mercoledì 30 gennaio 2013

MENO SOGNI PIU' CONSIGLI

 Ermanno Scervino per Mostra Limited Unlimited

Ad Altaroma, l’appuntamento con l’ Alta Moda della capitale, conclusasi ieri, uno degli eventi più apprezzati è stato il progetto Limited Unlimited. Tema di questa sesta edizione  il Red Carpet. A “svolgerlo” 36 maison di moda e gioielleria italiane, che hanno  portato le loro creazioni in una straordinaria passerella-allestimento nel Tempio di Adriano.  “In scena” pezzi recenti e pezzi  vintage, qualcuno anche  appartenuto a star . Dall’ abito di Elia Saab per Mila Jovovich a un modello di Capucci  del 1987. Da Versace a Ermanno Scervino, da Fendi a  Gucci. Da Armani a  Emilio Pucci, a  Valentino. E poi gioielli di Whernier, Buccellati, Delfina Delettrez.
La mostra, ideata da Silvia Venturini Fendi presidente di Altaroma, mette in evidenza più che mai l’alto livello di artigianalità  .  Da vedere, infatti, capi e gioielli creati per essere portati una sola volta, sotto i flash e gli sguardi di tutto il mondo. Un’occasione per sognare per le donne.  Una gratificazione per le maison dal punto di vista  dell’immagine, solo in seconda battuta per fini commerciali.
Meno sogno e più prammatismo, invece, dal red carpet del Sundance Film Festival, svoltosi quest’anno dal 17 al 27 gennaio. Da qualche edizione il festival, presieduto da Robert Redford, sta rivelandosi una delle migliori vetrine per i brand,in particolare di moda, per propagandare  dall’abito alle scarpe, dalla borsa agli occhiali.  Molti vengono nei paesini dell’Utah pieni di regali per attrici e attori. E se questi li indossano hanno modo di veicolarli immediatamente al pubblico. A differenza dei grandi eventi del cinema (Los Angeles, Cannes, Venezia), qui si ha modo di incontrare  per le vie stelle e stelline e di trovarsi a tu per tu con loro .  Meno  abiti per sognare, ma più “consigli per gli acquisti”.

venerdì 25 gennaio 2013

CARPET DIO

 Magical Carpet Tour, in primo piano il tappeto-puzzle

L’atteggiamento nei confronti dei tappeti è estremo, non conosce mezzi termini. C’è chi li ama follemente e adora riempirsene la casa,  e chi li detesta e non li vuole proprio. E della  seconda categoria fanno parte molti architetti. Certo il tappeto è un oggetto particolare. Nato per essere funzionale ha perso questa finalità. E’ diventato un elemento quasi esclusivamente decorativo e forse per questo non  è considerato tra gli architetti, inguaribili integralisti.  E’ anche vero  che non c’è ricerca e creatività nel settore, a differenza che per altri pezzi di arredo. Perfino nelle case più contemporanee il tappeto  è raramente un oggetto di design.  Quasi sempre  è etnico,  e molto  spesso antico.
Quindi quando si viene a sapere di una collezione di tappeti nuovi, si è stupiti, ovviamente incuriositi. E anche un filo prevenuti. Così è stato per quelli del Magical Carpet Tour presentati nello spazio Cohen Sedgh a Milano, da ieri fino al 2 febbraio (www.tappeticohendedgh.com). Disegnati da un architetto, Luca Scacchetti, sono fatti realizzare in  Asia, e quindi con le migliori tecniche, da Cohen Sedgh che ne è anche il distributore.  L’impatto è notevole. Sicuramente il colore ha una valenza, ma è secondaria rispetto ai disegni che richiamano quelli classici (preghiere ecc.),  rivisti in chiave architettonica e quasi tridimensionale. Certo la loro collocazione non è facile, ma anche questo li rende stimolanti  . Interessante il tappeto puzzle steso  sul pavimento nel mezzo della sala, a differenza degli altri dodici appesi alle pareti. E’ costituito da nove pezzi quadrati, di un metro e 50 di lato, con il disegno di un paese visto dall’alto, in nove diversi modi. I quadrati possono essere re-assemblati e ricomposti a volontà, affiancati, messi per il lungo o addirittura isolati e in ambienti diversi. E questo tappeto-puzzle, più degli altri, “smaschera” l’architetto.

mercoledì 23 gennaio 2013

DESIGN AH !


E’ fondamentale nella vita quotidiana la capacità  di determinare inconsciamente l’adeguatezza delle cose intorno a noi. Questa "capacità" si chiama Design Mind e si può coltivare, anzi è importante coltivarla per vivere meglio.  Perché il design non è solo la forma degli oggetti intorno a noi  o un fenomeno culturale. E’ un elemento integrante  dell’ interazione umana. Lo sostiene  Taku Satoh,  graphic designer, direttore generale del canale educativo  NHK. E per meglio spiegarlo ne ha fatto l’oggetto di una mostra dal titolo curioso e incuriosente di“Design Ah!”. Si tiene dall’8 febbraio  al 2 giugno nel Design Sight di Tokyo  ed è organizzata  in collaborazione con la Miyake Issey Foundation. Da vedere opere di artisti e designer, ma soprattutto idee “da sperimentare” con  il proprio corpo utilizzando audio e filmati. E’ aperta a tutti, ma   Taku Satoh la consiglia in modo particolare ai bambini. La considera “un programma” per migliorare la Design Mind. E quindi per imparare a guardare gli oggetti con occhio attento ,a raffinare il senso del design  e  a prendere decisioni di progettazione, che possono portare alla felicità(www.2121designsight.jp).
Dato che Tokyo non è girato l’angolo e difficile da raggiungere per i più, se si è curiosi sull’argomento si può seguire uno dei cinque  incontri  intitolati “Design da leggere”. Organizzati a Milano dall’ADI, Associazione per il design Industriale nella sede di Via Bramante  29, non insegnano la strada per arrivare alla felicità. Più prammatici, analizzano gli effetti dell’innovazione tecnologica sugli oggetti e la vita degli utenti. Nel primo, oggi, si è trattato di design, arte e comunicazione. Il 13 febbraio Alberto Meda e Denis Santachiara  affrontano il tema dell’impatto del Rapid Manufacturing. Il 27 Alessandro Mendini dialoga con Joseph Grima, direttore di Domus,  sulla sua mostra “The future in the making”. Il 6 marzo l’argomento è la  produzione e i laboratori artigiani  e il 20  Italo Lupi presenta i suoi progetti, raccontando di comunicazione visiva e nuove tecnologie (www.adi-design.org).

mercoledì 16 gennaio 2013

URBAN MOUNTAIN


Le passerelle milanesi si sono chiuse con Coveri, che  come  consuetudine, ha fatto sfilare un coloratissimo uomo con una coloratissima donna , con un mese di anticipo sugli altri . Lo stilista Francesco Martini Coveri  continua con lo stile di sempre, concentrato appunto sul colore e le stampe forti.

Meno evidenti, quindi, le tendenze che hanno  caratterizzato le altre collezioni. Tra le più forti, ma non nuova, la presenza di  materiali e dettagli mutuati dallo sport per un vestire urbano.   Inedita, invece, la tendenza a prendere  particolari e pezziforti  della montagna e dell’abbigliamento degli scalatori e riproporli in chiave metropolitana-chic.
 Giorgio Armani
 Tod's
 Larusmiani
A cominciare dal basso . Non solo i polacchini ma le strigate più raffinate hanno suole carrarmato o di para,  a prova di neve e gelate. Sono trasparenti a simulare il ghiaccio quelle delle scarpe di Fendi. Tod’s  lancia le Podium , stringata da completo, con suola in gomma e ganci da scarponi. E  nell’winter gommino,  il polacchino con la tipica suola del marchio, mette la fodera di montone. Scarponcini da roccia completano i look da DSquared fatti di un mix di sartoriale e sportivo, con giacche di tweed dagli inserti in pelle e pantaloni sopra la caviglia.  Anche Giorgio Armani mette la para sotto le stringate dei suoi businessmen in doppiopetto. E per uscire sottozero propone  ipercaldi giacconi con collo sciallato di pelliccia , giacche trapuntate con   cappuccio e zip e maxipull . Gilet di astrakan  con grandi colli da Diesel e cappotti e giacche dai bottoni  metallici e l’allure tiroleggiante. Grande uso della pelliccia, più ovvio, da Fendi. Ecco interni staccabili di castoro nei cappotti, ecco un patchwork di astrakan    per la mantella da pescatore   doppiata di yak. Pelliccia di capra sugli zaini- bisaccia, sui marsupi da portare in vita, sulle borse-manicotto. Philippe Plein mette insieme denim e pelliccia per il parka con cappuccio. La maglia, come tessuto, per giacche dal taglio ineccepibile da Rocco Barocco, che si diverte con flash di regimentale.  Totalmente in seta il car coat verde loden con alamari metallici di Larusmiani, da completare con desert boots in camoscio dagli interni in montone.
Non ricordano l’abbigliamento della montagna, ma sono sicuramente caldissimi   i giubbotti di Stone Island, patchwork di diversi tessuti, poi tinti in capo per un effetto finale di lucido e opaco, quanto mai intrigante.