Su Marilyn Monroe si è detto e scritto di tutto. E’ stata sicuramente il personaggio del cinema più chiacchierato e non solo per la liaison con presidente e fratello e per un suicidio su cui circolano ancora sospetti e illazioni. Prevale un’immagine di donna superficiale e di certo da giudicare. Marilyn in prima assoluta ieri al Teatro Gerolamo di Milano rivolta tutti i possibili giudizi. E riesce comunque a costruire un profilo dell’attrice ben definito, a cui non fa fatica attenersi. A portare sul palcoscenico lo spettacolo Cinzia Spanò, attrice e autrice del testo. A intervallare le sue letture Roberta Di Mario che al pianoforte esegue brani da lei composti (foto in basso).
Quello che legge Spanò sono pagine di un ipotetico diario datate del 1962, che si concludono con l’ultima in agosto, mese della morte di Marilyn . Subito è evidenziata la figura di una povera ragazza, Norma Jean, che sogna di diventare attrice, forse per essere finalmente amata. Ma non ha nessun appoggio, non trova sicurezza neanche nella bellezza del suo fisico. Non ha mai conosciuto il padre, un norvegese, ha trascorso l’infanzia fra orfanatrofi e famiglie adottive. E quando la madre la riprende con sé, è una donna malata che finirà la sua vita in ospedale psichiatrico. La paura, il sentirsi inferiore ed esclusa sono le sue sensazioni più ricorrenti. Anche quando incomincia a essere una diva. “Hollywood è un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima” è la frase attribuita a Marilyn, che Spanò riporta. Quello della vita della Monroe è il riassunto di una vita insulsa, in cui lei non è la protagonista ma un’estranea che la guarda. Anche l’amore per lei non è mai esistito. Joe DiMaggio, il secondo marito (il primo l’aveva sposato a 16 anni sperando di poter trovare così una famiglia) è geloso, la critica, e a lei preferisce le partite in televisione. Anche la storia con Arthur Miller è un fallimento. Lui non la stima e glielo fa capire, anzi si fa bello sulle loro differenze culturali e mentali. C’è un accenno ai due fratelli Kennedy, non si capisce se positivo o no. Insomma una lettura drammatica da cui emerge una figura di donna che si avrebbe voglia di stringere fra le braccia e consolare. Vergognandosi di averla non solo criticata, ma anche giudicata. E tutto questo non togliendo niente all’immagine di mito del cinema, come è sempre apparsa.
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