giovedì 16 ottobre 2014

TEATRO DI VITA


Non si deve cercare di capire, si deve guardare, ascoltare, perché qualcosa, anzi molto, resterà nella mente, negli occhi, a qualcuno anche nel cuore.  Sono così gli spettacoli dell’Odin Teatret.  E “La vita cronaca”, al Teatro dell’Elfo di Milano fino al 25 ottobre, non si distacca  dallo schema.In scena,

molto vicina  al pubblico, ci sono vari personaggi. Apparentemente sono degli stereotipi.Invece ognuno ha reazioni e una vitalità a sorpresa. C’è l’anziano rockettaro delle isole Faroe  che fa della sua chitarra la coperta di Linus, c’è la vedova che ricorda i suoi lutti, interpretata da un attore, c’è un ragazzo colombiano alla ricerca del padre con gli occhi coperti. C’è la bionda casalinga romena,  sempre pronta a pulire  e a guardarsi allo specchio, che ogni tanto tenta di soffocarsi con un sacchetto.  C’è la rifugiata cecena che parla di guerre, di esperienze tragiche, per lei quotidianità.  C’è un’inquietante  vecchia, una Madonna Nera che emette versi strani e ha legami con tutti, anche con l’avvocato danese in completo azzurro e la violinista di strada italiana. C’è un fantoccio che ora è bambino, ora uomo, ora vivente , ora morto. E  ci sono i due mercenari in tuta mimetica e volto coperto. Intervengono nell’azione, ma non fanno parte della  combriccola, sono degli estranei a ricordare il lato nero delle cose. Gli attori si muovono con grande destrezza, cantano e sono coinvolgenti, ballano e riescono a essere eleganti nel grottesco.  Tutti perfettamente coordinati  dalla regia di Eugenio Barba. Nonostante i suoi 50 anni di vita l’Odin Teatret , nato in Norvegia   ma subito trasferito in Danimarca e diventato  Nordisk Teaterlaboratorium (con i suoi 25 membri che provengono da dieci paesi e tre continenti), è sempre attuale, aggiornato, anzi avanti sulle tematiche, puntualizzante, senza sfiorare la retorica e soprattutto senza la presunzione di volere dare un messaggio. Anche se il messaggio c’è. Quell’invito a guardarsi intorno e scoprire che le figure estremizzate sulla scena fanno parte di un mondo vero, di una vita cronica.  Con tutti i suoi drammi, proprio come una malattia che non guarisce mai.


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