Parlare di internet, app, social, manipolazioni on
line, furbizie varie virtuali, non è più un modo per rinnovare la narrativa
gialla e non. E’ una conditio sine qua
non per essere contemporanei. Quindi
il fatto che Paolo Roversi riesca a sostenere duecento pagine e più piene di
delitti, investigazioni, colpi di scena basati per la maggior parte su
conoscenze del web e dintorni, non stupisce. Piuttosto stupisce che lo riesca a
fare senza forzature. O meglio che il racconto, infarcito di aspetti tecnici di
quel mondo, non risulti pesante e gratuito. Anche per chi è alfabetizzato il minimo sul settore. Forse perché, come ha detto Roversi alla
presentazione del suo ultimo libro Cartoline
dalla fine del mondo (Marsilio Farfalle), “La prima regola per scrivere dei
romanzi credibili è scrivere quello che conosci” e avendo fatto il cronista
alla Gazzetta di Mantova e nutrendo una passione per l’informatica, ha i
requisiti. Comunque il potere e le magie del web non sono la caratteristica
principale del romanzo. Il protagonista è il solito Enrico Radeschi,
giornalista e hacker, che ritorna a Milano dopo esserne stato via otto anni,
per sfuggire a una pesante minaccia di morte. L’antagonista omicida con cui si
deve confrontare è un altrettanto abile hacker, che agisce secondo un piano, in
qualche modo ispirato a Leonardo da Vinci. Alle sue opere, ma anche ai segreti
della sua vita. Fra droni e punture di strani serpenti si viene a scoprire una
Milano leonardesca sconosciuta. Come il vigneto o il cavallo alto più di sette metri, arrivato a Milano nel 1999, in pezzi da
comporre, dal Michigan e ora davanti al galoppatoio di S.Siro, disegnato dal
grande maestro. Anche se ogni tanto la narrazione sembra interrompersi per
queste note storiche, che ricordano un po’ le descrizioni di animali nei
romanzi di Salgari, non si avvertono stridori e stonature. Non sono inopportune,
non tanto perché incuriosiscono, quanto perché danno un ritmo diverso alla suspense. Aggiungono quel qualcosa in
più a una Milano che con i locali degli happy
hour o la Silicon valley del
quartiere cinese, sarebbe un po’ risaputa.
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