giovedì 21 aprile 2022

UNA STORIA DI LIBERTA'



“Uno spettacolo che dovrebbero vedere tutti… che dovrebbe essere portato nelle scuole e nelle fabbriche” ha scritto Ugo Volli alla sua prima rappresentazione. Ora Nome di battaglia Lia è riproposto dal Teatro della Cooperativa di Milano (fino al 24 aprile) per celebrare i vent’anni, nella rassegna Controventi.  La frase del critico è più che mai d’attualità. Lo spettacolo evoca episodi e momenti della Resistenza a Milano, nel quartiere di Niguarda, proprio dove si trova il teatro. Ma in realtà è un’universale “grande storia di libertà”, che va oltre il periodo e il luogo. 

Sul palcoscenico con Renato Sarti, autore del testo e regista, le bravissime Marta Marangoni e Rossana Mola. Perfette, credibili, convincenti a interpretare quelle donne che sono state fondamentali nel movimento di Liberazione. Apparentemente donne comuni, semplici, in realtà veri e propri personaggi. Alle volte sono loro che ricordano il passato e si raccontano a Sarti. Alle volte inscenano qualche episodio, come quando fingono di portare un bebé in ospedale, ma in realtà tra le coperte è avvolto un fucile. Parlano spesso in dialetto milanese. Si prendono in giro, scherzano. Mai si piangono addosso. Nessuna è esaltata, nessuna si sente eroina, eppure il loro coraggio è immenso. Sono state importantissime per la causa, direttamente o indirettamente aiutando i mariti, i fidanzati, i padri in carcere, nascondendoli ai fascisti con intelligenza, portando aiuti o assistendo i militari feriti.  Tra queste donne c’è la Lia del titolo, nome di battaglia di Gina Galeotti Bianchi, una delle figure più di rilievo del gruppo di Difesa della Donna, con quarantamila aderenti, di cui oltre tremila attiviste. Nella finzione, che rievoca la sua tragica morte, Lia, incinta, è in bicicletta accanto a un’amica. E’ il 24 aprile 1945, dei nazisti in fuga la colpiscono con una raffica di mitra proprio al ventre, dove c’è quel bambino di cui lei dirà, prima di morire “Quando nascerà non ci sarà più il fascismo”. Una scena rievocata senza alcuna retorica o drammatizzazione forzata, e proprio per questo ancora più realistica e toccante. Con l’amica che non si dà pace di non essere morta al suo posto, lei che un figlio non ce l’aveva in pancia.  Lo spettacolo, incominciato con il suono di una sirena a cui non segue però un attacco aereo, come dice una voce fuori campo,  termina con Sarti che apre la bandiera della pace.

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