sei da donna e sette da uomo, con mix di materiali d’archivio recuperati. Ogni taglia con un elemento distintivo. 




Sono sneakers responsabili quelle della capsule di Baldinini realizzata con ACBC (Anything Can Be Changed) leader nella progettazione e produzione di prodotti sostenibili. In materiali scarti dell’agroalimentare hanno stringhe in plastica riciclata e suola in gomma riciclata e bio-Eva, materiale  biosintetizzato dalla canna da zucchero. Solo la fodera è in poliestere riciclato, non completamente sostenibile, ma più duratura, per conciliare estetica e funzionalità. In pelle, invece, lo stivaletto texano con frange.  Anche Zanotti propone il texano con strass sul tacco. E’ uno dei new classici, cioè pezzi del suo archivio aggiornati: la pump con tacco supersottile o il sandalo con listelli alla caviglia, quasi uno stivaletto aperto. Nuovo tacco, quasi una zeppa per i cuissard. Stivali e stivaletti con coulisse e pieghettature per accompagnare le borse di Rodo. Dalla nuova Paris  più morbida, in velluto stampa coccodrillo al modello con piega di varie misure in seta e in pelle con tracolla. Fino alle clutch con applicazioni di strass e cristalli o in vernice anni 70. I colori della natura  per le borse in pelle di Il Bisonte che seguono la tradizione, ma senza nostalgie e con nuovi dettagli. Come il motivo dello snodo sui manici e lungo i lati o la fibbia particolare o una certa leggerezza pur nello strutturato. Un viaggio nello spazio quello che fa compiere Borsalino con la prima collezione disegnata da Jacopo Politi. Sono i loghi metallizzati, le laminature nella tesa del classico feltro, non più di coniglio ma di lana per motivi etici, gli strass sul nastro,  le micropaillettes sul cappello con visiera in pesante tweed, il maculato brillantato (foto al centro). Arancione e rosa i baschi. “Il piumino può essere sartoriale”  o  “Con il piumino si può fare tutto,  dal bikini all’abito da sera con strascico" sembra dire il designer cinese William Shen con Raxxy. E l’effetto è scenografico (foto in basso). Dreams in Paradise s’intitola la collezione Sarawong. Che mette insieme tessuti e maglieria prettamente occidentali, con patchwork di stampe orientali. Linee e colori seguono il dualismo. Arthur Arbesser presenta la collezione nel suo atélier affacciato sulla Basilica di Sant’Ambrogio. Pochi pezzi dietro ai quali si avverte il piacere della progettazione. In primo piano le stampe. Da quelle ispirate ai dipinti del trisnonno, pittore in giro per il mondo negli anni ’50 dell’Ottocento (foto in alto), a quelle realizzate scannerizzando composizioni con carta velina, spugna, colla, acqua. Linee minimali ma con un inserto, un tulle sovrapposto, un drappeggio, che rendono i capi femminili e donanti. 

venerdì 24 febbraio 2023

DALLA TESTA AI PIEDI

Sembra impossibile che una scarpa possa continuare a essere un modello di punta per cinquant’anni. Succede a Cleo l’iconico sandalo di Caovilla, creato nel 1973. Oggi, lo si è "celebrato", nella sede milanese del brand, con una mostra di tutti i modelli nei vari anni, tra cui un posto speciale per i cinque più rappresentativi di ciascuna decade. Molti diversi l’uno dall’altro, mantengono la costante del cinturino attorcigliato alla caviglia. Ispirato a René Fernando Caovilla da un bracciale a forma di serpente, visto al Museo Archeologico di Napoli. Ce ne sono con i fiori, con elementi colorati, con le perline, con i pizzi, i ricami, le perle. Ha 680 brillanti quello di quest’anno  che riproduce più fedelmente il primo Cleo, esposto al MoMA di New York. Un vero gioiello per cui servono cinque giorni di lavorazione a mano (nella foto un modello del 2020). 




Una leggera e più mite farfalla caratterizza uno dei pezziforti della nuova collezione di Padovan. Un sandalo ha un’ala e accostato all’altro diventa una farfalla.  E’ stato proposto come le altre scarpe,  stivali compresi, sui piatti di tavole elegantemente imbandite nella deliziosa veranda del ristorante Cavoli a merenda. Un cavallo, blu con una criniera bionda che lo percorre tutto, spiccava nella presentazione della limited edition di AGL, realizzata con la stilista inglese Katie Grand e Kristen McMenamy, l’estrosa storica supermodella che ha introdotto i suoi cult (foto al centro). Oltre al cavallo, appunto, le catene per femminilizzare i texani e la rosa per le pump. Un legame con i cavalli anche da Birman, brand brasiliano che, in un salone pieno di fiori, ha mostrato una collezione tra il viaggio, il sogno e il mondo equestre.  Particolari i tacchi a forma di corno in legno dipinto a mano. Tacchi alti e sottilissimi per gli stivali da amazzone con rivestimento in tessuto. Nessun animale, ma il riflesso e la luce sono il filo conduttore da Santoni. Può essere la fibbia pavé di cristalli o i cristalli degradé sulle sneakers o quelli che rivestono completamente il mocassino Andrea, dal nome del fondatore. E poi i colori lilla, nude, giallo, arancio, oltre ai più scuri ottanio e bordeaux. “Un abito può aiutare a connetterci con il mondo spirituale” per cui i capi diventano dei talismani.  Questo è il pensiero di Lara Chamandi,  libanese, nata ad Abu Dhabi, vissuta a Londra, che ora vive tra  Londra e Milano. Qui ha creato il suo brand disegnato da Antonio Berardi, interamente made in Italy. Per presentarlo una distesa di sabbia azzurra da cui, come sirene, emergono le modelle. Un abito deve dare benessere, si deve avere piacere a indossarlo è l’affine Dopamine Dressing di Hanita, che propone colori energetici azzurro, arancione, celeste, viola, anche in accostamenti audaci, e per la sera molti flash di cristalli. Colori forti anche nella Street Couture di AnnaRita N  che guarda agli anni 70, 80 e 90.

giovedì 23 febbraio 2023

LA SORPRESA FA TENDENZA

Interessanti novità in questa Fashion Week milanese. Mantù propone capi davvero donanti, eppure rigorosamente sartoriali. “Forse perché in azienda lavorano quasi esclusivamente donne”  dice Angela Picozzi, anima imprenditoriale del marchio, creato dai genitori. Vestibilità e volumi sono i punti forti. Ecco agli orli degli abiti le frange, che fluttuano nascondendo imperfezioni. Camicie apparentemente maschili che accompagnano il corpo femminile. Un cappotto ha un collo che si toglie e diventa una sciarpa, un altro in velours è doppiato con neoprene, perfetto double face. Il chiodo è rivisto in lana mohair. Gli abiti  hanno sempre un elemento seduttivo a sorpresa. 




Tutt’altra proposta da Viviers dove la designer sudafricana Lezanne Viviers mette insieme  spunti etnici e quasi tribali, in un piacevole mix che riflette l’arcobaleno della Rainbow Nation, soprannome del Sud Africa multirazziale e multiculturale. A indossarli modelli e modelle di ogni colore (foto in alto). Pezzi unici in materiali preziosi ma spesso di riciclo, come le imbottiture in lana intrecciata con la plastica. A ricordare che in un paese povero, come il Sud Africa, tutto può essere utile. Creatività agli eccessi, ma con un’attenzione alla funzionalità nella collezione Boyy. La giacca di seta ampia con la riproduzione della campagna del marchio, la borsa in agnello con stampate verdura e frutta a simulare una borsa della spesa trasparente e piena, i guanti enormi con bordi di pelliccia ecologica studiati per i pescatori d’altura canadesi, gli occhiali con sulle aste metalliche il marchio. Da Luisa Beccaria le ragazze escono da una nuvola di tulle enfatizzata da nebbia artificiale. Per loro un lungo in velluto con vita strizzata, miniabiti in lamé, tuniche in seta, ma anche un piccolo tailleur in lana con profili di fiori per il giorno e caldissimi piumini. Nei colori della Tempesta del Giorgione. Izumi Ogino, art director di Anteprima, sceglie i tunnel dei fatiscenti magazzini Raccordati per sfilare con la nuova collezione. Per raccontare la possibilità di riuscire a vedere "la luce alla fine del tunnel", con un passaggio dal passato al futuro. Ed ecco a ribadire il concetto le borse in paglia lavorate a mano con la scritta Love che si illumina come un'installazione di Flavin,  ma anche la maglieria cangiante per la presenza di una fibra ottica. La tecnologia viene in aiuto alla sostenibilità, con i tessuti da materiali riciclati. Bianco e nero, come sempre, ma anche un tenue albicocca (foto in basso), un caldo grigio, un salmone caviale, un giallo vibrante. Gianluca Capannolo stupisce con i tessuti che inventa lui stesso, come il tweed di ciniglia, illuminato nella versione sera da fili di lurex e piume di struzzo (al centro un suo schizzo). Ma pure per le stampe con macro pennellate, omaggio all’Action Painting. Sorprendono anche le linee con asimmetrie e grande uso di plissé soleil. “E’ un lego tessile senza stagioni che segue la logica di un classico evolutivo”  così spiega la collezione Marc Audibet, nuovo direttore creativo di Mila Schön, capace di rispettare i canoni di stile della grande Mila, ma aggiungendo elementi contemporanei e personali. Perfetta la scelta della romanica Basilica di San Celso per la presentazione statica. 


mercoledì 22 febbraio 2023

NOVITA' VO CERCANDO

Non è facile in un momento in cui si parla di continuo, e giustamente, di sostenibilità, salvaguardia dell’ambiente e degli animali, avere un brand, noto e consolidato, di pellicce. Per chi lavora con i tessuti basta un piccolo sforzo per dimostrare la buona volontà, non è lo stesso per chi tratta pellicce. 




Simonetta Ravizza è riuscita nell’intento e non solo a parole. Ha realizzato una collezione rispettosa, senza tradire le origini. S’intitola La mia montagna chic, è tutta made in Italy e con una scelta di materiali certificati. Le pellicce sono di animali della catena alimentare: capra cashmere, mongolia, montone. Ma anche i capi abbinati sono in materiali certificati: chiffon per le gonne, piumini per le soprascarpe, tessuto scuba, quello delle mute, per i giubbotti. Total white per la presentazione, ma in programma anche colori, tutti naturali oltre al nero (foto in alto). Fuori dal coro, come sempre, Daniela Gregis. Dalla cartella stampa alla location, i Chiostri di Sant’Eustorgio, quindi all’aperto. Tre i colori, il bianco dei vecchi corredi, il nero e il rosso arancio. Fluide le forme, con stampe e dettagli ispirati al rétro, al futurismo e al futuribile. Scenografica l’apparizione di Benedetta Barzini, grande estimatrice del brand, con spolverino rosso arancio. Pure per Blazé la location è importante. Da sempre sceglie una casa particolare. Questa volta è un appartamento  anni 50, forse un po’ freddo, ma affascinante. Per i dieci anni del marchio dà visibilità al cavalluccio marino del logo, che si ritrova sui bottoni e sul retro  delle giacche. Sera in primo piano con molto velluto, paillettes, lamé e frange (foto al centro). Canadian, marchio tra i 17 di una solida azienda fiorentina specializzato in piumini, ne espone solo qualcuno, tra cui il bicolore, quello con l’intreccio e quello con zip per accorciarlo o allungarlo, e punta su una video immersione dove si mescolano tutte le proposte. Tradizionale, invece, la sfilata di Maryling, ispirata al viaggio come fuga dal quotidiano. Presenti i pezziforti del guardaroba nei tessuti classici ma con dettagli attualizzanti: la sfilacciatura nella sahariana di tweed, i revers della camicia allungati che movimentano l’austero completo grigio.La giacca mantella, piuttosto che gli inserti in tessuti a contrasto, in una palette di colori insolita. Per gli accessori Paciotti  propone il velluto per i sandali con tacco sottile di lei e per le sneakers e i mocassini di lui. La punta quadrata è un must.  De Wan, continua con il lusso accessibile. Dalle collane e i bracciali in corno o ossi di squalo alle piccole borse con manico di bambù, agli occhiali da Fashion Week con strass e lenti rosse, ai foulard con la riproduzione dei quadri di Roberto De Wan o i top in tessuti dipinti da lui e merletto di Latronico (foto in basso). Roberto De Wan partecipa all’iniziativa Nel paese delle meraviglie, per cui durante la settimana della moda vari locali e negozi del Quadrilatero milanese ospitano mostre d’artisti.  


martedì 21 febbraio 2023

PRONTI, PARTENZA, VIA!

Si può parlare di tendenze per il prossimo inverno il primo giorno di Milano Fashion Week? Sembra di sì. S’intuisce, dalle poche collezioni presentate, la tendenza di ciascuna a confermare l' identità del marchio e a non puntare sull’eccesso a tutti i costi. Cercando di rinnovarsi.



Martino Midali, per esempio, al suo 40esimo anniversario, sfila con una capsule collection, venduta solo nei suoi monomarca e su misura, che può considerarsi una sintesi del Midali pensiero. Cioè svariati materiali trattati come il jersey per consentire le linee morbide tipiche della maison. Ecco i tessuti da telaio per il cappotto che diventa come una maglia per lunghi spolverini, o ancora il velluto, lavabile in lavatrice, perfetto per gli abiti fluidi, così come lo chiffon. Svariate sovrapposizioni e asimmetrie. Tra i colori preferiti verde bottiglia, melanzana e blu. A testimoniare la straordinaria vestibilità del brand, oltre le modelle, sei donne "reali diverse per carattere, stile, occupazione", oltre alla soprano Silvia Colombini che ha aperto lo show con un gradito omaggio musicale. Cividini,  questa volta, non sfila e titola la collezione Arbiter Elegantiarum. Non è un’idea peregrina. “Non si creano nuove forme, la giacca a tre maniche non ha senso, dice lo stilista, si deve lavorare sui contenuti più che sull’estetica”. Ma i contenuti nuovi e attraenti presuppongono un background. L’uso di materiali particolari per linee minimali e sobrie ne sono un esempio. Oltre la capsule di maglieria con disegni ad aerografo e forme classiche, la camicia in velluto stile Fortuny per la pieghettatura o il piumino bordato di alpaca, il trench con spacco sul dietro e cuciture a mano, la gonna a pieghe piatte con stampa a losanghe (foto in alto) e, davvero geniali, i pull in filati riciclati di diverse dimensioni e colori, assemblati tra loro. Oblique Creations conferma la tendenza, inserendo flash di creatività in capi classici. Così il completo pantaloni  con tagli a sorpresa (foto in basso) o i quadrati aperti sul gilet di maglia . Un fil bordeaux percorre la collezione di Fracomina, che  gioca con il sweet & rough anni 80: il trench in tweed sull’abito di seta stampata, il pantalone cargo femminilizzato da dettagli, il rigoroso tailleur pantalone nero spruzzato di cristalli illuminanti. Anche negli accessori si percorrono nuove strade.  De Marquet, che nei suoi atélier in Toscana ha il 30% dei dipendenti con disabilità fisiche o mentali,  continua con le borse dalle cover intercambiabili, ideali per chi viaggia e può, come per magia, passare dalla borsa in shearling a quella in denim verniciato d’oro. Molte sorprese piacevoli nel Fashion Hub di Camera della Moda riportato a Palazzo Giureconculti. Che ospita giovani brand e designer emergenti . Come Endelea design italiano,  ma made in Tanzania o Pairi Daeza,  prodotto in Italia con lavorazioni artigianali iraniane. 


venerdì 17 febbraio 2023

ALL' OPERA PER SOGNI D'ORO

Dormire a teatro? Capita a molti, se poi si parla di un teatro lirico, data la durata delle rappresentazioni, il numero dei dormienti si moltiplica. Anche se è difficile avere delle statistiche precise, perché pochi sono pronti ad ammettere la défaillance. Racconteranno, invece, con entusiasmo l’esperienza e la documenteranno con selfie, quelli che il 16 luglio saranno al Palais Garnier, meglio conosciuto come l’Opéra di Parigi. 




Per quella notte Airbnb mette a disposizione il Palco d’Onore del teatro trasformato in una sontuosa camera da letto matrimoniale. E’ un modo per celebrare il ritorno in scena in quindici Paesi di Il fantasma dell’opera, il musical del 1986 dal romanzo di Gaston Leroux, da cui era già stato tratto l’omonimo film muto, considerato il padre del cinema horror. Leroux si era ispirato per l’ambientazione all’Opéra di Parigi. Oltre alla notte nella camera affacciata sulla grande sala, i palchi e il maestoso palcoscenico, è previsto un tour negli affascinanti meandri del teatro, compresi gli archivi e il lago. Più che un lago una riserva d’acqua, che il geniale Charles Garnier, l’architetto che progettò il Palais nel 1861 a cui ha dato il nome, fece costruire per risolvere il problema di una falda freatica, alimentata da un ramo della Senna, che inondava il terreno delle fondamenta rendendolo una palude. Questo lago, 
delle dimensioni di due piscine olimpioniche in un ambiente a volta e con colonne, viene utilizzata come palestra acquatica dai pompieri sommozzatori, gli unici autorizzati a frequentarlo. Oltre a questo è previsto un altro tour negli studi di danza dalle cui finestre si gode una vista strepitosa su Parigi. In programma anche una cena nel Foyer de la Danse, una lezione di balletto con una delle étoiles dell’Opéra e un recital esclusivo degli artisti dell’Accademia dell’Opéra di Parigi, bevendo champagne. Per prenotare lo speciale soggiorno per due al costo di 37 euro, si deve essere maggiorenni e con un profilo Airbnb documentato da buone recensioni. E fare click per primi su airbnb.com/opera, mercoledì 1° marzo alle 18. Dietro questa iniziativa l’impegno di Airbnb di promuovere l’heritage tourism in Europa e valorizzare l’Opéra. Sostenendo con un contributo finanziario il progetto in corso del restauro dei palchi e la realizzazione della piattaforma di streaming per raggiungere il pubblico di tutto il mondo. 

  

 

mercoledì 15 febbraio 2023

CABARET RITROVATO

Non sempre raccontare la comicità può risultare divertente, anzi spesso può succedere addirittura il contrario. Se poi si vuole approfondire magari con la storia, le probabilità di gradimento-divertimento sono bassissime. Una certezza che viene meno assistendo ad Alla ricerca del cabaret perduto al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 19 febbraio. 



Solo sul palcoscenico l’autore, Flavio Oreglio, racconta la storia del cabaret per quasi due ore, con un ritmo serrato, senza mai un momento di esitazione, una ripetizione, lo spazio per distrarsi. Non solo si ride, ma si scopre tutto un mondo che si era solo sfiorato.  Diviso in due da un minuscolo intervallo, lo spettacolo parla nella prima parte della nascita del cabaret in Francia datata 1881 e delle diverse forme di spettacolo negli Stati Uniti, fino ai protagonisti di una certa letteratura. Nella seconda è di scena il cabaret italiano che nasce quasi in concomitanza con il periodo fascista. Oreglio, che sull’argomento cabaret ha pubblicato libri e ha realizzato altri spettacoli, procede leggendo pezzi, descrivendo personaggi chiave supportato dalle fotografie, ora cantando, suonando la chitarra o la pianola. Una serie di mini-spettacoli, che non si ha tempo di dispiacersi che finiscano perché ne seguono subito altri, altrettanto brillanti e coinvolgenti. Che non si vorrebbe finissero mai. Proprio come dispiace non ricordare tutte le battute più o meno famose dette o scritte dai grandi della comicità, soprattutto  nella seconda parte dedicata all’Italia. Lo spettacolo è un susseguirsi ininterrotto di racconti, citazioni, osservazioni, commenti che presuppongono una cultura straordinaria, oltre che spirito di osservazione e senso dell’umorismo, evidente anche quando Oreglio si rivolge al pubblico, quindi non da copione. Parla degli Hydropathes, poeti francesi d’ avanguardia,  della Beat Generaton americana , dei futuristi  fino a icone italiane come Campanile, Flaiano, Marcello Marchesi.  Disegnando ritratti flash anche con uno solo dei loro mottetti, detti, aforismi.


sabato 11 febbraio 2023

VERO ROY



Roy Lichtenstein, per i più è noto per le immagini con fumetto. Ma chi l’ha conosciuto bene come Gianni Mercurio, specialista di arte americana, sa che il maestro della Pop Art non era contento di essere identificato così. E ne aveva ragione. Lo si scopre in Roy Lichtenstein. Variazioni Pop la mostra a lui dedicata per i cent’anni dalla nascita a Palazzo Tarasconi, a Parma. 



Patrocinata dal Comune di Parma, è stata curata, appunto, da Gianni Mercurio. Da vedere più di cinquanta opere, per la maggior parte serigrafie e litografie dagli anni 60 in poi. I temi sono molteplici, come svariate sono le tecniche utilizzate. Sperimentazioni, collages con metallo, tessuti, plastica. La mostra si apre con la serie dei suoi atélier, dove è anche presente lui stesso. Prosegue con gli still life di oggetti, che richiamano il mondo pubblicitario e in cui l’ironia è il filo conduttore, confermato dai titoli. Dal tacchino Shopping bag, a Sandwich e soda, al più famoso Hot dog. Ed è qui che emerge come la sua arte sia basata sugli effetti della percezione visiva. “Comprensibile in una società che a partire dagli anni 60 è stata progressivamente pervasa dal potere dell’immagine”. Continua con i ritratti-fumetti tra cui la Crying girl del 1963. Quindi prosegue con una serie meno nota, ma ancora più interessante, in cui l’artista affronta tutte le tematiche pittoriche, riallacciandosi alle avanguardie del 900, ma non solo. Dalla rivisitazione delle Ninfee di Monet allo Still life con Picasso, ai Landscape con orizzonti sconfinati, dove prevalgono le geometrie. Fino alle riproduzioni d’interni che evocano il piacere del dettaglio dei fiamminghi. Qui le righe sono protagoniste come nella Statua della libertà. Ecco poi le nature morte dove c’è spesso un’uniformità di colore o l’inserimento di un elemento a sorpresa. Per finire con i famosi puntinati, tra cui i nudi di donna. La mostra, aperta oggi, chiude il 18 giugno e inaugura un ciclo dedicato all’America (a settembre ci sarà Keith Haring). Un’ottima occasione per visitare Palazzo Tarasconi nel centro storico di Parma, al 37 di Strada Farini. Costruito nel XVI secolo ha straordinari affreschi nella sala all’ingresso e, ancora da restaurare, nella sala Ipogea, al piano sotterraneo, dove è allestita la mostra.

venerdì 10 febbraio 2023

LA RIABILITAZIONE DEL COLORE

“La fotografia a colori non muta in nulla la situazione”. Così scriveva nel massimo testo dell’estetica fotografica Laszlo Moholy-Nagy nel 1927. “La fotografia è uno strumento di seduzione pubblicitaria…della propaganda politica dell’economia di mercato  capitalistica: una forma di rappresentazione  menzognera, falsa, simulatrice di mondi illusori”  era il parere  che girava  tra gli integralisti della fotografia documentaria e del reportage impegnato. “La fotografia a colori incanta solo i mercanti e le riviste” diceva Henri Cartier-Bresson e nelle mostre della Magnum  escludeva le immagini a colori. La mostra Werner Bischof Unseen Colour, al MASI di Lugano fino al 2 luglio, non solo smentisce l’affermazione, ma enfatizza il valore artistico del colore.




Sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e diverso, il fotografo svizzero, entrato nella Magnum nel 1949, aveva inteso la potenzialità del colore come mezzo espressivo. Esposte al secondo piano del museo una serie di foto, di cui il figlio Marco ha ritrovato nel 2016, nell’archivio  del padre, i negativi su lastre di vetro. Dopo un lungo e faticoso percorso, grazie alla collaborazione con il MASI, è riuscito a ricostruirli e scansionarli con l’aiuto di un esperto di tecnica fotografica e poi a stamparli in un laboratorio di Zurigo. Anche per sottolineare l’impegno del progetto, le foto non sono state disposte secondo un ordine cronologico o di soggetto, ma sono state divise in tre sezioni come le tre macchine fotografiche usate da Bischof e presenti in mostra. La meno nota è la Devin Tri-color Camera, ingombrante e costosissima, con un’ottica sofisticata per cui l’immagine viene trasmessa simultaneamente in tre lastre. Dallo still life di una mela alla surreale superficie di un sapone liquido, dal ritratto di donna al fiore: immagini pop, alcune volutamente kitsch.  Ma anche l’orso polare nello zoo di Zurigo con un’inedita inquadratura dall’alto o l’Eretteo di Atene da una speciale angolazione. E poi ancora immagini di fabbrica, della Germania del dopoguerra come il Reichstag distrutto (foto in basso). Scattate con la Rolleiflex ci sono ancora foto di città tedesche in macerie, ma anche racconti di viaggio e vita di strada nel mondo. Sono realizzati con la Leica, oltre la natura, gli scorci di New York, la casa di Frida Kahlo, e un muso di aereo con una parte delle ali sullo sfondo delle Ande innevate, che non si riesce a capire come possa essere stato fotografato. E’ una foto del 1954, una delle ultime di Bischof. In questo viaggio in Perù il grande fotografo è morto in un incidente stradale, a soli 38 anni. 

giovedì 9 febbraio 2023

OLTRE IL GIARDINO



Si è dubbiosi sull’attualizzazione o meglio sull’ambientazione di un testo del teatro classico negli anni in corso. Il rischio di sfiorare anche impercettibilmente la parodia  c’è ed è forte. Non lo corre Il giardino dei ciliegi, l’ultimo capolavoro di Anton Cechov al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano fino al 26 febbraio. 

Riproposto con l’adattamento e la regia di Rosario Lisma, che ne è anche interprete, si attiene al testo, rivisitandolo con frasi, canzoni, espressioni, movimenti del momento. La panoramica dei sentimenti è quanto mai sentita e vera e ci si rende conto che non ha tempo. In contrasto con la situazione che, per quanto l’ambientazione sia rimodernata, è fortemente legata al periodo storico. Lopachin (Rosario Lisma), il figlio dei contadini escluso dalla stanza dei bambini affacciata sul giardino dei ciliegi, è un personaggio difficile da collocare nell’epoca attuale. Diventato ricco uomo d’affari se ne comprende la voglia di riscatto, ma non la generosità di fronte ai falliti. Come sono fuori posto Ljubov (Milvia Marigliano) e il fratello Gaev (Giovanni Franzoni) attaccati ai ricordi di un’infanzia felice tra gli agi e poco calati nella realtà. Ma sono perfetti, invece, per raccontare sentimenti che esisteranno sempre. Dall’amore al rimpianto della giovinezza, al piacere del ricordo. Come spiega Lisma, la difesa del giardino dall’abbattimento è la difesa della poesia e dei ricordi, di tutto ciò che è immateriale dagli attacchi di chi pensa alla materia. Ottima e convincente la recitazione, compresa la voce di Roberto Herlitzka, forse il vecchio maggiordomo. Intrigante la scenografia con lampadari a gocce partecipi della tensione della casa. 

lunedì 6 febbraio 2023

ETICAMENTE ARTISTICI?

S’intitola Incolpevoli la mostra presentata da Isorropia Home Gallery nella Basilica di San Celso a Milano. Non d’immediata accezione, dal momento che fa riferimento all’omonimo romanzo in undici racconti di Hermann Broch. Dove lo scrittore partendo dalla piccola borghesia tedesca durante il nazismo, incolpevole di aver aiutato l’ascesa di Hitler, coglie l’occasione per parlare di etica nell’arte.



Il legame c’è e non solo nel senso che le opere dei due artisti Luca Coser e Piermario Dorigatti, entrambi docenti all’Accademia di Brera, sono in una chiesa. Ma anche di comprensione e di comunicazione, per cui l’arte in realtà non deve avere un significato preciso e tanto meno religioso. "L’arte non ha mai convertito nessuno" scriveva Broch . Le opere dei due artisti hanno in comune l’astrazione, giocata con gli accordi cromatici. Più forti in Coser, più sfumati in Dorigatti. Quelle di Dorigatti sono figure imperfette in campi colorati (foto in basso).  Anche i titoli sono oscuri, per un voluto non riferimento alla realtà. Accanto ai tre oli su tela c’è un paravento dove l’accostamento di colori è esasperato. Coser sembra raccogliere maggiormente il riferimento con il luogo. Ed ecco i suoi Obliqui, uno in un tabernacolo, l’altro inserito in un confessionale. E poi i due ritratti, uno di S.Nazaro e uno di S.Celso a cui è dedicata la chiesa. Una coroncina di fiori sul capo, simbolo di spiritualità, vesti candide e poi il tocco d'ironia del sedile (foto in alto). Uno sgabello da bar per uno, una sedia da ufficio con rotelle per l’altro. Dettagli che diventano protagonisti. Da guardare e studiare senza porsi il problema di capire qualcosa di più della prima impressione. La mostra è aperta, con entrata libera, fino al 28 febbraio. 

mercoledì 1 febbraio 2023

UN EROE DEI NOSTRI TEMPI

Com’è potuto succedere? E’ la domanda che ci si pone subito dopo aver visto Nell’occhio del labirinto. Apologia di Enzo Tortora, in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano, da ieri al 5 febbraio. Subito dopo si fanno delle ipotesi, si propongono delle tesi, si cercano risposte. Che si sperava di avere dallo spettacolo. 



Ma è proprio questa impossibilità, assurda dopo quarant’anni, di arrivare a una verità nel caso Tortora, su cui ha voluto puntare l’autore Chicco Dossi (classe 1994). In scena l’altrettanto giovane e bravissimo Simone Tudda (classe 1995, nelle foto) che racconta la vicenda partendo dalla biografia del giornalista-presentatore. Alternando il discorso in prima persona con il racconto in terza persona e i dialoghi. In cui appaiono magistrati, avvocati, camorristi pentiti, O pazzo, temuto piccolo boss che, in cella di isolamento, ricama centrini. Il ritmo è serrato ma mai incalzante. Proprio per questo è più realistico, colpisce a fondo. Si parla di magistrati che non leggono gli atti del processo, di comunicazioni di mafiosi e camorristi pentiti con la stampa, di pettegolezzi giudiziari. Tutto per oliare una colossale macchina del fango. Dossi e con lui Tudda non vogliono descrivere un eroe, eppure viene fuori lo stesso. Senza clamore si delinea la figura di un uomo che rifiuta tutti i mezzi che potrebbe usare per dimostrare la sua innocenza, e che anche dopo il carcere vuole continuare a farsi “portavoce della battaglia per la giustizia giusta per tutti quelli che, a differenza sua, parlare non possono”. Come scrive Dossi “il caso Tortora non è soltanto un caso di malagiustizia...ma è la storia di un uomo che, dall’alto della sua posizione di personaggio pubblico, ha deciso di farsi simbolo”. Ci si chiede perché è successo. Cosa c’è dietro, perché proprio Tortora? Un’invenzione della mafia per spostare l’attenzione pubblica, data la notorietà del personaggio, da qualche operazione criminale in programma?  Un caso quello di Enzo Tortora che si dovrebbe continuare a ricordare. Per questo lo spettacolo è assolutamente da vedere.