Ventisette camicie
bianche sono il soggetto di una mostra. Installazione?
Performance surreale? No, veri capi di abbigliamento. A chiarire ogni eventuale
equivoco il titolo illuminante. “La camicia bianca secondo me. Gianfranco
Ferré”. Chiarificatore anche il luogo dove tutto si
svolgerà, dal 1° febbraio al 15 giugno del 2014: il Museo del Tessuto di Prato.
Perfetto non solo per lo spazio , uno dei più
straordinari esempi di archeologia industriale della Toscana, ma soprattutto
per la sua concezione di base. Un forte collegamento con la realtà produttiva
contemporanea e la volontà di creare
iniziative ed eventi che valorizzino la
cultura della moda e promuovano il made in Italy e l’alta artigianalità. La mostra sarà realizzata dalla Fondazione
Gianfranco Ferré, che dal 2008 riordina e classifica l’enorme archivio dello stilista scomparso, per metterlo a disposizione del
pubblico . Da vedere, oltre le camicie
scelte tra le più sensazionali dei vent’anni di collezioni, disegni, schizzi,
foto, appunti, video di sfilate, riviste, comunicati stampa. Documenti utili per capire la progettazione e l’etica
del lavoro di Ferré, che più di ogni altro ha alternato il linguaggio della
moda a quello dell’architettura. “…buona parte del mio iter creativo si
spiega alla luce della mia formazione
come architetto. Per me la moda è poesia, intuito , fantasia, ma anche metodo e
atteggiamento progettuale che si fonda sulla concezione dell’abito come risultato
di un intervento sulle forme”. Perché la scelta della camicia? Importante ma non unica
ragione il fatto che rappresenti il capo emblema dello stilista. Come ha detto Daniela Degl’Innocenti,
curatrice della mostra e conservatrice del Museo del Tessuto, in questo
capo si può vedere, meglio che in ogni altro, come Ferrè punti
sulla scomposizione degli elementi canonici e li stravolga per ricomporli con risultati
inediti e contemporanei.
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