domenica 23 agosto 2020

SEI MAI STATO A SERRAVALLE?



Se poi si aggiunge Scrivia, immediato il riferimento all’outlet, uno dei primi e forse dei più vasti, almeno per chi ha superato i quattro anni e ha da tempo passato i novanta. Per i più acculturati, invece pochi, potrebbe significare l’area archeologica di Libarna. Però chiunque abbia imboccato l’autostrada che da Milano porta a Genova, dopo l’uscita di Serravalle, non può non avere notato sulla sinistra un enorme palazzo, genere monastero, affiancato da una chiesa. Raggiungerlo non è facile, anche perché non ci sono molte indicazioni. E’ il castello di Stazzano, comune di 2500 abitanti sulle ultime propaggini delle colline liguri, ma già in Piemonte, alla confluenza dei fiumi Borbera e Scrivia. L’uscita dell’autostrada consigliata è, infatti, Vignole Borbera. Dal centro del paese ci s’inerpica per una strada asfaltata, di impegnativa percorrenza, fiancheggiata da boschi. Dopo svariate curve da brivido si arriva a un maestoso cancello. Quasi impossibile fare manovra. Ma quello che appare vale le difficoltà. Costruito in epoca medioevale come residenza dei vescovi, il castello dalle mille finestre è a strapiombo sull’abitato e circondato da un enorme parco. Accanto, accessibile da un’imponente scalinata, il santuario del Sacro Cuore, chiesa a tre navate con volte a cassettoni. Ora è in parte residenza per anziani, in parte struttura per disabili. Ma anche da dietro al cancello si apprezza la meraviglia del luogo (in basso). Molto vicino in linea d’aria, ma altrettanto difficile da raggiungere, il santuario di Monte Spineto a 459 metri, preceduto da una stretta salita con le cappelle della Via Crucis. Sembra che sia stato costruito come ringraziamento dagli abitanti di Stazzano costretti a rifugiarsi sul cocuzzolo per i saccheggi dei soldati del Barbarossa. La facciata è stata ricostruita nella metà del 1800, come il campanile con pietre a vista(al centro). La chiesa-santuario ha tre navate e tre altari con un notevole soffitto affrescato. All’entrata, composto con le pietre, il monogramma mariano (in alto). Accanto un vecchio edificio di tre piani del 1929, adibito un tempo a ospizio. Qui ora vive sola Suor Pia, raggiunta per le festività, le domeniche e le celebrazioni speciali dal sacerdote. Tutto qui è incuriosente, interessante, un po’da favola, ma la vista a 360 gradi supera tutto. Dal verde intenso alle montagne, all’urbanizzazione. Si potrebbe stare delle ore a girare su quel piazzale, ma non basterebbero per scoprire tutti gli scorci e i punti di vista.

giovedì 20 agosto 2020

MONTANARI ASTENERSI?

Niente affatto. Certo il titolo non lascia dubbi sui contenuti e quindi sul lettore a cui è destinato. Eppure Vele dal Vero di Pietro D.Patrone, ingegnere civile e docente universitario (Erga Edizioni), può interessare un pubblico ben più vasto purché curioso. E il sottotitolo sotto la data (1840-1890) lo anticipa : Velieri, vele e personaggi di P.Domenico Cambiaso, disegni e acquarelli. S’intuisce che non si parlerà di Luna Rossa e di istruzioni sull’andare di 

















bolina o sui vari tipi di nodi (argomento per libri-regalo di mogli/fidanzate al marito/ fidanzato apprendista o sedicente velista negli anni ‘80). Si parte dalle opere di Pasquale Domenico Cambiaso su cui i critici ancora dibattono se sia un paesaggista o un vedutista. L’artista, infatti, non solo ritrae le barche, non tutte a vela, ma spesso le inserisce in un contesto. Non si limita a Genova, dove era nato nel 1811, ma traccia un viaggio per coste e laghi. Dall’isola di Caprera alla Laguna di Venezia, a Civitavecchia, da Nizza e Villefranche a Sorrento e Napoli, fino al lago Maggiore e alle isole Borromee, con la baldresca meglio conosciuta come Lucia, per reminiscenze manzoniane. Si scopre così che dietro le gondole a Rialto ci sono trabaccoli, bragozzi, brazzere a vele quadre per il trasporto di merci e anche leudi, tipica imbarcazione ligure modificata per le esigenze lagunari. A far da sfondo alle barche una Recco che non ha nulla da invidiare all’agglomerato di casette di Vernazza, oppure a sorpresa scorci di costa con chiese rimasti tali e quali. C’è un solo interno di veliero e varie pagine, come dice il sottotitolo, dedicate ai personaggi che non sono solo i Cap-Horniers, capitani coraggiosi, che con il cerchietto d’oro al lobo dell’orecchio o il veliero tatuato sul petto, provavano l’exploit di aver superato il più temibile dei capi. Ci sono le donne sulla spiaggia che stendono non le reti, ma i lenzuoli ad asciugare, omini con bastone e cappello sulla collina di Albaro (Genova), pescatori al porto e perfino due signore in un paese dell’entroterra, forse già Piemonte, con abiti ritratti nei minimi dettagli. Mogli di naviganti, chissà? Variata non solo la tecnica pittorica, matita, acquarelli, olio, ma anche la base, cartoncino, tela, carta ingiallita ecc. A completare il libro ritratti di navi, ex voto, una bottiglia con dentro due battelli che passano davanti a Sori (Riviera di Levante) e perfino un modello in scala di un gozzo ponentino per un presepe animato.

mercoledì 12 agosto 2020

STORIE DI ORDINARIA PANDEMIA


Pandemonio. Tra vita morte e miracoli. Così s’intitola la mostra che inaugura oggi alla Maison de l’Artisanat International a Gignod, a pochi chilometri da Aosta. Titolo intrigante che stimola la curiosità e ben anticipa contenuti di storia, arte, artigianato, tenuti insieme dal filo dell’attualità. Un ennesimo, felice esempio di come la creatività si sia manifestata in questi tempi di Covid. Voluta da Nurye Donatoni, conservatore dei musei dell’IVAT(Institut Valdotain de l'Artisanat de Tradition), con l’allestimento di Fabrizio Lava, affronta, su svariati piani, come l’uomo nei secoli si sia confrontato con le epidemie. Dai sistemi di difesa più o meno validi alle implicazioni sociali e religiose. Dalla ricerca scientifica alle credenze popolari fino alle sculture di arte sacra del Seicento e dell’Ottocento o all’ arte tribale africana. Con una parte significativa dedicata all’attuale pandemia. Esposti su sedici grandi pannelli ci sono foto e testi di professionisti, alcuni dei quali della Neos, associazione giornalisti di viaggio. Raccolti da Pietro Tarallo e Maddalena Stendardi, raccontano di un mondo completamente cambiato. Immagini di città e metropoli deserte, New York (foto Matt Sclarandis), Milano, Firenze,si alternano a quelle di una natura che si palesa all’improvviso (il cigno con i suoi piccoli, foto Giovanna Dal Magro). Ritratti di persone comuni in una realtà sempre più virtuale  si affiancano a situazioni di estrema desolazione. Flash, sia fotografici che di parole, di un quotidiano modificato tratteggiano un panorama surreale, filtrato da una garbata ironia. A completare l’esposizione  manufatti realizzati dagli artigiani valdostani durante il lockdown e opere di artisti ispirati dalla pandemia. La mostra è aperta fino al 31 ottobre, tutti i giorni dalle 13 alle 19, escluso il lunedì. L’ingresso è libero. www.lartisana.vda.it


domenica 9 agosto 2020

INSOSPETTABILI BORGHETTI




Il nome non è attraente. Nessuno penserebbe a una canzone dal titolo Torna a Busalla. A nessuno verrebbe in mente di cantare Busalla è finita e dire che era il luogo del mio primo amore o ancora Ho trovato l’amore a Busalla. Perfino Frank Sinatra, nonostante la mamma ligure non avrebbe mai intonato Busalla, Busalla. Se in quest’ultimo caso l’impossibile confronto con la metropoli americana può essere una spiegazione valida, negli altri casi è il nome l’handicap. Il paese dell’Appennino ligure, infatti, ha scorci e angoli perfetti luoghi ispiratori d’amore e anche meno scontati, proprio perché senza il mare, di Sorrento, Capri o Portofino. Dai più conosciuta come uscita dell’autostrada che da Milano porta in Liguria, Busalla ha parecchio da offrire. Certo non è così immediato, non ci sono segnalazioni particolari, va scoperto a poco a poco. Ma specie nei dintorni si trova di che essere soddisfatti. Non è un caso che quel tratto di Appennino sia stato scelto ai primi del Novecento come villeggiatura dalla ricca borghesia genovese. Le tracce restano, alcune visibili anche da lontano passando sull’autostrada. Sono una torretta incuriosente, un’enorme terrazza che sovrasta un’arcata, un castellozzo con tratti Liberty. Il tutto immerso nel verde. Una buona concentrazione di questi spunti è a Borgo Fornari, una frazione di 1535 anime del comune di Ronco Scrivia,  a metà strada fra questo paese e Busalla. Con una storia che incomincia nel V secolo d.C. raccontata in parte dai resti di un castello medioevale. Ma quello che affascina sono le ville, enormi, spesso in posizione dominante, alcune fatiscenti, altre ristrutturate e trasformate in condominio, altre nascoste in un parco fittissimo di alberi. Improvvisamente, camminando per una stretta strada ci si imbatte in un grande cancello. I due pilastri laterali hanno le stesse decorazioni di un palazzo collocato più in alto. Ora sono collegati a una recinzione bassa e anonima che chiude un cortile su cui si affacciano vari appartamenti. Ci sono case con terrazzini fioriti, altre hanno muri con finestre trompe-l’oeil, un edificio ha decorazioni geometriche. Il giardino intorno a un palazzotto è circondato da un recinto di cemento che simula uno steccato in legno su cui poggiano degli uccelli. C’è una villa nell’inconfondibile stile di Gino Coppedé. Costruita nel 1908 è stata l’abitazione di Geo Davidson, mitico campione italiano di velocipede del 1886, nonché uno dei fondatori del Genoa Cricket and Football club. Una piccola chiesa, l’Oratorio di San Sebastiano, ha sul portone la data 1777. All’interno due crocefissi processionali e un dipinto di pregio. Nel vicino circolo della Pro loco, ci sono altalene e casette per i bambini e tavoli dove gli anziani giocano a carte. In paese sembra che tutti abbiano un cane. Si sporgono dai terrazzini, abbaiano dietro le sbarre di un cancello, spesso sono in coppia. Sul muro di una casa in ristrutturazione una lunga scritta in genovese. Una poesia? Un’esortazione? Un racconto? Un ricordo? Quasi impossibile capire se non si è esperti nel dialetto.