mercoledì 2 ottobre 2019

NON ...TANTO PER CANTAR



Potrebbe sembrare scontato impostare un concerto, oltre che su canzoni che hanno fatto la storia degli ultimi sessant’anni, sulla lettura dei loro testi. Eppure non ci aveva pensato nessuno prima. Lo spettacolo poi diventa appassionante se c'è un attore che non si limita a leggere ma interpreta, come se i testi fossero poesie o sue esternazioni e a eseguire le canzoni ci sono musicisti di tutto rispetto. E' quello che accade al Teatro Menotti di Milano dove, da ieri fino a domani, è in scena 66/67, sottotitolo Un concerto di Alessio Boni e Omar Pedrini. I due numeri sono l'anno di nascita degli artisti. Non è una ricercatezza fine a stessa, ma vuole mettere in risalto l'amicizia e il legame dei due, come raccontano loro stessi, divisi solo da un lago. Boni, infatti, è di Sarnico sulla sponda bergamasca del lago d'Iseo, mentre Pedrini è della sponda bresciana. Oltre l’evidente passione per la musica, rock in primis, li unisce una specie di destino incrociato. Da bambino Boni sognava di fare la rockstar e Pedrini l'attore. Ora eccoli entrambi sul palco, magistralmente accompagnati da Larry Mancini, voce e basso, Carlo Poddighe, voce, chitarra e tastiere, Stefano Malchiodi, batteria. Il primo pezzo è Blowin’ in the wind  e ci si rende conto che quelle parole che abbiamo canticchiato mille volte, sono vere poesie che non ci fanno stupire del premio Nobel, mai ritirato, dato a Bob Dylan. Secondo brano Sounds of silence di Simon & Garfunkel. La lettura del testo, come sempre, è preceduta da piccoli bio-ritratti ben inquadranti, scritti da Boni con la giornalista Nina Verdelli. Si racconta l’incontro dei due, che spiega tante cose e  fa apprezzare ancora di più quella musica. Quando si arriva a John Lennon è una rivelazione.  Quanti sanno della sua infanzia infelice, con  padre assente e madre, ritenuta non  adatta a educare un bambino, morta  in un incidente quando forse ci sarebbe potuto essere un ravvicinamento. E le parole di Mother gridate da Boni danno davvero la pelle d’oca. Dopo Lou Reed, i Rem, i Pink Floyd, David Bowie, Bob Marley, è la volta di Pedrini con una canzone composta quando era con i Timoria, il suo gruppo. Preceduta ovviamente dal racconto-recita di Boni. Alla fine, come per realizzare quel sogno di bambini, scambio di ruoli. La rockstar legge il testo di Io non  mi sento italiano di Giorgio Gaber, pubblicato postumo, mentre l’attore canta la canzone.  Una scelta ben studiata perché, come spiega l’attore, in caso di flop non c’è l’imbarazzo dello spettacolo che continua. Bis prevedibile, richiesto quasi all’unanimità Heroes del Duca Bianco, ideale per far ballare il pubblico. Un inizio di stagione felice per il Teatro Menotti, su cui per molti mesi è pesata la minaccia di chiusura. 


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