Ci sono tante storie da raccontare, ognuno di noi
ne ha parecchie, ma soprattutto ci sono mille modi per raccontarle. E non dipende solo dal mezzo usato: voce, immagine,
musica, filmato. Un concetto ovvio, che spiegato a teatro diventa
spettacolo. E’ il caso di Quante storie, da ieri al 16
ottobre al Teatro Menotti di Milano. In
scena Barbara Alberti e Vauro Senesi, meglio conosciuto come Vauro(nella foto). Con loro
David Riondino, che ha curato la regia e supervisionato i testi. Le storie che
raccontano sono quelle di noi, dell’Italia attuale, dei nostri politici, che
si intrecciano con storie millenarie. Il
recente e l’antico, il serio e il faceto, il sacro e il profano, il realistico
e il magico, il probabile e l’azzardato.
Ora sono le vignette di Vauro proiettate e commentate da lui stesso, ora
è Barbara Alberti che legge o parla
dei racconti di Sherazade , mentre immagini
compaiono su uno schermo. I mondi e i tempi
si sovrappongono, si mescolano. Non c’è un criterio cronologico, ma ci sono contaminazioni
e riferimenti di pensiero. Per cui da
una piccola vicenda di cronaca si passa a parlare dell’al di là, della vita
eterna o del Vangelo con i suoi protagonisti. Ed ecco che Alberti rende vive
le varie Annunciazioni della pittura. Mette in bocca all’angelo e alla Madonna
le frasi che sembrano dire con i gesti, il viso, l’ atteggiamento. Fanno ridere, ma sono quasi sempre azzeccate e spesso molto dissacratorie. Come dissacratorio
è un tipico canto degli alpini, che nella versione intonata da Riondino, si
ritrovano per sbaglio sulla spiaggia di Capocabana. Ogni tanto la narrazione è
un po’ statica, ma l’ attimo dopo già riprende il ritmo. Perfetta l’intesa tra i tre,
nonostante le apparenze. Sbracati e scanzonati Vauro e Riondino, di uno stile e
un’eleganza assolutamente unica e personale Alberti, nei suoi cambi d’abito.
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