Alla presentazione del libro la sala, nel ridotto del Teatro di Camogli, era pienissima, con frenetica ricerca di sedie da parte degli organizzatori. Ma curiosamente non c’era una forte prevalenza femminile, come avrebbe fatto supporre la locandina dell’incontro Cervello maschile cervello femminile. Stereotipi di genere. E anche il titolo Donne della scienza. O meglio ancora il sottotitolo La lunga strada verso la parità. Oltre le Barbie in copertina. Solo una delle due autrici era presente, Maria Pia Abbracchio, ordinaria di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e prorettrice della stessa con delega a Ricerca e Innovazione. Assente Marilisa D’Amico, ordinaria di diritto costituzionale e prorettrice a Legalità, Trasparenza e Parità all’Università degli Studi di Milano. A coordinare l’incontro e a vivacizzarlo ulteriormente la giornalista Silvia Neonato. Animatissime sia l’introduzione che la relazione, come si è visto dall’attenzione del pubblico e dalle copie vendute. Che non hanno certo deluso le aspettative.
Il libro, edito da Franco Angeli, per quanto zeppo di dati, riferimenti storici, disquisizioni varie, non sempre d’immediata comprensione, dà un quadro preciso e molto interessante della situazione. Ne emerge o meglio si confermano una serie di pregiudizi sulle donne nella scienza, e la volontà da parte maschile di mantenerli, con radici millenarie. Ma si scoprono anche isolati casi antitetici, inimmaginabili. Come l’affermazione di Socrate che riteneva l’intelligenza delle donne uguale a quella dell’uomo, ma non esercitata per l’impossibilità di studiare. Si leggono affermazioni paradossali sul confronto del peso del cervello, si scopre l’importanza dell’amigdala, più grande nel maschio e che spesso confonde le idee. Ma si legge anche di traguardi ottenuti dalle donne volutamente non divulgati o addirittura scippati dal maschio. Che fanno comunque pensare alla possibilità di un futuro migliore per la donna. Confermato dalle storie personali di Abbracchio e di D’Amico che si leggono davvero come le pagine di un romanzo in prima persona. Sincere, senza false modestie ma mai autoreferenziali, sul filo dell’humour e soprattutto distanti da un femminismo cieco e integralista e per questo molto più convincenti. Che lasciano bene sperare.
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