Se si dovesse scegliere il luogo da sogno del
Tremila, forse sarebbe quello. Per passarci una giornata, per curiosare, per
emozionarsi, per stupirsi, per divertirsi. Per guardare e riflettere, ma anche per rilassarsi e non pensare a nulla.
Per sentirsi da un’altra parte e in un’altra storia. Questa la sensazione che
si prova alla Fondazione Prada,
inaugurata il 9 maggio a Milano. Spazi
entusiasmanti di cui nessuna fotografia e nessun filmato può
rendere l’idea. Bisogna entrarci per
capire. Tutto è studiato nei minimi particolari
eppure tutto sembra casuale. Da quelle righe arancioni che interrompono i muri
grigi a quegli alberi perfetti, un po’ surreali, che escono da un pavimento
strano, quasi un pavé di legno. Una ristrutturazione, quella dello Studio OMA di Rem Koolhaas, durata anni, con un risultato sorprendente che non dà l’effetto
di un nuovo scontato e senza ricordi, ma racconta un passato, senza ridicole
nostalgie. Dei sette edifici dell’antica distilleria del Cavallino Rosso del 1910,
apparentemente restano solo i muri esterni, invece gli architetti hanno saputo
conservarne l’anima. Ed è forse quello che rende emozionante il tutto. Spazi enormi perfetti per accogliere opere
gigantesche come La patata di
Nathalie Djurberg. Ma anche ambienti più raccolti come in The Haunted House, la
casa dei fantasmi, con i muri dorati(v.foto). Ideale per accogliere le complesse opere
di Louise Bourgeois e quelle meno entusiasmanti, ma interessanti di Robert
Gober. Diversissimo l’effetto dei saloni, tutte vetrate, delle mostre
temporanee(v.foto). Ora Serial Classic: gessi, bronzi, marmi, greci e romani,originali e copie, presi in esame nel loro rapporto. Per Thomas
Demand, bisogna scendere in basso dove si
apprezza meglio il suo Grottesco, una grotta ricostruita con cartoni sulla base di
una foto di quella di Maiorca, a cui fanno da cornice cartoline delle grotte del mondo. Dall’alto si può spiare nella cisterna , ma ci
si entra dal piano terra e l’impatto con l’opera di Damien Hirst è eccezionale: lo studio di un medico in un acquario
dove nuotano pesci multicolori(v.foto). Nell’archivio c’è la collezione privata di
Miuccia Prada, tre grandissime
pareti fitte di Lichtenstein, Fontana, Adami, Schifano ecc. Ci sono tutti. A completare, automobili e
pullmini d’artista anni ‘60, in uno
spazio enorme, fascinosissimo. Il cinema
con 250 posti non è ancora in funzione. A giorni si aprirà con una rassegna di film di Polanski e dei registi che lo hanno ispirato . Da vedere ora c’è solo il
fregio in ceramica di Fontana, che decorava il cinema Arlecchino. Fantastico
anche il bar Luce ideato dal regista Wes Anderson. Si rifà ai caffè milanesi
degli anni ‘50: boiserie, tappezzerie, tavoli con piani in formica, sedie dai colori improbabili, flipper e jukebox.
Si servono aperitivi e non happy hours
per restare fedeli all’epoca. Peccato che il servizio pessimo e le noccioline,
unico accompagnamento ai cocktail (modesti), siano più in linea con un
contemporaneo e becero bar da autogrill.
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