Quando si sente
parlare di un luogo o se ne vedono le foto, lo si immagina diverso da come poi
ci apparirà. Spesso si è delusi, solo qualche volta la realtà supera le
aspettative. La mostra del cinema di Venezia, ora alla sua 73 esima edizione,
invece, è proprio così come uno se la immagina, come ci viene anticipata dalle
descrizioni e dalle cronache. Via vai continuo, che si infittisce in tarda
mattinata, per diradarsi dopo le dieci di sera, quando le auto nere con le
celebrities abbandonano le loro postazioni, per imbarcarsi per Venezia dove
raggiungeranno i palazzi delle feste.
Il luogo deputato quest’anno è la palazzina G, progettata dall’onnipresente Philippe Starck. L’assembramento di folla maggiore è davanti al Palazzo del Cinema, con
l’enorme tappeto rosso, che finisce con
un grande schermo. La gente aspetta lì da ore le star, molti lasciano
gli ombrelli per il sole come segnaposto. Altri vipwatchers preferiscono cogliere le star da un rialzo sulla strada
che domina l’imbarcadero dell’Excelsior. I fotografi scattano a tutto spiano.
Molte le aspiranti starlette o le
totalmente sconosciute in improbabili
mise da sera alle 10 di mattina o con stivali di pelliccia per accessoriare
miniabiti striminziti che non coprono niente. Nelle zone di relax la gente fa
progetti, discorsi si intrecciano e non sempre il cinema è protagonista. Tra i
luoghi più frequentati i giardini vicino al nuovo cubo rosso della Sala
Giardino. Quasi inaugurato da Franca:
chaos and creation, il film di Francesco Carrozzini sulla sua mamma,
direttore di Vogue Italia.Ben strutturato, quasi appassionante e con un ritratto
fedele per chi conosce Sozzani. Le file per entrare alle proiezioni sembrano
interminabili ma in pochi minuti si sciolgono, quasi per incanto. I buttafuori
sono severi e incorruttibili. Alle presentazioni importanti e più mondane anche
se hai un nome di prestigio senza invito non entri. E’ successo. Passando
vicino ai palazzi più importanti della mostra, dove tutto accade, si sentono gli
applausi delle conferenze stampa. Ogni tanto la musica della bella sigla del festival, che il direttore della Mostra non ha voluto rinnovare per giusti
motivi economici. O qualche pezzoforte come il Bolero di Ravel, assolutamente
imprevedibile in una delle scene madri di Miljeong (The age of shadows)il film
fuori concorso intenso anche se un po’ lungo del coreano Kim Jer Woon.
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