Ha senso proporre Shakespeare in modo classico? Può
essere attuale nel terzo millennio? Cercando di rinnovarlo non si finisce per
denaturarlo? Cosa c’è veramente di lui in certi spettacoli intitolati come le
sue commedie? Domande come queste sono all’ordine del giorno, anzi dell’anno,
dato che si celebrano i quattrocento anni dalla morte del Bardo. Le
risposte spesso sono un cumulo di
banalità, come lo sono in un certo senso le domande stesse. L’importante forse
è non cercare spiegazioni assolute. Ed è
il metodo che ha seguito Hystrio, trimestrale di teatro e
spettacolo, per il dossier dedicato a Shakespeare. L’obiettivo che si sono
posti il direttore Claudia Cannella e la redazione è stato “Evitare
l’accademia” e ha funzionato. Hanno affrontato il tema non sentendo il parere
di studiosi che sarebbe stato anche più facile e rassicurante, ma hanno fatto
parlare, o anche scrivere, chi con Shakespeare ha convissuto. “Non
ci interessa la filologia ma chi materialmente
mette il sangue”. E così l’editoriale è
stato affidato a due registi, il quarantenne lituano Oskaras Korsunovas
e il settantenne Carlo Cecchi. Entrambi, in modo completamente diverso, hanno messo
in evidenza la contemporaneità del Bardo e come ha cambiato la loro visione del
mondo. Cecchi con il suo intelligente cinismo ha raccontato di come i ragazzi
di strada a Palermo hanno capito e fatto loro quel teatro. In un articolo c’è un sondaggio sulle opere più rappresentate e perché. Amleto è al primo posto, ma La bisbetica domata è diventato il
cavallo di battaglia anche di attrici improbabili. Mentre
Riccardo III e Macbeth sono quelle che si sono prestate
maggiormente a edizioni in chiave comica.
Dalle varie interviste ad attori e
registi emerge come l’attualità di Shakespeare dipenda anche dall’aver
inventato sia il montaggio, sia la sceneggiatura. Ci sono pagine dedicate alle commedie e
tragedie diventate cinema, musical, balletto, pubblicità. E addirittura fumetti, che hanno avvicinato i giovani al teatro e curiosamente sono stati fedeli
all’originale. In un articolo si parla dei contributi particolari come i
disegni di un artista di strada ispirati a Shakespeare e usati poi come
scenografia. Le risposte alle domande banali quindi ci sono nel dossier e sono sintetizzabili in quanto detto
alla presentazione della rivista: “Bisogna cogliere dallo spirito inglese e
prendere Shakespeare come un vecchio nonno che racconta storie interessanti”. “Si
può conservarlo oppure distruggerlo e ricrearlo. L’importante è non usarlo come
pretesto ed essere fedeli nell’infedeltà”. “Bisogna saperne cogliere la
flessibilità e usarlo quasi come un canovaccio”. “Se lo si tradisce ci deve
essere una ragione valida, se no è solo
inutile provocazione”.
Nessun commento:
Posta un commento