Alberto Patrucco (foto Luca Rossato) |
Il titolo è lo stesso e anche il filo conduttore
dell’aspirante cabarettista brianzolo che arriva a Milano a fine anni ’70. Ma
questo C’era una svolta, quinto
appuntamento della rassegna di narrazione e contaminazione Talkin’Menotti, al
Teatro Menotti di Milano dal 4 al 6 maggio, è completamente rinnovato e
aggiornato nei contenuti. In scena sempre Alberto Patrucco, che con Antonio
Voceri è autore dello spettacolo. Lo schema lo stesso, un monologo in forma di
racconto interrotto da canzoni, con l’accompagnamento di Daniele Caldarini, che
ha curato gli arrangiamenti, al piano, Francesco Gaffuri al contrabbasso e
Jacopo Pugliese alla batteria. Delizioso l’inizio in cui Patrucco rivela di non
avere voluto effetti speciali e
proiezioni per una questione di budget e invita il pubblico a chiudere gli
occhi e immaginarseli, fornendo degli spunti. Quindi segue una sequenza
esilarante di quadretti, storielle, antefatti, previsioni, critica indiretta,
mai dall’alto o compiaciuta. Un’alternanza di comicità d’impatto e sottile
ironia, satira arguta e surrealismo, riferimenti alla realtà e visioni
fantastiche. Senza mai sfiorare, anche negli esempi più boccacceschi, la
volgarità. Così nel commento all’articolo del giornale sulla cattura del
masturbatore seriale di Sarzana e sulla
difficoltà della polizia ad ammanettarlo. O quello sui piedi delle nuove
generazioni aumentati a dismisura. O ancora la rilettura dei più famosi
proverbi latini. Qualche accenno ai personaggi pubblici, da Trump a Rita
Pavone, senza mai insistere e dribblando qualsiasi possibile banalità.
Trascinante Patrucco quando canta Georges Brassens, di cui ha tradotto i testi,
valorizzando e mettendone in risalto intelligenza e poesia. Per far emergere un
ritratto straordinario dello chansonnier,
profondo, sensibile, fuori dagli schemi, contrario a prendersi sul serio. Come
quando, ricorda Patrucco, a un giornalista che gli chiese cosa faceva la
mattina quando si alzava, rispose: “Mi rivesto e torno a casa”.
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