I musei sono cambiati, è cambiata soprattutto la loro fruibilità. E il Centro per l’Arte
Contemporanea Luigi Pecci di Prato, che riaprirà le porte il 16 ottobre,
rinnovato e ampliato, ne è uno degli
esempi più significativi. Lo è negli intenti del progettista Maurice Nio con
quella architettura a forma di nave spaziale da lui chiamata Sensing the Waves perché si pone come
un’antenna pronta a intercettare le onde di creatività . Il centro non è solo
un contenitore di opere d’arte visiva, ma “un ricettore di istanze culturali
del territorio”. “Un luogo da vivere, in cui il pubblico diventa parte della
creazione” ha detto il direttore Fabio Cavallucci. E il fatto che sia a Prato
non è casuale. Come ha fatto notare il
sindaco di Prato Matteo Biffoni, è una sfida
del contemporaneo e Prato ha vissuto la sfida
del contemporaneo sotto tutti i punti di vista, economico, imprenditoriale
e culturale. Il Centro, che sarà aperto anche di sera, è concepito come un teatro per accogliere
tutte le forme d’arte. “C’è una necessità
della società di avvicinarsi a
contenuti artistici e nello stesso tempo l’arte deve toccare temi più vicini al
quotidiano” prosegue Cavallucci. E non a caso la mostra di apertura(che
continuerà fino a marzo 2017) si intitola La
fine del mondo. Ma non è la rappresentazione di un futuro catastrofico,
vuole fare riflettere su un mondo che non
ha più la stabilità di un tempo. Mancano sicurezze, riferimenti certi. Non c’è
la speranza di un progresso, non ci sono più le ideologie. E a raccontarlo sono
le installazioni come quella di Thomas Hirschhorn, con il soffitto che crolla (foto in basso),
o quella del percorso mostruoso e preistorico fino alla radice di una pianta
del brasiliano Henrique Oliveira (foto in alto). Ma anche piccoli dipinti di giovani artisti del Medio Oriente e del
Nord Africa o opere di grandi maestri come Duchamp, Picasso, Boccioni. Oltre a espressioni di altri linguaggi
artistici, film, concerti, pièce teatrali,
performance o video come quello della cantante Bjork che ha suscitato grande
scalpore al Moma di New York.
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