sabato 30 aprile 2022

LO STRANO CASO DELLO SCRIVANO

Sembra un pezzo contemporaneo, ambientato però nella New York di Wall Street dei primi del Novecento, per la figura dello scrivano, scomparsa con la macchina da scrivere. E invece Bartleby, al Teatro della Cooperativa di Milano fino a questa sera, è tratto dal romanzo Bartleby lo scrivano, scritto da Herman Melville addirittura nel 1853. Quel 
Melville considerato uno dei massimi scrittori, ma conosciuto dai più solo per Moby Dick. Anche se la sua produzione è stata copiosa e in vari suoi racconti ha affrontato tematiche molto avanti per i tempi.


Bartleby lo scrivano è sicuramente uno di questi. In scena Luca Radaelli, che ha curato la traduzione, nella parte di un brillante avvocato di un importante studio. E’ lui che in perfetto completo tre pezzi racconta del neo-assunto Bartleby, impersonato dal giovane Gabriele Vollaro, che in contrasto  con il frenetico e già allora workaholic mondo di Wall Street guidato dal dio dollaro, si rifiuta di lavorare, rispondendo a ogni richiesta “Preferirei di no”. Un rifiuto che non si limita al lavoro, ma si estende al socializzare, al nutrirsi, al guadagno fino addirittura al vivere stesso. L’avvocato non riesce a capire il giovane, che arriva a dormire nello studio senza mai uscirne. Fino a spingerlo a trasferirsi in un altro palazzo, non riuscendo a mandarlo via, senza adottare maniere forti. Una situazione surreale che in certi momenti appare comica e fa ridere. Ma pone interrogativi, fa riflettere. Grazie anche alla straordinaria interpretazione di Radaelli si arriva a capire e condividere l’incapacità dell’avvocato di cacciare lo scrivano e anche le sue visite in carcere, dove Bartleby è finito per vagabondaggio denunciato dai vicini. Bartleby è una commedia  in cui i pensieri e gli stati d’animo sono in primo piano,  che riesce però ad avere anche una trama ben costruita. Dovuta alla capacità di Radaelli di sospendere il monologo e diventare, di volta in volta, i suoi collaboratori Chela, Tacchino, Zenzero, con personalità ben definite, i vicini di casa infuriati dalla presenza di Bartleby, il secondino comprensivo e il cuoco bonaccione del carcere.  Essenziali e impeccabili la regia e la scenografia di Renato Sarti.  Coerenti le musiche di Carlo Boccadoro. Lo spettacolo chiude la rassegna Controventi per celebrare i vent’anni del Teatro della Cooperativa. 

mercoledì 27 aprile 2022

TEATRO AL QUADRATO

E’ teatro nel teatro il primo dei tre spettacoli scritti, diretti e interpretati da Alessandro Benvenuti al Teatro Menotti di Milano. Ma Chi è di scena non solo è doppiamente teatro nel teatro, ma è anche diverso dagli altri spettacoli del genere. 

Il fatto che si stia giocando una commedia, che poi si rivela addirittura doppia, emerge infatti solo alla fine.  La scena si apre con Benvenuti seduto su una poltrona e, non individuabile immediatamente nella penombra, una donna (Maria Vittoria Argenti) distesa su un letto o meglio una chaise longue, come viene chiamata nella pièce, semicoperta da un mantello rosso che lascia supporre la sua nudità. Per terra delle scarpe con tacco a spillo, rosse.  Suonano alla porta, che però è aperta, ed entra un giovane in giacca e cravatta (Paolo Cioni) venuto a intervistare l’anziano signore, un importante uomo di teatro che da cinque anni è uscito dalle scene e non se ne conosce i motivi. L’intervista procede con continui cambiamenti di toni. Si passa dal formale, e volutamente banale, delle domande alle imprevedibili risposte che vanno dal serio all’ironico, al surreale.  Il ritmo è sostenutissimo e in un crescendo per cui l’anziano signore, sempre più a suo agio, si diverte a infierire e sconcertare il giovane, sempre più impacciato e maldestro.  Fino a un’aggressione vera e propria, per cui il giornalista esce adirato e terrorizzato. A questo punto la donna nuda si sveglia e, avvolta nel mantello rosso entra in  gioco… Ed è il primo colpo di scena a cui ne seguirà un secondo,  più forte. Uno spettacolo davvero piacevolissimo in cui si ride molto, ma di risate intelligenti. Un convincente invito a vedere le altre due puntateChi è di scena è al Menotti Teatro Filippo Perego fino al 28 aprile. Panico ma rosa  dal 29 aprile al 3 maggio e Un comico fatto di sangue il 4 e 5 maggio. 

 


lunedì 25 aprile 2022

DIRE FARE GIOCARE

Potrebbe sembrare uno sfoggio culturale un po’ snobistico, scrivere epigrammi nel 2022. Specie se tradotti in inglese e latino, con note dell’autore sulla grande tradizione italiana per questa formula di scrittura, citando Marziale, Catullo, Foscolo, Alfieri, Pasolini, Fortini. Ma se si ha avuto modo di incontrare Angelo Tondini Quarenghi, l’autore, e conoscerne il sense of humour e lo sviluppato senso critico, mai da piedistallo, si capisce che l’intenzione è un’altra. Confermata dalla presentazione di Claudio Santoro, scrittore e critico musicale, e già dalle prime pagine di Epigrammi Epigrams Epigrammata (Edizioni Il Pegaso).
È un modo per il giornalista-fotografo-scrittore di fare piccole considerazioni, superficiali e al limite dell’ovvio alcune, profonde e che spingono alla riflessione altre. Condivisibili e non. Inquadrate in un’attualità precisa e su personaggi alcune, più criptiche e non immediatamente rapportabili a una realtà altre. Comunque divertenti per la maggior parte e senza alcuna pretesa di enunciare verità. Con il punto comune di incuriosire il lettore. Tanto che la lettura è veloce e prende. “Ci siamo ridotti a considerare l’ironia un vizio da nascondere…io attacco tutti. E lo farò sempre. Lo considero più un dovere che un piacere” scrive Tondini nelle note. E tutti i 77 epigrammi, di ognuno dei quali è spiegata la struttura poetica, sono la messa in pratica delle sue intenzioni.

 


venerdì 22 aprile 2022

LE GIOIE DEL MARE

Potrebbe essere un esempio di quel fare sistema sempre più invocato. Particolare, certo, perché l’obiettivo sono gioielli d’arte. Particolare anche il filo conduttore, il mare.  I gioielli del mare. Il mare che unisce è una mostra itinerante, ideata e coordinata da Maria Dolores Morelli docente e da Bianca Cappello storica e critica del gioiello. La prima tappa è stata alla Babs Art Gallery di Milano. 




Da vedere una quarantina di gioielli, pensati o realizzati da studenti di scuole d’arte, coordinati dai rispettivi docenti, nei quali il mare ha fornito ispirazione e materiali. Diverse le fasi di attivazione degli istituti coinvolti. Gli studenti del Dipartimento di Architettura e Disegno industriale Unicampania, sotto la guida della Professoressa Morelli, hanno disegnato i progetti che gli studenti dell’Accademia Galdus Orafi di Milano (foto al centro) hanno interpretato e tradotto in gioielli, impreziosendoli con perle e coralli, forniti dagli scarti di due laboratori di Torre del Greco (foto al centro). Tra questi anche degli occhiali in argento e perle. Un’iniziativa quindi che, oltre a unire, si riallaccia al tema della sostenibilità e del riciclo. Tra l’altro il progetto, pensato prima della pandemia, prevedeva l’incontro tra gli allievi delle diverse scuole, che non è stato possibile organizzare. Sempre da Torre del Greco, dagli studenti dell’Istituto Superiore Degni, provengono orecchini pendenti, spille, collane con argento, perle e cammei di conchiglia, tipici del luogo. Gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna hanno creato collane e anelli in ottone, bronzo e argento, decorati e impreziositi con scarti di lavorazione del corallo, della madreperla, dei cammei di conchiglia, ma anche con piccoli sassi. E hanno utilizzato  la tecnica del mosaico, per cui è famosa Ravenna (foto in alto). Uniti quindi, ma conservando ognuno le tradizioni del territorio. 


giovedì 21 aprile 2022

UNA STORIA DI LIBERTA'



“Uno spettacolo che dovrebbero vedere tutti… che dovrebbe essere portato nelle scuole e nelle fabbriche” ha scritto Ugo Volli alla sua prima rappresentazione. Ora Nome di battaglia Lia è riproposto dal Teatro della Cooperativa di Milano (fino al 24 aprile) per celebrare i vent’anni, nella rassegna Controventi.  La frase del critico è più che mai d’attualità. Lo spettacolo evoca episodi e momenti della Resistenza a Milano, nel quartiere di Niguarda, proprio dove si trova il teatro. Ma in realtà è un’universale “grande storia di libertà”, che va oltre il periodo e il luogo. 

Sul palcoscenico con Renato Sarti, autore del testo e regista, le bravissime Marta Marangoni e Rossana Mola. Perfette, credibili, convincenti a interpretare quelle donne che sono state fondamentali nel movimento di Liberazione. Apparentemente donne comuni, semplici, in realtà veri e propri personaggi. Alle volte sono loro che ricordano il passato e si raccontano a Sarti. Alle volte inscenano qualche episodio, come quando fingono di portare un bebé in ospedale, ma in realtà tra le coperte è avvolto un fucile. Parlano spesso in dialetto milanese. Si prendono in giro, scherzano. Mai si piangono addosso. Nessuna è esaltata, nessuna si sente eroina, eppure il loro coraggio è immenso. Sono state importantissime per la causa, direttamente o indirettamente aiutando i mariti, i fidanzati, i padri in carcere, nascondendoli ai fascisti con intelligenza, portando aiuti o assistendo i militari feriti.  Tra queste donne c’è la Lia del titolo, nome di battaglia di Gina Galeotti Bianchi, una delle figure più di rilievo del gruppo di Difesa della Donna, con quarantamila aderenti, di cui oltre tremila attiviste. Nella finzione, che rievoca la sua tragica morte, Lia, incinta, è in bicicletta accanto a un’amica. E’ il 24 aprile 1945, dei nazisti in fuga la colpiscono con una raffica di mitra proprio al ventre, dove c’è quel bambino di cui lei dirà, prima di morire “Quando nascerà non ci sarà più il fascismo”. Una scena rievocata senza alcuna retorica o drammatizzazione forzata, e proprio per questo ancora più realistica e toccante. Con l’amica che non si dà pace di non essere morta al suo posto, lei che un figlio non ce l’aveva in pancia.  Lo spettacolo, incominciato con il suono di una sirena a cui non segue però un attacco aereo, come dice una voce fuori campo,  termina con Sarti che apre la bandiera della pace.

mercoledì 20 aprile 2022

PIU' CHE UN MEMOIR

Se proprio si vuole inquadrarlo, La terra promessa di Clara Farber (Jaca Book) è un romanzo storico di nuova generazione. Di nuova generazione perché, anche se è ambientato nella prima metà del secolo scorso, la narrazione è attuale, leggera, svelta, la lettura prende. Non è un caso che l’autrice Constance Weil Rauch (scomparsa nel 2015 a 82 anni) sia autrice di romanzi gialli di cui uno The Landlady del 1975 è stato un bestseller tradotto in diverse lingue (in italiano L’inquietante signora del piano di sopra, Sonzogno). Ma come dice il commento, in quarta di copertina, La terra promessa di Clara Farber “è tutt’altra scrittura”. 


Parla di Clara, una bambina con padre ebreo la cui famiglia è costretta nel 1939 per il nazismo a emigrare negli Stati Uniti. Un racconto quindi del viaggio, ma soprattutto degli anni a New York fino al dopoguerra. Episodi di vita comune, tra scuola, campus estivi, vacanze, s’intrecciano con gli avvenimenti del momento storico. Tutto ruota intorno a Clara, e a quello che le succede, agli incontri, alle difficoltà ma anche ai giorni felici, dai piccoli ai grandi eventi. Nonostante non sia scritto in prima persona è filtrato dalla visione della bambina. Reale, fedele ai fatti, con riflessioni alle volte infantili, ed emozioni comunque vere, sentite, provate. Perché l’autrice, le ha vissute davvero ed è quello che rende il romanzo interessante e singolare. Anche la storia del libro è particolare. Il viaggio di Clara-Constance, infatti, non parte dalla Germania, ma da Recco, Riviera Ligure, dove Hans suo padre, filosofo e allievo di Max Weber, aveva fondato in una villa con grande parco, chiamata Villa Palme, la Scuola del Mediterraneo, dove  bambini e ragazzi ebrei dai 6 ai 18 anni, allontanati dalle scuole per le leggi razziali, ricevevano un’istruzione secondo metodi d’avanguardia. Che si rivelerà anche un modo per metterli in salvo, dato che riusciranno a rifugiarsi in Svizzera, inscenando una gita in montagna. Villa Palme, abbandonata per anni, verrà poi divisa in appartamenti. Uno di questi nel 2010 viene acquistato da una coppia di scienziati che nelle cantine ritrovano dei ritagli di giornale sulla Scuola del Mediterraneo e le sue vicende. Grazie all’aiuto di un amico americano riescono a trovare dei documenti in proposito nel museo dell’Olocausto di Washington e arrivano a contattare Constance Weil Rauch. Tutto questo viene descritto in modo appassionante, attraverso la testimonianza dagli scienziati Maria Pia Abbracchio e Angelo Reggiani, la postfazione e la premessa di Giuliana Bendelli, professore di lingua e letteratura inglese presso l’Università Cattolica di Milano, che ha curato la pubblicazione, e le note bibliografiche della traduttrice Anna Maria Montanari. Completano il libro foto in bianco e nero di Villa Palme e Recco degli anni'30.


venerdì 15 aprile 2022

W LA TERRA

Il 22 aprile è l’Earth Day, nuova festa nata negli Usa, e dove se no, per la protezione del pianeta. E così dopo aver festeggiato gli innamorati, i papà, la Pasqua e appena prima di celebrare tutte le mamme del mondo, la rete si riempie di comunicazioni e annunci su eventi, iniziative, prodotti legati a sostenibilità e rispetto dell’ambiente. L’elenco è interminabile. La moda, settore più inquinante dopo il petrolio, è uno dei più attivi a contrastare la sua fama. 




Svariate le provenienze dei materiali usati. Dagli scarti di produzione rigenerati alla plastica recuperata in mare, ormai un classico, alle reti da pesca. Così Giglio.com, sito di moda di Palermo, con Risacca, progetto di economia circolare per salvaguardare l’ambiente marino, ha ideato una collezione di eco-bags che riutilizzano le reti da pesca (al centro). Si calcola che solo a Mazara del Vallo in un anno ne vengano abbandonate dieci tonnellate. Sono fatti di rifiuti plastici marini gli orologi Iamthesea, analogici, ovviamente impermeabili, in otto colori e due dimensioni (in alto). E’ un progetto, parte del più vasto di Tide, che ha l’obiettivo di raccogliere entro il 2025 un miliardo di bottiglie. Per un orologio si usano 85 kg di plastica, cioè 3 bottiglie. Sono in Econyl, nylon ottenuto dal riciclo di rifiuti plastici marini, gli occhiali di Quoise Eyewear, con nomi di pesci e colori flou. Eco Eyewear linea di Modo Eyewear, per i suoi occhiali usa materiali riciclati come i metalli e le plastiche marine o il bio acetato. In questa avventura eco si è unita all’associazione Trees for the future e per ogni occhiale venduto viene piantato un albero, diventati due per l’Earth Month 2022.  Tombolini, guru della moda maschile, per la Giornata della terra ha creato una giacca-camicia al 100% biodegradabile: in filati organici e decomponibile in modo naturale, bottoni, etichette e grucce comprese.  Al 100% eco-sostenibile la capsule di sneaker Acanto del brand salentino Maimai. Tomaia in suède sostenibile, dettagli in cuoio riciclato, fodera in fibra di bamboo, suole in lattice, stringhe in cotone naturale, sottopiede in fibre ricavate dal Kenaf e packaging in materiali riciclati.  Tomaia in eco jeans textile, fodera in eco stretch fabric  e una lavorazione con meno del 65% di acqua rispetto alle tradizionali per Mojito Planet Denim, la scarpa di Scarpa, azienda veneta leader delle calzature da montagna (in basso). Anche i gioielli possono contribuire a salvare il pianeta. Così il Giardino degli Angeli di Roberto Giannotti che con i suoi bijoux per bambini a forme di animali, cuori, fiori, contribuisce alla riforestazione nei paesi dove la raccolta selvaggia ha creato danni enormi.

martedì 12 aprile 2022

FAVOLOSO RODARI

Perché Gianni Rodari, o meglio le sue poesie e i suoi scritti, piacciono sia agli adulti che ai bambini? Perché c’è il surreale ma anche il realismo, c’è la favola e la cronaca, non c’è buonismo ma neanche cinismo, né tanto meno manicheismo. Lo spettacolo Children’s Corner – L’angolo di Gianni Rodari, in scena nella sola serata di ieri al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, lo racconta anzi lo spiega. Sul palcoscenico Michele Pirani e il trio Synchordia (flauto, viola, arpa) che insieme hanno ideato lo spettacolo con testi di Gianni Rodari e musiche di Claude Debussy, Robert Schumann e Marco Pedrazzi/Diego Tripodi.


Con parole e note trattano di favole e del modo di raccontarle. Dalle fiabe al telefono del papà lontano alla suite, intitolata appunto Children’s Corner, che Debussy dedicò alla figlia Chouchou e la composizione di Schumann per far addormentare le sue tre figlie. E così Pirani diventa di volta in volta il papà del telefono, i celebri musicisti, il tamburino magico con il walzer, la mazurka, la polka di Pedrazzi e Tripodi.  Ora è il bambino che vuole che gli si racconti una fiaba e lui stesso ne inventa delle nuove, sempre di Rodari, naturalmente. Ecco allora i pezzi più surreali e divertenti come i numeri inventati o i vecchi proverbi che non solo non li ricorda e non li cita più nessuno, ma addirittura si contraddicono tra loro. O ancora la storia del paese in cui tutto ha l’esse davanti. Questi pezzi sono forse quelli che meglio rendono la magia e il genio di Rodari. Capaci di far ridere i bambini, perché legati al loro mondo, quasi loro invenzioni. Ma nello stesso tempo divertire gli adulti, perché dietro, al di là del poetico, c’è una verità, una realtà su cui ragionare. Un inno alla fantasia garbato, in apparenza semplice, ma con un retro pensiero forte, studiato, che rivela un grande scrittore. Che lo spettacolo riesce a rendere molto bene. Con la giusta dose d’ironia, la grande raffinatezza, l’eleganza senza compiacimenti, l’allegria mai sopra le righe.


mercoledì 6 aprile 2022

IL MOSTRO E' SERVITO

Il monologo è una formula perfetta per il teatro o meglio è un modo di raccontare possibile solo con il teatro. Certamente non è facile e soprattutto non è da tutti. Oltre a un testo con un forte contenuto richiede anche qualcuno che lo sappia comunicare. Se un testo comico è impegnativo ma può essere fine a se stesso, quello drammatico difficilmente può essere isolato da un contesto.  Ecco Mai Morti, al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 10 aprile, raggiunge questa perfezione. Con il testo e la regia di Renato Sarti ha come interprete Bebo Storti nella parte di un nostalgico fascista, il cui modello di riferimento potrebbe essere uno di Mai Morti, il più  terribile battaglione della Decima Mas, da cui il titolo del monologo. 


La scena inizia con un video in bianco e nero: immagini di guerra, stragi, manifestazioni di propaganda del Ventennio. Storti è a letto, si sveglia e comincia a parlare di imprese del passato, dei partigiani, del duce. Sono frasi spezzate, confuse, potrebbe sembrare il delirio di un malato o il risveglio dopo una sbornia. Non si riesce a prenderlo sul serio. Man mano che si alza e incomincia a vestirsi, le sue affabulazioni nere diventano più comprensibili. Sono sempre più grevi, disturbanti, inascoltabili. Partono dal Ventennio ma arrivano alla contemporaneità, sfiorano la cronaca. Dagli eccidi in Africa e la lotta partigiana alla strage di Piazza Fontana al suicidio di Pinelli fino alle torture del G8. Il tutto attraverso esternazioni e commenti xenofobi e razzisti di piena attualità. Il crescendo è fortissimo, dalle prime frasi dove l’orrore è filtrato da un qualunquismo e da una retorica, spinta a tale punto che diventa difficile riderne, fino alle affermazioni violente, alle rievocazioni trucide, alla piena esaltazione. Quando il protagonista indossa la giacca diventano esortazioni, incitamenti alla violenza, condanna di tutto cioè che è antifascista. L’attore diventa una figura terrorizzante, e quando infila il basco nero, ultimo dettaglio, il mostro è completato.  Talmente reale, emozionante, trascinante, che l’applauso esita. Bebo Storti deve togliersi la giacca e sorridere per far dimenticare l’orrendo personaggio in cui si è immedesimato così bene. Ringraziamenti al pubblico, commenti ironici e poi una frase che diceva suo nonno, perfetta in questi tempi. “Gli stupidi fanno la guerra, gli intelligenti discutono”. Il mostro è dimenticato, ma il testo e l’interpretazione restano nella mente e devono restare.

martedì 5 aprile 2022

RICORDANDO MILVA

Sono molte di questi tempi le iniziative umanitarie e benefiche basate sul fare sistema. E il mondo dello spettacolo è spesso coinvolto. Così l’evento di questa sera al Teatro Parenti di Milano. Anche se la protagonista è Milva, scomparsa un anno fa. Ma la sua eredità di sentimenti e generosità è stata raccolta dalla figlia Martina Corgnati, che ha creato, tra l’altro, una fondazione di studi sull’arte medioevale con sede nella casa dove abitava la madre. Dalla stessa eredità etica è nata l’idea di un’asta benefica con gli abiti che Milva ha indossato nei suoi spettacoli e che lei concepiva come parte integrante delle sue prestazioni artistiche. 


Sono trenta modelli firmati dai nomi più importanti della moda italiana, Armani, Ferré, Gattinoni, Gai Mattiolo, Versace e verranno battuti all’asta da Cristiano De Lorenzo, direttore generale di Christie’s Italia, dopo lo spettacolo Milva icona di stile, un’arte per la cura. Condotto dal regista Pino Strabioli vede la partecipazione di Martina Corgnati e del musicista e cantante Giovanni Nuti, che con Milva ha lavorato in diverse occasioni tra le quali Milva canta Merini del 2004, con le poesie della poetessa, con cui Nuti ha collaborato per 16 anni. L’introito della serata sarà devoluto al progetto RiCuCi, Ricrearsi e Curarsi con il Cinema. Curato dall’Associazione Qualia, convenzionata con l’Università di Pavia e l’Ospedale milanese di Niguarda, e MediCinema Italia che da anni operano insieme per neuroscienze e cineterapia,  per creare luoghi di cura con l’arte. Un modo per aiutare a vivere meglio le persone fragili con disturbi cognitivi dovuti all’età e chi le assiste. Un problema che, data la durata della vita media in rialzo( A Milano ci sono 670 ultracentenari. La demenza colpisce il 5% delle persone dai 65 anni in su ed è in aumento) è sempre più grave, come ha spiegato la professoressa Gabriella Bottini docente a Pavia e neuropsicologa  a Niguarda, che ha curato per dieci anni Milva. Non ci sono farmaci per questo tipo di malattie, mentre arte e cinema possono aiutare la persona malata e chi le sta intorno a vivere meglio. E soprattutto a restare la persone che è stata. Un’iniziativa questa, come hanno ricordato i relatori alla presentazione dell’evento, in linea con l’etica di Milva, sempre impegnata socialmente. 


TUTTO QUEL CHE E' REALE E' ARTE ?

E’ una banalità, di sicuro è stradetto: l’arte è sempre più legata alla vita, alla cronaca, perfino alla quotidianità. Che denunci o sostenga cause o che si limiti a osservare, non è mai staccata dalla realtà. Il ventiseiesimo  Miart, fiera internazionale di arte moderna e contemporanea di Milano, appena concluso, ne è una dimostrazione.  Presenti 151 gallerie provenienti da venti paesi. 




Se i numeri sono determinanti per aver reso il Miart la prima fiera d’arte italiana, ad averne fatto un appuntamento imprescindibile per collezionisti internazionali, ma soprattutto pubblico, è merito della qualità e dell’equilibrata varietà delle proposte. 

Diretta per la seconda volta da Nicola Ricciardi, mette insieme capolavori della tradizione e della contemporaneità  con le opere di una selezione di artisti emergenti e intriganti, in un giusto equilibrio fra presente e futuro. Questo anche mantenendo la divisione in sezioni, ridotte a tre in questa edizione. Da Established con  gallerie che espongono opere dei massimi artisti internazionali, moderni o contemporanei, da Klee a Botero, per citarne solo due.  A chi si concentra, come la  Galleria Frediano Farsetti di Milano  sui nomi italiani  più importanti  dagli inizi del Novecento  a oggi, da De Chirico e Morandi fino a De Dominicis, Pistoletto e altri. O come Copetti Antiquari di Udine con lo straordinario  omaggio all’America Latina di Alik Cavaliere ed Emilio Scanavino per la Biennale di San Paolo del 1971.  Presente la fotografia con pezzi interessanti come le foto di David Hockney della Galerie Lelong (Parigi e New York). E anche il design e l’arredamento. Come i mobili e l’oggettistica di Ernesto N.Rogers (al centro)e Angelo Mangiarotti di Eredi Marelli. La sezione Decades, curata da Alberto Salvadori, come sempre, ha raccontato la storia dell’arte  con progetti monografici dalla prima decade del Novecento  alla prima  del Duemila. Mentre Emergent, situata  nel corridoio d’ingresso, ha proposto  artisti  e galleristi di recente generazione. Nell’attenzione alla contemporaneità delle opere, diversi i riferimenti  alla pandemia, alle sorti del pianeta, anche alla moda. Dalla scritta luminosa di Alfredo Jaar  “e quindi uscimmo a riveder le stelle”  datata 2022 al Future che brucia di un altro cileno, Santiago Sierra (in alto). Agli inquietanti occhi di Ruth Beraha. Fino al Balenciaga Revenge  di Tobias Kaspar, artista svizzero che ama indagare sui meccanismi della moda e sul suo discutibile potere di seduzione (in basso).

sabato 2 aprile 2022

RITORNO A CORTONA

Che Luca Signorelli sia uno dei maggiori interpreti della pittura rinascimentale è risaputo. Ma che sia stato un pittore alla 
avanguardia per i suoi tempi e non allineato lo ha messo in evidenza la storica dell’arte Anna Torterolo alla presentazione del libro Cortona e l’umanesimo ritrovato di Gioia Olivastri (Edizioni Colibrì).


A illustrare un testo di fluida lettura, nonostante il documentato contenuto, ci sono infatti immagini con opere di Signorelli dove è rilevante la rivisitazione  dell’iconografia dei tempi, fortemente legata al sacro. Il libro, in cui l'autrice mette in luce e approfondisce il legame fra la storia francescana e quella rinascimentale, è frutto di ricerche e studi, ma soprattutto di una passione per la storia dell’arte trasmessagli dal papà Enzo pittore e dalla mamma insegnante, ma soprattutto dall’amore per Cortona, dove è nata e ha vissuto fino all’età di 19 anni. Su Luca Signorelli e la chiesa di San Francesco di Cortona, intorno a cui tutto ruota, si è creata  l’ associazione americana  Friends of the Church of San Francesco, presieduta da Carolyn Williams, che ha scritto la prefazione del libro, e di cui Olivastri è la coordinatrice italiana. Il suo scopo è studiare e ricercare con scavi e interventi quello che riguarda questo gioiello di architettura datato 1245, di cui molti dipinti e reliquie sono ancora nascosti. Tra cui anche il corpo dello stesso Signorelli che una scritta su un muro, manoscritti e documenti ritrovati segnalano sia stato sepolto lì per sua precisa richiesta. E questo mystery è uno dei tanti elementi che rendono appassionante la lettura.