mercoledì 30 dicembre 2020

IL TEATRO IN UNA STANZA



E’ forse l’ultima iniziativa dell’anno, prolungata ai primi di gennaio, che ribadisce l’importanza del teatro e come se ne senta la mancanza.  Sono i quattro spettacoli, in streaming, con cui il Teatro della Cooperativa di Milano partecipa a Contatto. La natura del sapere, rassegna online di concerti, dibattiti, eventi d’arte, appunto spettacoli, proposta da Cantierememoria e organizzata dal Comune di Milano e Casa della Memoria. Già dal primo spettacolo, domenica 27, emerge il livello. Non solo perché Nave fantasma (foto in alto),  di Giovanni Maria Bellu, Renato Sarti e Bebo Storti, ha ricevuto il Premio Gassman/Città di Lanciano 2005 (anno dell’uscita) per miglior testo italiano. Quanto perché riesce a mettere insieme la formula cabaret con la cronaca di una tragedia, solo sfiorando la satira, di cattivo gusto nel contesto. Il titolo, comune a molte storie di misteriose sparizioni di navi, vere o di finzione cinematografica, 

fa riferimento al battello di migranti indiani, pakistani e di Sri Lanka, naufragato al largo di Portopalo, in Sicilia.  Questo accade sotto Natale, un cenno sui media e la faccenda si chiude per dare spazio ai resoconti dei festeggiamenti. Sul palcoscenico Renato Sarti, che ha curato anche la regia, e Bebo Storti diventano di volta in volta i pescatori che trovano nelle reti i cadaveri, i giornalisti, i politici. In streaming martedì 29 Chicago Boys (foto al centro). Scritto da Renato Sarti, che ne è anche il regista, lo spettacolo del 2009 s’ispira a quel gruppo di economisti cileni formatisi alle teorie neoliberiste di Milton Friedman, oppositori di Allende e poi consulenti di Pinochet, che hanno avuto un ruolo fondamentale nello scellerato programma economico della dittatura. Sul palcoscenico, trasformato in un rifugio antiatomico, Sarti è immerso in una vasca da bagno in vestaglia. Dove mangia, beve, fuma sigari e si esibisce in una specie di conferenza su strategie, statistiche, piani, programmi. Inframezzata da vergognose testimonianze, frasi becere, insulti alla escort seminuda, interpretata da Elena Novoselova, obbligata a sottostare alle sue voglie. Un testo di straordinaria divulgazione su un argomento non abbastanza conosciuto, dove si ride anche, ma “con l’orrore nel cuore”, hanno scritto. I prossimi spettacoli sono Arlecchino e Brighella nel bosco dei giganti, teatro di burattini con testo e regia di Renato Sarti alle 21 del 2 gennaio e Sono bravo con la lingua, divertente ma anche profondo monologo di e con Antonello Taurino su fonemi, idiomi, linguistica, computer (v.L’Espa.net 18 gennaio 2020), sempre alle 21 del 5 gennaio.  https://www.cantierememoria.it/

    

 

domenica 27 dicembre 2020

QUANTO DURA UN SECONDO?

Difficile stabilirlo con precisione non guardando l’orologio. Eppure con la stessa precisione può essere calcolata la durata di un video con tre fotogrammi, impercettibilmente diversi.  E’ il caso di Intuition, un’installazione che si poteva vedere in streaming dalle ore 3:00’00’ alle ore 3:00’01’’ del 25 dicembre su Instagram e sul sito della Farahzadart Gallery di Milano (www.farahzadart.com). S’intuisce, la parola è a proposito, una parete con una finestra da cui s’intravvede un palazzo con bandiere che sventolano. Mentre questa si rimpicciolisce, diventano più grandi una luce simile alla luna sul fondo e un fascio di luce a terra proiettato da un piccolo faro. Forse un messaggio di speranza, la famosa luce in fondo al tunnel? Filosofia da vedere sottotitola l’opera il suo autore Behnam Alì Farahzad, fondatore e proprietario dello spazio Farahzadart. Laureato in Interior Design all’Università di Teheran e diplomato in Pittura all’Accademia di Brera di Milano, dove risiede e lavora dal 1980, Farahzad non è nuovo a queste installazioni lampo, sempre collegate all’attualità. Il 12 dicembre, con lo stesso orario e stessa durata, ha creato una video scultura con il titolo benaugurante di La terra ha trovato la sua nuova strada. L’8 giugno era stata la volta di Noi siamo plasmati sull’immaginazione del passato con un suo


dipinto del 1990. Il 1° di giugno un fascio di luce illuminava sue stilizzate rappresentazioni del virus per Fluid Coronavirus Covid 19. Sempre sul tema Coronavirus, il 18 maggio, I love you. La natura respira ancora (dove la O di Love era l'immagine del virus) e Coronavirus Art l’8 maggio e il 26 aprile. A precedere, e in qualche modo inaugurare queste filosofie da vedere, tutte in un secondo alle 3 del mattino, L’universo che osserva del 12 aprile con l’artista e performer Gretel Fehr (v. L’Espa.net del 16 aprile).

mercoledì 23 dicembre 2020

NATALE TRANSGENDER

Per quanto in chiave più sommessa, questo Natale rivela interessanti e inediti aspetti. Il lockdown continua a scatenare la creatività. Le tradizioni si rispettano, ma c’è qualcosa di nuovo e non necessariamente alternativo.  Al borgo minerario dismesso dell’Argentiera di Sassari continua, come ogni anno, Luci in miniera.







Ma in questa edizione il museo a cielo aperto, progettato per dare vita a uno dei più interessanti esempi di archeologia industriale, propone cinque nuove installazioni. C’è Albero del buio, un albero di Natale sì, ma architettonico, fatto di lanterne realizzate con materiali di recupero e decorate dai bambini. Terra è l’allestimento all’esterno degli oggetti della memoria normalmente esposti nell’Antica Laveria. Aria è un’installazione luminosa, sonora e interattiva che illumina i luoghi più interessanti del borgo. Acqua è uno spettacolo con giochi di luci sull’Antica Laveria, l’edificio più emblematico dell’Argentiera. E infine c’è Fuoco, un’installazione che dà luce alle dieci opere degli otto artisti vincitori di una call internazionale. Da vedere in realtà aumentata con il semplice uso dello smartphone. Luci in miniera prosegue per tutto il periodo natalizio. 
Resterà invece fino a marzo Shy la scultura di Antony Gormley collocata nella Piazza del Duomo di Prato il 19 dicembre. Non è un’opera prettamente natalizia ma è legata al Natale, perché vuole creare empatia, "generare sentimenti soggettivi, teneri, intimi, interiori".  “Voglio fare qualcosa che sia sicuro della sua presenza come punto di riferimento…si connetta con il nostro io interiore e si confronti con quelle emozioni umane più timide (da qui il titolo) e silenziose come la tenerezza e la vulnerabilità” è il commento dell’artista inglese. Alta quasi 4 metri, la scultura, realizzata con 3600 kg di ghisa, crea un dialogo tra i materiali e le lavorazioni della rivoluzione industriale e l’arte della settecentesca Piazza del Duomo con il rinascimentale pulpito di Michelozzo e Donatello, che decora un angolo della facciata. Un modo per ribadire l’impegno del Comune di Prato e del Centro Pecci per l'Arte Contemporanea a tenere viva la collaborazione tra realtà industriale, ambiente e artisti internazionali.


venerdì 18 dicembre 2020

QUANDO SALVIAMO IL MONDO?

Possiamo salvare il mondo prima di cena. Così s’intitola l’ultimo best seller di Jonathan Safran Foer e anche la versione teatrale, scritta e diretta da Emilio Russo, in scena al Teatro Menotti. Ma non è un titolo a effetto. Tutti noi siamo responsabili di quel che sta succedendo al nostro pianeta, destinato a diventare troppo caldo per essere abitato. Perfino con quello che mangiamo, per esempio troppa carne, contribuiamo alla sua distruzione. Ed è per questo che una scelta etica prima di cena, può contribuire a salvare il mondo. Tutto quello che nel libro scrive Safran Foer è l’argomento su cui dibatte un gruppo di giovani, studenti, musicisti, attivisti, che si ritrovano in un loft. Li interpretano, in modo convincente, i bravissimi attori del Collettivo Menotti: Enrico Ballardini, qui sempre con la chitarra in mano, Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Helena Hellwig che incanta con la sua voce, Jacopo Sorbini, Chiara Tomei. Ricordi, idee, supposizioni, citazioni, dati, letture di stralci dai libri, commenti, anche qualche battuta, ma sempre pertinente. Ogni tanto qualcuno scrive su una lavagna, all’inizio vuota, le frasi più forti o i dati più significativi. Che sono moltissimi, tanto che a fine spettacolo sulla lavagna c’è un groviglio di parole e numeri. Emerge soprattutto l’importanza di prendere atto di quello che sta succedendo, di crederci. E’ tipico dell’umano spostare lo sguardo oltre, pur di non accettare l’inaccettabile. Un atteggiamento che si perpetua nella storia. Qui il riferimento alla Shoah e alla testimonianza inascoltata dell’ebreo polacco sugli orrori dei campi di sterminio. Se è in gioco la sopravvivenza della specie umana, esiste un confine tra rinuncia
e sacrificio? Il sipario si chiude con gli inchini degli attori sulle note e le parole di Losing my religion dei R.E.M. ("Ho detto troppo …non ho detto abbastanza"). Lo spettacolo, da ieri fino a domenica 20 visibile in streaming, conclude il capitolo Fragili come la terra. Per info:www.teatromenotti.org (Foto di Maria Luiza Fontana-Atelier Produzioni).

giovedì 17 dicembre 2020

TROVARSI IN UNA IMPASSE




Impasse Ronsin. Meurtre, Amour et Art au coeur de Paris
un titolo così, con il nome di una via parigina seguita da parole come assassinio, amore e arte, fa pensare a un romanzo d’appendice. Come si diceva tempo fa a proposito di storie di basso profilo, simili a quelle pubblicate a puntate sui giornali nell’Ottocento. Invece è il titolo di una mostra al Musée Tinguely di Basilea, di grande livello. Da vedere più di duecento opere di cinquanta artisti, per la prima volta insieme. Accomunati dall’avere avuto gli atélier nella Impasse Ronsin a Montparnasse, più simile a una via di un borgo di campagna che a una strada della capitale. Dietro una  storia nata nel 1886 e finita nel 1971. All’inizio c’è solo qualche artista nelle case sulla parte destra del vicolo, qualche anno dopo lo scultore e pittore Alfred Boucher costruisce trenta atélier. Ci lavorano e ci abitano una quarantina di artisti con un solo servizio igienico e nessuno bagno. Nel 1908 arriva anche il meurtre e lo scandalo: lo scultore Adolphe Steinheil viene assassinato nel letto insieme all’amante, sua suocera. La sospettata è la moglie-figlia tradita. Al suo processo emerge che dieci anni prima ha avuto una relazione con il presidente francese Felix Faure. Al di là della parentesi gossip l’Impasse diventa il punto di incontro dell’avanguardia. Tra i più accreditati il rumeno Constantin Brancusi (foto in basso) che abiterà qui dal 1916 fino alla morte nel 1957, in uno studio frequentato da giovani apprendisti considerato un modello. Tanto che è stato ricostruito di  fronte al Centre Pompidou. Dopo la Seconda Guerra Mondiale arrivano artisti anche dall’America. Nel 1955 ecco Jean Tinguely (foto in alto)prima con la moglie Eve Aeppli, nota per le sue bambole sofferenti in stoffa o bronzo, poi nel 1960 con Niki de Saint Phalle. Arrivano Max Ernst e William Copley, un precursore della Pop Art. Lo scultore italiano André Almo del Debbio nel 1954 apre un atélier in cui accoglie studenti da tutto il mondo per insegnare le tecniche della scultura. Lo chiuderà nel 1971, con la demolizione del quartiere.  Ora le opere di molti di loro sono collocate in diverse stanze. Non c’è un criterio cronologico nell’esposizione. Capita che qualcuno sia accostato a un altro artista solo perché si sono succeduti nello stesso spazio. Così un’opera di Tinguely è affiancata da quadri di Joseph Lacasse, che ha lavorato prima di lui nello stesso atélier con la moglie. E l’opera di Tinguely, guarda caso, si chiama Le scarpe di Madame Lacasse. Varie foto documentano com'era il luogo e in una stanza è ricostruito lo studio di uno scultore, con opere finite e in fase di realizzazione, scale, attrezzi da lavoro, stracci e perfino macchie e sporco. Una mostra curiosa che parla, comunque, di momenti di grande fervore artistico e creativo. Aperta ieri, con tutte le misure di sicurezza del caso, chiude il 5 aprile. 

sabato 12 dicembre 2020

IMMAGINATE TUTTA LA GENTE...

Continuano gli spettacoli in streaming al Teatro Menotti di Milano. Come da programma ecco in scena, anzi online, Mattatoio N.5, tratto dal romanzo omonimo di Kurt Vonnegut, anche titolato La Crociata dei bambini. Una delle opere più interessanti dello scrittore e accademico americano dove fantascienza e cenni autobiografici si uniscono per un solenne e convincente inno contro la guerra. Ed è questo l’aspetto più sottolineato dalla versione teatrale scritta



da Emilio Russo, che ne è anche il regista, e interpretata dal Collettivo Menotti, i bravissimi Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Jacopo Sorbini, Chiara Tomei. Il protagonista è Billy Pilgrim, americano “alto e gracile” che nella Seconda guerra mondiale viene catturato e imprigionato a Dresda, appunto al Mattatoio. Ma lui sul palcoscenico non compare mai. A raccontare la sua storia o meglio il suo viaggio attraverso il tempo e lo spazio, i quattro attori, ognuno secondo il suo punto di vista. La scena è buia e di volta in volta s’illumina una parte con un personaggio. C’è il giovane scrittore alla scrivania zeppa di carte, che ha pubblicato con editori diversi più di settecento libri di fantascienza. Ricorda l’amico con un modo di parlare ironico e un po’ supponente. C’è la moglie Valencia, goffa e bulimica, seduta sul frigorifero che mangia in continuazione. Racconta che è morta in un incidente d’auto, ma Billy non è andato al suo funerale, perché “presente e futuro sono sempre esistiti”, “si  muore solo in apparenza” ed “è sciocco che la gente pianga ai funerali”. C’è il senzatetto seduto su una panchina, forse a Dresda, che ricorda i momenti della prigionia con Billy. E infine c’è la bella ragazza di Palm Spring dietro le sbarre di una gabbia che ha diviso con lui, da cui aspetta un bambino. Sono stati rinchiusi per essere mostrati come animali esotici in uno zoo dai tralfamadoreni. Sono gli abitanti di un pianeta, alti 65 cm. senza corde vocali e con un solo occhio, con cui riescono a vedere però in quattro dimensioni. Sono “amichevoli” e hanno insegnato a Billy tutto sul tempo. Solo alla fine i quattro attori scendono dalle loro postazioni per salutare il pubblico sulle note, in sintonia, di Imagine. Lo spettacolo è in streaming ancora questa sera e domani alle 19,30 su www.teatromenotti.org (Foto di Maria Luiza Fontana-Atélier Produzioni).

mercoledì 9 dicembre 2020

CARTA CANTA (JINGLE BELLS)

Si continua a ripetere che la carta è finita, superata dall’online    considerato in questi momenti indispensabile e impareggiabile . Eppure, proprio in questi momenti, la carta diventa un primo attore, pronto per il Natale a rubare la scena a molti. Non si tratta dei giornali, ma di una carta da pacco che in periodo natalizio può davvero catturare l’attenzione. Anche se quest’anno ci saranno meno contatti e soprattutto circoleranno meno regali. Perché non è una classica carta natalizia. Unica nel suo genere passerà alla storia e non sarà mai replicata, almeno si spera. Si chiama Positive Xmas paper. Sono dodici fogli in formato 50x70  con sfondi di diversi colori e disegni ripetuti, geometrici e non. Niente babbi natale, renne, stelle comete, almeno non in versione classica, ma simboli, come si può dire, intonati ai tempi. Ecco mascherine che diventano fiocchi, disinfettanti che sostituiscono le pigne tra le foglie di pungitopo con bacche rosse. E ancora tamponi camuffati da fiocchi di neve. Le renne ci sono, stilizzate e affiancate da una freccia che indica il loro distanziamento.  Le scritte non sono Buone Feste o Happy new year ma Assembramento, Ice-olation o addirittura copie di autocertificazioni. Presente Babbo Natale in due versioni, con mascherina e senza che tossisce, in alternanza alla renna con naso tappato o che starnuta. L’ironia è il filo conduttore insieme alla voglia di divertire e alla creatività. Non a caso le carte sono state realizzate dagli studenti del corso di Graphic Design dello IED di Milano con il provider di stampa  4Graph.  Sono in vendita solo on line fino al 15 dicembre sul sito 4Graph.it a 12 euro. Il ricavato andrà interamente a  Save The Children. Un modo per contagiare allegria positiva ricordando, comunque, le misure per evitare i reali contagi negativi.   


lunedì 7 dicembre 2020

ANDAR PER BOTTEGHE




Che bello in un mondo dove da Capri a New York, passando per le Isole Vergini, hai gli stessi monomarca con le stesse vetrine, ritrovare il negozio, anzi la bottega unica. Fa piacere quindi che a Milano, uno dei centri della globalizzazione fashion, sia nata Galleria&Friends. Più che un’associazione è un progetto che si basa su passato e tradizioni, ma è proiettato con intelligenza sul futuro. A un anno di distanza dalla sua creazione è diventato un libro Bottega Milano. I maestri di un nuovo Rinascimento. Raccontati con i testi di Elisabetta Invernici e Alberto Oliva, curatori e ideatori del progetto, e le foto accattivanti di Roby Bettolini, i quarantuno protagonisti, appunto i maestri del nuovo Rinascimento. Chi sono? Sono i proprietari di quei negozi, tramandati di padre in figlio, dove qualità è artigianalità sono sempre stati il segno distintivo. Con rispetto delle tradizioni, ma assolutamente attenti al contemporaneo. Sono situati un po’ in tutta la città, ma con una prevalenza nel centro storico.  Anzi c’è una precisa partenza, conservata nel nome, dalla Galleria Vittorio Emanuele, il salotto di Milano.  Quello che creano e vendono differisce molto da uno all’altro, ma lo spirito che li accomuna è lo stesso. Che siano i menù del Ristorante Savini o le candele di Ceratina, le cravatte e le camicie di Ca-dé o i souvenir da turista di Algani, piuttosto che il tutto per la casa di Collini Bugada, le pipe di Al pascià o gli orologi di Verga.  C’è anche la Farmacia San Gottardo, in Corso San Gottardo dal 1886, dopo essere stata per cinquant’anni alle spalle del Duomo. E perfino chi vende le statuine del presepe come Tricella in Via Santa Tecla, oggi Largo Schuster (v.foto). E naturalmente la settecentesca Libreria Bocca, dove si può acquistare il libro. Le storie di ogni negozio prendono come dei racconti e le foto evidenziano gli aspetti più curiosi, interessanti, alle volte anche segreti, con sapienza e ironia. Tanto che finito di sfogliare il libro si ha proprio voglia di andare a visitare queste botteghe e conoscerne i proprietari. Bottega Milano è pubblicato da Edizioni Le Assassine, piccola casa editrice milanese  specializzata in letteratura gialla con storie di donne, scritte da donne. Ed è stampato dalla storica Tipografia Landoni, nata nel 1917, e quindi raccontata e fotografata nel libro.    

mercoledì 2 dicembre 2020

LA FORMA DELL' ACQUA


Forse non sono in molti a sapere che all’interno del Palazzo della  Farnesina, dove ha sede il Ministero degli Affari Esteri, dal 2000 c’è una collezione di arte contemporanea con circa 500 opere di 240 artisti italiani. I nomi vanno da Carla Accardi a Massimo Campigli, da Gastone Novelli a Michelangelo Pistoletto, Arnaldo Pomodoro, Salvatore Scarpitta, Emilio Vedova. Per citarne solo alcuni. In novembre si è aggiunto Salvatore Garau, sardo classe 1953, esponente di una pittura materica, che si assimila all’informale, ma con uno spazio e un approccio assolutamente personale.  L’opera s’intitola Caduta di lago con scultura  ed è una tela con colori acrilici, grafite e resina di 209x121 cm. realizzata nel 2000.  Parla di mutamenti, del fluire delle cose, proprio come l’acqua che scorre sulla pietra nera. ”C’è all’interno un romanticismo, ma dei giorni nostri.  Prevalente il concetto, che mi affascina, del continuo cambiamento, del rinnovarsi. Le cose come i pensieri non devono stagnare, ma devono fluire per dare sempre qualcosa di meglio” commenta l’artista. Il tema dell’acqua è uno dei preferiti di Garau che ne ha sempre studiato sia i movimenti naturali, sia quelli determinati dalla tecnologia e quindi dall’umano.  Si è visto in molte sue mostre in musei e gallerie di tutto il mondo. Ha esposto al Parlamento Europeo di Strasburgo, a San Francisco, Washington, Cordoba, Brasilia, San Paolo. Sue opere sono all’ Ambasciata d’Italia a Brasilia, a Seoul, a Lima, a Valenza, al Museo del Novecento di Milano. 

 


 
La Collezione Farnesina
è aperta al pubblico, ma in questo momento per l’emergenza Covid non è visitabile.  

martedì 1 dicembre 2020

MOMENTI DI NON TRASCURABILE DESOLAZIONE

Quanti guardando le foto di città deserte per il lockdown hanno pensato a Edward Hopper, alle sue strade con case di mattoni rossi della provincia americana e solo qualche passante isolato.  Quattro noti fotografi avevano colto con lo stesso occhio situazioni analoghe e le loro foto ora, in tempi di pandemia, hanno dato vita addirittura a una mostra Hopperiana. Social distancing before Covid-19. La Galleria che la presenta, Photology, in ventotto anni ha organizzato più di 350 mostre nel mondo, in collaborazione con artisti internazionali, fondazioni, musei, archivi, gallerie, università.  Dopo le prime a Milano e Cortina del 1992, ha esposto a Londra, Bologna, Parigi, Noto e Garzòn, in Uruguay, nel 2015. Nel 2020, in linea con i tempi e la situazione, Photology è diventata una online Gallery e dal 2 settembre le mostre sono visibili solo sul web. Hopperiana lo è da oggi fino al 28 febbraio 2021. I quattro fotografi sono Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana, Richard Tuschman . Ognuno di loro ha utilizzato la pittura di Hopper come un filtro per trasformare le proprie foto e rappresentare quel senso di inquietudine e desolazione, così ben espresso dal pittore americano. E che ora può raccontare lo stato d’animo di molti in questo particolare momento. Le foto parlano di solitudine, depressione, paura del futuro, incapacità di comunicare, attesa di non si sa che cosa. Dalla strada deserta di una piccola città del Montana di Campigotto  all’uomo davanti a una casa investito da un fascio di luce di Crewdson. Al sentirsi soli tra la gente, come si percepisce negli sguardi dei cinque in attesa di un taxi o di un semaforo verde davanti a un palazzo a Houston, ritratti da Fontana.  E poi c’è la più esplicita  inquietudine e desolazione interiore della ragazza seduta nuda su una poltrona, che guarda senza vedere la finestra davanti a lei, nella foto di Tuschman. Ogni immagine può essere studiata nei dettagli minimi o ingrandita, per coglierne la profondità e il pathos. Basta un click:



www.photology.com/photology-online-gallery/