lunedì 7 febbraio 2022

INTORNO AL CABARET

Chiamarlo spettacolo è improprio, anche se il ritmo è talmente veloce e incalzante da riuscire a intrattenere, appassionare, divertire, proprio come un cabaret di livello. S’intitola non a caso Cabaret: L’arte ribelle. Ed è un evento diviso in tre parti che si tiene al Teatro della Cooperativa di Milano. Lo conduce, e ne è anche ideatore, Flavio Oreglio. Racconta la storia del cabaret dalla genesi in Francia, di cui si è parlato nel primo incontro il 9 gennaio, all’avvento in Italia, fino ai giorni nostri, di cui si parlerà nel terzo appuntamento del 6 marzo. 

Il secondo appuntamento titolato Il cabaret che non ci fu è stato ieri. Oreglio prende in osservazione l’Italia dal 1890 al 1945 mettendo in risalto cosa è stato percepito di questa forma di spettacolo.  Quali sono state le analoghe forme preesistenti da noi e come si sono evolute. Tutto naturalmente è basato su documenti che Oreglio ha raccolto, con attenzione e passione, in vent’anni. Davvero interessante quello che si viene a sapere, soprattutto i collegamenti che si scoprono, addirittura il perché di certi avvenimenti. Tutto ben raccontato dall’autore-presentatore che non sale mai in cattedra, nonostante l’accuratezza quasi scientifica della sua ricerca. L’esposizione è brillante, in forma colloquiale, ma con giusta scelta di parole. Ogni tanto interrotta per intonare e suonare con la chitarra un brano famoso. Si scopre così che la mitica Reginella, pezzoforte di Roberto Murolo, ha molti punti in comune con O mia bela Madunina composta nel 1934 da Giovanni D’Anzi. Tutto quello che si dice è ben inquadrato nel periodo storico, corredato con la proiezione di foto d’epoca. Inevitabili, quindi, i riferimenti alle ridicolaggini del fascismo. A quella censura che respingeva tutto quello che veniva d’oltralpe e dove le canzonette erano accettate perché divertivano il popolo, distraendolo dai reali problemi e dalla politica. Che comunque riusciva a essere scavalcata dalla genialità di qualcuno. Dall’apparentemente innocua Maramao perché sei morto, che alludeva in realtà a un importante personaggio all’innocente Tamburo principal della banda d’Affori, che comandava un numero di pifferi, guarda caso, uguale a quello dei parlamentari del regime. 

Finale aperto alle domande del pubblico in cui Oreglio ha colto l’occasione d’informare dell’esistenza di un archivio storico del cabaret, consultabile anche su un sito e di presentare, per chi volesse saperne di più, con  molto spirito, il suo libro  L’arte ribelle. Con i ritratti in copertina, che si ispira agli affiches di Toulouse-Lautrec, dei massimi nomi del cabaret italiano Dario Fo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Cochi e Renato e i Gufi.


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