Livia (in Valentino) e Colin Firth |
Da
anni si parla di moda sostenibile. Si organizzano dibattiti e tavole rotonde,
congressi e convegni per chiedersi se etica ed estetica sono compatibili. Se si
può conciliare creatività e ambiente, glamour ed ecologia. Non si sa se sia l’aggettivo sostenibile , ma l’immagine che dà unito alla
parola moda, di primo acchito,
evoca un vestire mortificante, gonnellone e zoccoli da vetero-femminista,
scamiciati improbabili e tristi. Insomma
qualcosa di troppo lontano dal concetto brillante, appunto glamour, che la moda vuole
avere. Eppure da anni moltissimi capi sulle
passerelle sono in tessuti ecocompatibili. Da Giorgio Armani a Tom Ford, da
Gucci ad Alberta Ferretti, da Chanel a Yves Saint Laurent, da Paul Smith a
Lanvin, Valentino, Roger Vivier, Zegna,Vivienne Westwood. Lo ha ribadito, ma
per i più rivelato, in un forum a
marzo a Milano, Livia Giuggioli, meglio conosciuta con il cognome Firth del
marito Colin. Con la giornalista inglese
Lucy Siegle ha fondato Green Carpet Challenge progetto per spingere
le celebrities a indossare sul red carpet abiti sostenibili. Lei
stessa ai Golden Globe aveva un lungo di Armani in un tessuto ricavato da bottiglie riciclate. Agli
Oscar era in un Valentino ecocompatibile. Ecocompatibili anche gli smoking del
marito firmati Armani e Paul Smith. A Copenaghen il 3 maggio il possibile matrimonio fra moda e ambiente è
stato ribadito con sfilate e mostre da un summit, organizzato da Nice, che
raggruppa le camere della moda di
Norvegia, Svezia, Danimarca, Islanda, Finlandia e C.L.A.S.S. piattaforma
internazionale per promuovere prodotti eco nel tessile-abbigliamento.
A
far crollare il binomio triste-sostenibile l’ecobikini. Molto sexy, in colori
accesi e con paillettes, del marchio Agogoa by Jerry Tombolini è in un filato prodotto dalle Filature Miroglio, ottenuto
con il polietilene delle bottiglie d’acqua. Nella bottega di Uruburo a Milano,
da oggi fino a fine giugno, ci sono bracciali fatti con scarti di metallo e borse create con gonfaloni
o striscioni pubblicitari. E tutto è realizzato nelle cooperative dove
lavorano, come nella bottega di Uruburo, soggetti socialmente
svantaggiati.
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