sabato 28 novembre 2020

LA GALASSIA DALLA POLTRONA DI CASA

Si chiama Fragili come la terra il progetto del Teatro Menotti. Non altrettanto fragile, anzi coraggioso e determinato il teatro nel portare avanti il programma in streaming. Il 26 novembre c’è stata la rappresentazione del primo spettacolo e il 20 dicembre  ci sarà la terza replica del terzo e ultimo. Si entra nel sito, si sceglie l’orario, si acquista il biglietto e anche solo 10 secondi prima dell’inizio, scanditi da un segnatempo, si accede alla platea virtuale e il sipario si apre. Certo non è la stessa cosa, non si ha la presenza fisica degli attori, il coinvolgimento del palcoscenico e della sala buia, ma si può godere del piacere del teatro. Anche la scelta degli spettacoli rivela coraggio e determinazione. Il primo lavoro, online fino a domani, è Guida Galattica per gli autostoppisti dal romanzo dell’inglese Douglas Adams del 1979, considerato un cult della letteratura pop. Non certo d’immediata comprensione per le citazioni, l’uso di metafore, il surreale e il pensiero profondo, anche se filtrato con un’ironia che suscita più di una volta il sorriso. Sul palcoscenico il Collettivo Menotti, composto da giovani attori e musicisti, che reciteranno anche negli altri lavori in programma. Un modo pure questo di aggirare la pandemia e far lavorare le nuove generazioni dello spettacolo, tra le più colpite del momento. Quattro i personaggi, di cui tre divenuti simboli come l’insicuro e depresso robot Marvin, il timido, imbranato terrestre Arthur, trascinato nell’avventura spaziale dall’alieno Ford,  tracotante e gran seduttore. Tutto si svolge nel ristorante Al termine dell’universo in attesa della fine del mondo, che si ripete puntuale tutte le sere. Notevoli, anche visti sullo schermo del computer, i video con galassie che fanno da sfondo.  Straordinaria l’esibizione canora di Helena Hellwig. Per accedere alla piattaforma: teatromenotti.xarena.it 

venerdì 27 novembre 2020

OLTRE OGNI LIMITE



“Si è parlato e si parla di chi arriva via mare, ma pochi parlano di chi arriva via terra” dice un volontario di un’organizzazione che aiuta i migranti. Premesso che non se ne parla mai abbastanza, neanche dei migranti per mare, è anche vero che di chi viene da paesi lontani e in guerra, magari a piedi camminando per mesi o addirittura anni, si sa ben poco. Il documentario di Sophia Milazzo Peregrino-I confini del game affronta il tema. Con interviste e per immagini, racconta il viaggio dal Pakistan a Trieste di un gruppo di ragazzi dai 12 ai 17 anni. Un’esperienza drammatica che va al di là di ogni immaginazione. Storie di freddo, fame, isolamento, ma quel che è peggio di soprusi, violenze, torture. Nessuna navigazione per mari in burrasca ammassati in un gommone,  ma attraversamenti di boschi impervi e impraticabili, notti all’addiaccio o nelle periferie delle città negli squat, enormi edifici abbandonati. Con il problema anche di nascondersi, oltre la ricerca di cibo e acqua. Guadi di fiumi, interminabili camminate nel fango e nella neve, anche scalzi. Sì perché una delle torture praticate è prendere le scarpe ai migranti per impedire loro di passare i confini. Più che un viaggio un game, come si dice nel titolo. Un gioco per la sopravvivenza, dove le carte fortunate sono pochissime. Una di queste è l’Associazione Linea d’Ombra di Trieste che raccoglie fondi e sostiene i migranti lungo la rotta balcanica. La sofferenza e i maltrattamenti subiti li raccontano i loro piedi martoriati da tagli, bruciature, morsi di cani, che i volontari medicano. Piedi di giovanissimi irriconoscibili, che sembrano di vecchi, decrepiti e malati. Ma nelle riprese non c’è mai compiacimento, ci sono interruzioni al punto giusto. Come il sorriso di un ragazzo, il suo commento, piuttosto che un ricordo . Non c’è un happy end certo. Cosa faranno questi giovani sopravvissuti, riusciranno a inserirsi in un altro Paese, a prendere contatti con le famiglie lasciate? La speranza s’intravvede. Ma sarà un lungo lavoro, perché come dice Gian Andrea Franchi, fondatore con Lorena Fornasir di Linea d’Ombra, “Dare il pane ai poveri conferma la loro povertà, non fa qualcosa perché non ci siano più poveri”. Il film, la sua divulgazione e il premio vinto sono comunque un passo importante in questo senso. Peregrino-I confini del game ha vinto il Film Festival di Roma 2020, promosso dalla comunità Montana dei Castelli Romani, dallo Studio Monolite, dal Gruppo Dei 12 e patrocinato dalla Roma Lazio Film Commission, dalla Regione Lazio e dall’associazione AEVF sul tema del viaggio.


giovedì 26 novembre 2020

SHOPPING D'AUTORE





Ovviamente ci sono le bottiglie. Più di una, in vetro di Murano e colorate. Ma ci sono pure piatti e coppe in ceramica di Vietri dipinte a mano e perfino una carta da parati che richiama i fogli su cui Giorgio Morandi puliva i pennelli. Sono alcuni dei venti oggetti della collezione Oggetti d’autore: Omaggio a Morandi, un progetto realizzato dal designer Paolo Castelli con l’Istituzione Bologna Musei. La finalità è promuovere il turismo a Bologna e le visite alla casa-museo di Morandi, forse il più noto nel mondo tra gli artisti italiani del Novecento, e nello stesso tempo far conoscere l’alto artigianato del nostro Paese. Infatti gli oggetti sono tutti opera di esperti e selezionati artigiani, come i soffiatori di vetro di Murano, piuttosto che i ceramisti di Vietri. Si ispirano a quelli appartenuti al pittore e ancora visibili nella casa di via Fondazza 36, dove abitò con le sorelle e la madre dal 1910 al 1964. Inoltre sono tutti in materiali di riciclo o completamente sostenibili e rispondono a criteri estetici e di design attuali. Ecco, per esempio, uno strapuntino che ricorda il bastone-sgabello usato da Morandi quando andava sui colli a dipingere. La sacca in pelle dove teneva colori e pennelli o ancora l’appendiabiti che richiama il suo cavalletto . Sempre con la struttura del cavalletto ci sono delle lampade. Mentre le bottiglie impilate diventano dei totem con luce. Tutti gli oggetti di raffinato design e lavorazione accurata sono in vendita, da oggi, online sulla piattaforma Artemest.  

martedì 24 novembre 2020

SOLO PER I TUOI OCCHI

Strano che qualche integralista del politically correct non se la sia presa con quel nome, Moscacieca. Perché non si parla del famoso gioco di gruppo con occhi bendati, ma di una linea di occhiali da lettura. Quindi c’entra con la vista, il non vedere, la disabilità. Certo chiamarla Moscanonvedente non ha lo stesso impatto, non sfrutta il gioco di parole, se così si può chiamare. E forse per qualche animalista, sempre integralista, potrebbe sembrare una presa in giro, basata sulla menomazione dell’insetto. Quindi altrettanto becera e crudele. Per ora tutto tace, gli integralisti del politically correct sono impegnati su migliaia di altri fronti legati al dizionario e gli animalisti integralisti forse stanno cercando alibi e attenuanti per difendere i pipistrelli dall’accusa di aver diffuso il Covid 19. Gli occhiali in questione comunque ci sono e il legame con l’insetto esiste. Consiste in una piccola mosca disegnata sul terminale dell’asta, che si ritrova sulla confezione e sul sacchetto portaocchiali in microfibre, da usare anche come panno per pulire le lenti. Lenti disponibili in cinque gradazioni di diottrie fino a +3. Ovviamente per la correzione della presbiopia che, come si sa, colpisce circa il 60% degli over 45. Ma anche per ridurre del 40%
l’impatto della nociva luce blu degli schermi dei dispositivi elettronici. Che in questo memento con riunioni, call, smart working e DAD interessa anche gli under 45. La forma della montatura è unica, tendente al tondeggiante, mentre i colori sono quattro, da un sofisticato bianco trasparente a un classico tartarugato, ai più osé rosso ciliegia e blu ottanio.  Gli occhiali costano 19,90 euro e sono in vendita in edicola. Un modo per riavvicinare alla lettura dei giornali cartacei? Forse, anche se la correzione della luce blu incoraggia l’uso prolungato di computer, tablet, smartphone  & Co.



 

giovedì 19 novembre 2020

ALLA RICERCA DELLA VESTAGLIA PERDUTA

Qualcuno, pochi, usano la parola vestaglietta, che negli anni ‘50-‘60 indicava un abito per donna con bottoni, completamente apribile, da indossare in casa o sopra il costume da bagno. La parola vestaglia si sente ancora meno. Secondo il dizionario vestaglia è quell’indumento da mettere sopra il pigiama o la camicia da notte. Ormai in disuso, sostituito da accappatoi, golfoni, tute. Lo porta forse ancora qualche ricca signora che si attarda la mattina in casa, prima di vestirsi per una giornata di frivolezze, mentre dà ordini al personale. Oppure, quei pochi rarissimi nei corridoi di una clinica o di un ospedale, non certamente in tempi di Covid. Soprattutto per l’uomo l’immagine della vestaglia riporta a Proust (quelle di Fortuny sono citate in diverse pagine della Recherche) e a D’Annunzio (le sue sono esposte al Vittoriale, le disegnava lui stesso e le faceva indossare “alle badesse di passaggio” scrive Giordano Bruno Guerri). La vestaglia è legata a un modo di vivere d’altri tempi, un po’ decadente. Stupisce quindi sentire parlare di un brand che nel 2020 la ripropone. Si chiama Yindelo ed è stato fondato da Tomaso Incisa della Rocchetta, vissuto dieci anni in Cina. In collezione quattro modelli unisex, tutti fabbricati in Italia con sete di Como, ispirati ai qipao cinesi e ai kimono giapponesi. La forma è unica ma si distinguono per le combinazioni di colori prese dagli abiti tradizionali delle minoranze etniche cinesi e dai dettagli. Questi si rifanno a motivi grafici delle architetture e delle decorazioni Art Déco dei palazzi di Shanghai, dove il brand è stato concepito, ma anche dalle antiche uniformi militari europee. Con un mix quindi di Oriente e Occidente, come dice anche il logo con il dragone e l’aquila. Anche il nome Yindelo è la translitterazione fonetica in mandarino del cognome del fondatore. “Siamo al nostro meglio quando la nostra mente è libera di vagare senza limitazioni” dice Tommaso Incisa della Rocchetta, spiegando che i suoi capi puntano “a un’eleganza senza tempo e al confort” per un “momento di fuga dalla realtà”. 

martedì 17 novembre 2020

PIU' CHE NOTE




Una Milano Music Week che passerà alla storia, quella in corso da ieri che si conclude domenica. Non certo per i numeri, come la prima edizione del 2019, con oltre 300 eventi e più di 120 location. E neppure per il palinsesto interamente in streaming. Ma perché mette in risalto la filiera della musica che, in una situazione di emergenza come questa, è coinvolta al completo. Come ha detto Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, l’iniziativa parla di tutte le professioni connesse all’attività artistica, dai cantanti ai musicisti, dai tecnici ai promoter, ai discografici. “L’edizione di quest’anno...sarà importante  per gettare le basi per nuove idee e strategie in modo da riportare il lavoro al centro della musica”.  Non a caso lo slogan di riferimento è Music works here, mentre l’anno scorso era Music lives here.“E’ il momento di far capire che la musica è lavoro, preparazione, fatica, serietà, impegno, professionalità. Senza lavoro la musica muore, senza la musica non viviamo noi” ha ribadito Luca De Gennaro, curatore artistico della Milano Music Week. Fittissimo il programma, con concerti ma anche incontri, workshop, conferenze. Tra gli eventi speciali Lennon80, party in stile rock per gli 80 anni dalla nascita di John Lennon con i suoi capolavori interpretati da band e solisti vari. O gli incontri con l’associazione culturale Bauli in Piazza che recentemente ha manifestato in Piazza Duomo a Milano per i lavoratori dello spettacolo. Per i bambini un’edizione speciale del Rodari Rocks, nato per il centenario della nascita dello scrittore, con le favole della buona notte raccontate da Jack Jaselli, Anna Belle e Alessio Bertallot. 

Senza la musica non viviamo…e con la musica possiamo vivere meglio, anche quando questo sembra impossibile. Ce lo ha dimostrato in questi giorni il primo intervento chirurgico accompagnato da un pianoforte. Il responsabile del reparto di Neurochirurgia degli ospedali riuniti di Ancona Dr.Roberto Trignani ha eseguito l’asportazione di un duplice tumore del midollo spinale in un bimbo di 10 anni, mentre Emiliano Toso, pianista e biologo molecolare (nella foto), eseguiva  una delle sue composizioni di musica acustica accordata a 432 Hz, su un pianoforte a coda all’interno della sala operatoria. 


venerdì 13 novembre 2020

LA SPERANZA CORRE ALLA VELOCITA' DELLA LUCE

Che la luce, naturale o artificiale, sia vita è un dato di fatto, che arte e luce siano spesso collegate è un altro punto fermo.  Non era possibile che un festival della luce come il GLOW Light di Eindhoven (Olanda) con installazioni d’arte visitate ogni anno da 750mila persone venisse annullato per la pandemia. In realtà lo è stato, ma il comune di Eindhoven, che quest’anno compie cent’anni, ha voluto comunque mantenere la tradizione. E lo ha fatto con uno straordinario messaggio, ovviamente di luce, per portare speranza a tutto il mondo. Così è nata Connecting the Dots la più grande opera d’arte di illuminazione mai realizzata. Con più di 1500 lampade a Led distribuite in 600 luoghi, mille punti di luce rossa del diametro di 90 cm. nel cielo e più di 20 mila alle finestre, l’installazione copre più di 80 Km2. Eindhoven, in particolare, da ieri pomeriggio è avvolta in un fascio di luce blu con mille punti rossi, fissi e galleggianti. Questo incredibile spettacolo, visibile a 60 Km. di distanza, è opera dell’artista della luce finlandese Kari Kola, che nel 2018 ha illuminato il sito archeologico di Stonehenge in Inghilterra. Mentre i mille punti rossi, palle luminose completamente riciclabili, sono state  create dall’artista olandese Ivo Schoofs e simboleggiano la connessione tra la gente. Tutto, ovviamente, si può vedere da ogni parte del mondo in streaming: www.gloweinhoven.nl  Estensione dell’idea i GLOWdots punti di luce realizzati da 20mila bambini delle scuole elementari della città, su ispirazione del designer olandese Hugo Vrijdag. 


E’ un’installazione luminosa anche quella inaugurata ieri, a Milano, sulla facciata d’ingresso dell’ex-Ansaldo, ora Base. E’ la prima opera di In-Between, programma dedicato alla creazione artistica nello spazio pubblico. E’ una scritta “The future is an invisible playground” di Robert Montgomery, artista e poeta scozzese che da anni lavora negli spazi pubblici facendo riflettere, con le sue poesie luminose, sulla contemporaneità. “Con questo passaggio dall’oscurità verso la luce, spero che riusciremo a risollevarci dopo tutte le sfide del 2020, e a cogliere nel 2021 la possibilità di cambiare il mondo in meglio, di mettere al primo posto l’ecologia e l’uguaglianza, e di costruire un nuovo mondo, fondato sulla gentilezza” è il suo commento-auspicio. 

 

giovedì 12 novembre 2020

LA TELA DEI SOGNI

Può succedere che un libro per bambini piaccia agli adulti. E non solo perché sono loro a sceglierlo. Certo la grafica e le illustrazioni giocano un ruolo importante, ma anche il contenuto può lanciare messaggi e suscitare emozioni meglio percepite dai diversamente piccoli. Voce su tela  è uno di questi. Come dice la presentazione “Vuole dare speranza a chi ha il coraggio di credere nei propri sogni”. Una frase che può sembrare retorica ed effetto facile, ma non lo è. Racconta di una bambina che abita nel pianeta dove sono nati i colori e dove non ci si esprime a parole, ma con i pennelli. Questa bambina esiste, e con la sua vita  ha ispirato l’autore Francesco Ciai, mentre i suoi disegni sono stati la base su cui ha lavorato l’illustratrice Arianna Pisani. Si chiama Clara Woods, è nata nel 2006 a Firenze e per un ictus perinatale era destinata, secondo i medici, a un’esistenza da vegetale. Ma i genitori non si sono arresi e hanno trovato un percorso di riabilitazione che, unito alla forza e alla determinazione di Clara, ha fatto sì che ora questa ragazzina, impossibilitata a parlare, leggere, scrivere e con grosse difficoltà motorie, capisce tre lingue e dipinge. Il suo non è un hobby, ma una professione con cui potrà un giorno essere economicamente indipendente. E’,infatti,la prima artista minorenne con partita Iva, ha esposto già in diciotto città tra cui Roma, Londra, Miami, Kobe. E nei suoi sogni-obiettivi, c’è una personale a New York, proprio come Frida Kahlo, suo idolo, a cui la accomuna la disabilità. I suoi coloratissimi disegni sono su tela, su ceramiche e anche stampati su shopper molto apprezzate.



“Quando dipingo posso parlare con tutti… anche con voi” dice con la sua arte. Una storia e quindi un messaggio di speranza, che non poteva sfuggire a Francesco Ciai (Firenze, classe 1987), presidente della Fondazione Claudio Ciai Onlus, intitolata al padre morto prematuramente in un incidente, che ha lo scopo di aiutare e recuperare le persone che hanno subito incidenti stradali o sul lavoro. Il libro edito da KM Edizioni sarà in tutte le librerie dal 25 novembre ed è già in vendita su https://bit.ly/38vNS4S. 


venerdì 6 novembre 2020

RIUNIONE DI CONDOMINIO? NO, MOSTRA

Dopo il teatro in cortile a uso di condomini e inquilini al Teatro della Cooperativa di Milano l'estate scorsa, ecco la mostra di condominio che inaugura domani a Torino. Chiusa al pubblico è aperta solo alle 200 persone che abitano al 16 di Via S.Giovanni Battista La Salle. Si inserisce nel quadro delle iniziative di creatività da Covid-19, ma dietro c’è un progetto nato nel 2016 di “rigenerazione urbana e trasformazione collettiva attraverso l’arte”. Si chiama Viadellafucina16 ed è il primo esperimento di condominio-museo creato dall’associazione Kaninchen-Haus da un’idea di  

 

Brice Coniglio, del duo artistico Coniglio-Viola. Con una chiamata internazionale, artisti di tutto il mondo sono stati invitati a soggiornare nell’enorme stabile ottocentesco di via La Salle, nel quartiere di Porta Palazzo, il più grande mercato all’aperto d’Europa. Con curatori, addetti ai lavori e abitanti hanno realizzato opere e sono intervenuti per riqualificare l’edificio e fermarne il degrado. L’iniziativa-esperimento ha dato ottimi risultati tanto che negli ultimi mesi più di settanta inquilini di condomini italiani ed esteri hanno contattato l’associazione per adottare il format condominio–museo. Varie e variegate le opere in mostra, scelte con votazioni dagli abitanti dello stabile e da un comitato scientifico tra cui figurano Beatrice Merz della Fondazione dedicata al padre Mario e Patrizia Sandretto Re Rebaudengo collezionista e fondatrice  dell’omonima Fondazione. E’ di Simona Anna Gentile Marlene ispirato alle mele: un arazzo fatto da shopper realizzate con scarti di tessuto che svela le vite di alcuni abitanti della casa. Raffaele Cirianni ha ideato un tappeto dove ognuno più sedersi e raccontare storie di cibi, etnie, usi, costumi. Ball Lightining del duo Genuardo-Ruta è una finestra su un mondo immaginario. Daniel Costa ha individuato un percorso nel quartiere attraverso le mappature degli spostamenti dei condomini. Diego Miguel Mirabella ha raccolto fregi e decorazioni di palazzi intorno, testimonianze di varie culture. Matteo Vettorello ha inventato "un rivelatore di benessere del vicinato", scultura con cascata d’acqua che calcola l’energia positiva. Una piccola opera d’arte anche il curriculum della curatrice, anzi della covatrice della mostra, Piera Valentina Gallov:  “Dopo gli anni di studio a L’aia (la "a" con la minuscola), il master in chickens development, la lunga militanza per i diritti dei diversamente volatili, Gallov è al mondo la prima gallina ad assumere la direzione di un’istituzione museale”.   

mercoledì 4 novembre 2020

NON ESSERE JOHN MALKOVICH

Doveva aprire a marzo, per la prima volta in Italia, poi per la pandemia è stata rinviata. Si è potuta visitare due giorni a fine ottobre e poi ha richiuso. Si spera che possa riaprire presto, perché è una mostra fotografica interessante e soprattutto unica. S’intitola Sandro Miller. Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters.  E’al Magazzino delle Idee di Trieste, un polo culturale a due passi dalla Stazione Ferroviaria e da Piazza Unità, ricavato in uno dei depositi dismessi. Se la seconda parte del




titolo è chiara e spiega l’omaggio di un importante fotografo, Sandro Miller (Illinois 1958) ai grandi maestri della fotografia, la prima lo è meno. Il Malkovich in questione è John, l’attore e produttore americano, e il fatto che il suo nome compaia ben tre volte sintetizza cosa c’è da vedere. Malkovich, infatti, nelle varie foto prende di volta in volta le sembianze di un personaggio famoso ed è ritratto da Miller come questo lo è stato da un grande maestro. Ecco Malkovich con una parrucca bionda trasformato nella Marilyn di Andy Warhol. Eccolo diventato Meryl Streep con maschera di bellezza, come colto dall’obiettivo di Annie Leibovitz. O raddoppiato nelle due inquietanti gemelle di Diane Arbus. O sosia di Jack Nicholson–Joker immortalato da Herb Ritts, o gemello di Einstein nel celeberrimo scatto con lingua fuori di Arthur Sasse. A completamento tre ritratti di personaggi extra progetto, come Adolf Hitler, Papa Giovanni XXIII, e Salomé con la testa del Battista e la sezione inedita Malkolynch. Cioè un video con otto dei personaggi più noti della filmografia di David Lynch, ovviamente reinterpretati da Malkovich come John Merrick di Elephant Man o l’agente Dale Cooper di Il segreto di Twin Peaks. E sette foto-ritratto di Malkolynch, cioè l’attore nelle sembianze del regista. Dietro questa straordinaria mostra un’amicizia tra Miller e Malkovich che risale agli anni Novanta. “E’diventato la mia tela, la mia Musa. John si sedeva e ascoltava la mia idea poi diceva: Ok facciamolo. Nel corso di 17 anni non ha mai detto: non mi piace” racconta Miller. Questo progetto è uno degli esempi del loro perfetto lavoro all’unisono. Con la collaborazione, è ovvio, di costumisti, truccatori, scenografi. Per quanto molte immagini possano fare sorridere, Miller ci tiene a precisare che non ha voluto che fosse una parodia. E’ un omaggio serio “ai fotografi e alle fotografie che hanno cambiato il mio punto di vista sulla fotografia…mi hanno ispirato… facendomi diventare il fotografo che sono oggi”. Curata da Anne Morin, la mostra è accompagnata dal volume Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters pubblicato da Skira. Non può sostituire la visione dal vivo, ma è un'ottima alternativa. E'in vendita anche sul sito Skira. 

domenica 1 novembre 2020

LA CENA E' SERVITA






Poche mostre mettono in risalto come Andy Warhol abbia indicato una strada nell’arte al pari di The last supper Recall alla Galleria del Credito Valtellinese, Refettorio delle Stelline, a Milano. Tanto che l’opera da cui parte l’esposizione, appunto di Warhol, passa quasi in seconda linea rispetto alle altre. Nota riedizione in misura ridotta e bipartita del capolavoro di Leonardo e considerata nello stesso tempo dichiarazione d’amore e sfregio dell’originale, The last supper utilizza tecniche come passaggi serigrafici, cromatismi industriali in colori tra il nero e il magenta. Fa parte di una serie a cui Warhol si dedicò negli ultimi anni. A Milano è già stata esposta nel 1987 alla presenza dell’autore, che tra l’altro vedeva per la prima volta il Cenacolo leonardesco. A testimonianza foto in bianco e nero di Maria Mulas che ritraggono Warhol con un’enorme parrucca, che copiava enfatizzandola la sua capigliatura naturale, sparita per le cure contro il cancro che poco dopo l’avrebbe ucciso. Di questa mostra sono presenti anche i manifesti e i cataloghi. Subito accanto è posizionata Cenacolo di Bruno Bordoli, olio e acrilico su tela grezza del 2007. Solo Gesù al centro conserva la posizione e l’atteggiamento datogli da Leonardo, gli altri apostoli, disposti in modo disordinato, sono figure inquietanti.  Nella sua Ultima Cena del 2013 Elia Festa non dipinge i personaggi ma l’energia che sprigionano attraverso l’intreccio di fili di luce, con i tratti 


e le sagome dell’affresco. E’ una composizione stratigrafica in metacrilato con un effetto ologramma Ultima cena di Filippo Avalle del 2007. Solo avvicinandosi si scorgono disegnati i personaggi del Vangelo. Di questi tre lavori sono esposti schizzi preparatori o legati all’opera. La Cène su legno del 1988 di Daniel Spoerri, geniale esponente del Nouveau Réalisme, cambia la prospettiva. La scena è presa dall’alto e, più realisticamente, Gesù è a capotavola e gli apostoli siedono ai due lati. E’ un tavolo da osteria modesto con pentole, piatti e bicchieri, applicati a collage (foto al centro). Ma non è l’unica opera dell’artista. L’altra è una proiezione delle tredici tavole in marmo con Le ultime cene di personaggi illustri. Da Goethe a Proust, da Freud a Cleopatra, unica donna, da Oetzi, l’uomo ritrovato nei ghiacci, a Cristo. L’originale si trova nel Giardino del Grand Hotel della Posta di Sondrio, accanto alla sede del Credito Valtellinese. Sempre di Spoerri un’altra proiezione, quella di una sua prova d’artista, mai realizzata, nella quale sotto ogni personaggio estrapolato dall’affresco c’è il suo pezzo di tavola imbandita. Completano la rassegna cataloghi e riproduzioni di opere, albi, documenti sull’argomento di Marthial Raysse, Damien Hirst, Velasco Vitali. Oltre a film in pellicola 16mm, girati a inquadratura fissa da Warhol tra il 1963 e il 1966, che raccontano momenti nella Factory e dintorni. In prestito dal MoMA di New York. Presentata da Flavio Caroli e curata da Leo Guerra e Cristina Quadrio Curzio, la mostra, aperta ieri, chiuderà il 3 dicembre, lockdown permettendo.