mercoledì 28 marzo 2018

COM'E' VERDE IL MIO STORE


Fra stand di abiti e manichini spuntano a sorpresa piante e vasi di fiori. Una coppia di alberelli fiancheggia le scale mobili. Un banco della profumeria è circondato da piante di limoni. Un piccolo prato sta in mezzo a pezzi d’arredo. Bonsai si mescolano a peluche  e completi taglia neonato . 

In una teca di vetro si  intravvede un filare di pini, in realtà è uno solo che si riflette nelle lastre. Siamo alla Rinascente di Milano (foto in alto e al centro), trasformata in un’immensa installazione dove il verde regna sovrano.  L’iniziativa, cominciata ieri che si conclude il 18 aprile con la fine della Design Week, si chiama The Green Life. L’obiettivo non è tanto il sostenibile e l’eco-compatibilità, quanto mostrare  la bellezza del verde, per  quelli che lo amano, ma anche per chi pensa che natura e
città siano due mondi distanti. Interessati tutti gli store Rinascente, in particolare quelli di Milano e di Roma. A Milano  l’architetto Andrea Tognon, con In & out green city landscape, oltre a posizionare le piante all’interno, ha disposto alberi maestosi davanti ai portici di Piazza Duomo , dove sono gli ingressi. Qui fino al 9 aprile, tutte le otto vetrine sono allestite da Dolce & Gabbana con maestose scenografie floreali. A Roma (foto in basso), per You are nature l’architetto Lorenzo Guzzini ha fatto del nuovo store di Via del Tritone una surreale serra con fiori e piante a ogni piano. Anche qui le vetrine floreali di Dolce & Gabbana invitano a entrare.  Qui come a Milano non sono l’unica maison di moda coinvolta. Chi crea allestimenti che evocano giardini, chi grafiche a tema, chi mette in risalto i prodotti legati al verde o ecocompatibili. Così succede anche per i brand di casa e design. Ma l’operazione non punta solo alla vista. Nella Food Hall milanese è possibile gustare piatti e bevande green, dal salmone  lavorato a mano al vero pesto fatto con il mortaio, ai cocktail di erbe aromatiche. Molto all’insegna dell’interattività. A parte la possibilità di acquistare piante e fiori, tutta una serie d’incontri e workshop  con esperti  del settore.  Dalla cura del bonsai alla preparazione di un bouquet, da come raccogliere e utilizzare in cucina le erbe selvatiche a come avere una vita felice con una pianta. 
    

giovedì 22 marzo 2018

C'ERA UNA VODKA, ANZI C' E'


Le donne che si occupano di cantine e vigneti da tempo non fanno più
notizia. Così come certi vini considerati più adatti al genere femminile. Ma una vodka dedicata alle donne stupisce, considerando che questa speciale acqua di segale è uno dei superalcolici a più alta gradazione.  Si chiama Mama Vodka, viene dalla Danimarca, è stata lanciata nel 2009, ed è frutto di studi e lavorazioni di vari anni. E’ fatta esclusivamente con  acqua di segale  e acqua pura di sorgente e distillata ben cinque volte. Dato non secondario è stata messa a
punto da Pauline Birch (foto a destra), una bionda ed elegante giovane signora di Copenhagen, nella  distilleria di famiglia. Nei suoi obiettivi, completamente raggiunti, creare una bevanda senza rivali, dal gusto puro e leggero, ma ben caratterizzato. E sembra che le migliori consigliere   siano state  amiche e donne del suo target, che come lei apprezzano il buon cibo, i drink ben fatti e la vita sociale. Infine, particolare non trascurabile, Pauline ha scelto una bottiglia che non può passare inosservata. E’ di cristallo con la forma che ricorda il colbacco delle guardie del castello di Amalienborg e un’audace scritta Mama Vodka in rosso. Inutile dire che a Copenaghen la si trova nei bar e nei ristoranti più di tendenza, e sta arrivando anche in Italia nei locali più cool. E’ perfetta naturalmente per i cocktail. E in questa formula ha fatto il suo ingresso in società a Milano alla Libreria Galleria Carla Sozzani durante la presentazione, con reading, del libro Isola di Siri Ranva Hjelm Jacobsen, edito da Ierborea. E l’isola, anzi le isole in questione sono le affascinanti Faroe, arcipelago danese a metà strada tra Islanda e Norvegia. 

mercoledì 21 marzo 2018

LE PIETRE RACCONTANO


Non c’è compiacimento nostalgico, e neppure una idealizzazione del passato in Argan39, prima tappa di una mostra-installazione di Mitra Azar, da vedere, da oggi fino al 10 maggio, nella Project Room della Nuova Galleria Morone di Milano (Via Nerino 3). Anzi, c’è un approccio che non concede nulla all’estetizzante fine a se stesso, ma guarda alla tradizione per coglierne aspetti capaci di dare vita e nuova identità a non luoghi.

Indicativi sono i due video . Uno,  realizzato dall’ artista con un drone, mostra  dall’alto la zona delle miniere di Sulcis Inglesiente nel sud ovest della Sardegna, abbandonate  completamente negli anni 70. L’altro, di proporzioni inferiori ed evidentemente risalente a quasi un secolo prima, ritrae il lavoro in quelle miniere con un tipo di immagine che fa pensare alla fantascienza datata di Metropolis .
Le riprese, fatte negli anni 50, sono di  Nando Pizzetti figlio di Ernesto Pizzetti, bisnonno di Mitra Azar, il cui lavoro è stato il punto di partenza del progetto-installazione. Pizzetti, in un viaggio da Firenze alla Sardegna con i Fratelli Alinari per documentare l’industrializzazione dell’isola, viene colpito dal luogo e decide di restarci e  aprire qui la sua attività di fotografo. Oltre a dedicarsi a ritratti,  ambienti, cerimonie,  diventa il fotografo ufficiale delle miniere. Nel negozio, come spesso accade, alla fotografia affianca l’ottica. Ed ecco in una vetrinetta occhiali, strumenti per la misurazione della vista, lenti, oltre a pellicole Agfa Gevaert, una cinepresa Paillard, rullini e foto.  Di cui alcune della famiglia, compreso il figlio di Ernesto, nonché nonno di Mitra, che  ha continuato l’attività del padre. Purtroppo molto di quell’archivio è stato distrutto ma ne è rimasto a sufficienza per raccontare la trasformazione della pietra, proprio quella raccolta nelle miniere. Da  cui si estraeva il silicio e l’argento fondamentale per la costruzione  di protesi oculo-centriche ,come gli occhiali e le macchine fotografiche sia analogiche che digitali. Un’altra miniera con pozzi profondi 400 metri, l’unica  rimasta attiva, è diventata un luogo di ricerche  per i fisici nucleari. Perché vi si produce un particolare isotopo, appunto l’Argan39 che dà il titolo alla mostra, “adatto a investigare la materia nera dell’universo”.

domenica 18 marzo 2018

GUARDA & ASCOLTA


E’ meglio definirla performance o installazione, anche se è tra gli spettacoli dello Spazio teatrale DiLà di Milano.
S’intitola La terra desolata, come il poemetto (The Waste Land) di Thomas Stearns Eliot di cui è la trasposizione scenica. Incomincia con una lettura di Francesco Tornar che  con Claudio Gaj sono ideatori e registi, con il supporto di Valentina Penzo. In contemporanea Cristina Spinetti si muove su sue coreografie . Sul  fondale le proiezioni di
Alberto Danelli e Francesco Nartinaz
zo con paesaggi, scorci di città, gente, una Gioconda. Niente di definito. Nel sonoro, curato da Leonardo Falascone, musiche diverse tra cui ricorrente London bridge is fallen down, canzoncina di fine 1700 ancora molto cantata negli asili inglesi. La prima impressione è spiazzante, i rimandi al film The Square immediati. Ma  subito ci si rende  conto che non si deve capire o trovare una chiave di interpretazione. Bisogna lasciarsi trasportare da quello che si vede, sia le proiezioni sia i movimenti della ballerina. Da quello che si sente, che siano le musiche di sottofondo o i brani del poemetto dove anche nella traduzione è evidenziata la musicalità delle parole. Ma pure  i dialoghi, dove il linguaggio e l’accento da lady si alterna alla  traduzione del più sguaiato cockney. Voci maschili e voci femminili sempre interpretate da Gaj e Tornar. Si spazia da frasi come Aprile è il più crudele dei mesi, diventata quasi un manifesto del modernismo, ad altre sconosciute. Si entra nel mondo infinito di Eliot. Dalle allusioni all’Antico Testamento alle citazioni wagneriane, dai riferimenti danteschi a quelli joyciani, dai personaggi come il cieco Tiresia dell’Eneide alle formule onomatopeiche in sanscrito.  Potrebbe sembrare un esercizi di stile o uno sfoggio culturale, in realtà non lo è, tanto che anche arrivando impreparati si riesce a seguire. L’idea dello spettacolo può apparire presuntuosa da parte di una compagnia (Granchio) di ventenni e appena trentenni, in realtà è un modo coraggioso di proporre un teatro variato. Come racconta il cartellone dello Spazio DiLà. Dove si sono succedute rivisitazioni di classici, pièce prese da storie popolari, quartetti d’archi, spettacoli musicali. La terra desolata replica questa sera, il 24 e il 25 marzo.