C’è
un abuso della parola vintage. Con cui piace etichettare quasi tutto, dalla
borsa ai viaggi. E’ sufficiente un
pezzo di un brutto laminato plastico di un colore infelice e un mobile diventa
“vintage Cinquanta”. Basta qualche centenario e subito in una località si parla
di vacanze vintage. Per ora sono immuni dal vintage le persone e il cibo. E le ragioni sembrano ovvie. Anche nella moda il termine non sempre si usa a tono.Da un lato si propone come vintage tutto quello che un tempo era solo
“usato”, senza alcun valore aggiunto. Dall’altro si nasconde con “stile vintage” il vuoto di creatività in un
capo nuovo.
Anni 90. Completo in poliestere di Issey Miyake (Archivio A.N.G.E.L.O.) |
Per
chi vuole chiarirsi le idee, una mostra alla Fondazione Museo del Tessuto di
Prato potrebbe essere la soluzione. Per
“Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto” si deve aspettare fino al 7
dicembre, ma si avrà tempo poi per
vederla fino al 30 maggio.
L’esposizione si prospetta autorevole perché ideata e organizzata ”in” e “da” una città che
sul tessuto usato
ha creato la sua storia e un’economia con 30 mila addetti e 4 miliardi e
mezzo di fatturato annuo di cui due miliardi di export. E’ negli obiettivi degli organizzatori
evidenziare il significato culturale del vintage, come fenomeno di costume, sociale,
economico. Nella prima delle quattro
sezioni si scopre che l’usato ha radici lontanissime. Rammendi e toppe non erano solo negli abiti
dei poveri, ma nei guardaroba dei ricchi si tesaurizzavano i pezzi di tessuto.
Nella seconda sezione è Prato di scena con l’invenzione della macchina
stracciatrice che recupera la fibra dai tessuti usati,appunto dagli stracci. Nelle altre due sezioni si racconta gli albori del vintage, con i mercatini
dell’usato scoperti dai giovani della
contestazione.Di come gli stilisti, primo fra tutti Saint Laurent,abbiano incominciato a raccogliere dalla
strada questi spunti.E infine come abbia preso il sopravvento il fascino
dell’usato, dei capi stonewashed,scoloriti,stracciati,invecchiati
artificialmente. Cosa peraltro già in voga secoli fa, quando le vere signore
richiedevano gli abiti “frappati”, cioè con gli orli delle gonne stracciati, per
togliere quella patina volgare di nuovo
.
Degli oltre cento capi di abbigliamento e tessuti esposti,
molti provengono dagli archivi di grandi
case di moda: Ferragamo, Gucci, Pucci, Max Mara ecc. E moltissimi da A.N.G.E.L.O. l’archivio vintage di Angelo Caroli, quasi sicuramente il primo
ad aver individuato, da giovanissimo, negli anni Settanta, l’importanza del
riciclo.
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