Il monologo è una formula perfetta per il teatro o meglio è un modo di raccontare possibile solo con il teatro. Certamente non è facile e soprattutto non è da tutti. Oltre a un testo con un forte contenuto richiede anche qualcuno che lo sappia comunicare. Se un testo comico è impegnativo ma può essere fine a se stesso, quello drammatico difficilmente può essere isolato da un contesto. Ecco Mai Morti, al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 10 aprile, raggiunge questa perfezione. Con il testo e la regia di Renato Sarti ha come interprete Bebo Storti nella parte di un nostalgico fascista, il cui modello di riferimento potrebbe essere uno di Mai Morti, il più terribile battaglione della Decima Mas, da cui il titolo del monologo.
La scena inizia con un video in bianco e nero: immagini di guerra, stragi, manifestazioni di propaganda del Ventennio. Storti è a letto, si sveglia e comincia a parlare di imprese del passato, dei partigiani, del duce. Sono frasi spezzate, confuse, potrebbe sembrare il delirio di un malato o il risveglio dopo una sbornia. Non si riesce a prenderlo sul serio. Man mano che si alza e incomincia a vestirsi, le sue affabulazioni nere diventano più comprensibili. Sono sempre più grevi, disturbanti, inascoltabili. Partono dal Ventennio ma arrivano alla contemporaneità, sfiorano la cronaca. Dagli eccidi in Africa e la lotta partigiana alla strage di Piazza Fontana al suicidio di Pinelli fino alle torture del G8. Il tutto attraverso esternazioni e commenti xenofobi e razzisti di piena attualità. Il crescendo è fortissimo, dalle prime frasi dove l’orrore è filtrato da un qualunquismo e da una retorica, spinta a tale punto che diventa difficile riderne, fino alle affermazioni violente, alle rievocazioni trucide, alla piena esaltazione. Quando il protagonista indossa la giacca diventano esortazioni, incitamenti alla violenza, condanna di tutto cioè che è antifascista. L’attore diventa una figura terrorizzante, e quando infila il basco nero, ultimo dettaglio, il mostro è completato. Talmente reale, emozionante, trascinante, che l’applauso esita. Bebo Storti deve togliersi la giacca e sorridere per far dimenticare l’orrendo personaggio in cui si è immedesimato così bene. Ringraziamenti al pubblico, commenti ironici e poi una frase che diceva suo nonno, perfetta in questi tempi. “Gli stupidi fanno la guerra, gli intelligenti discutono”. Il mostro è dimenticato, ma il testo e l’interpretazione restano nella mente e devono restare.
l’interpretazione resta nella mente e deve restare. Questo è teatro.
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