Potrebbe
sembrare scontato impostare un concerto, oltre che su canzoni
che hanno fatto la storia degli ultimi sessant’anni, sulla lettura dei loro
testi. Eppure non ci aveva pensato nessuno prima. Lo spettacolo poi diventa appassionante
se c'è un attore che non si limita a leggere ma interpreta, come se i testi fossero
poesie o sue esternazioni e a eseguire
le canzoni ci sono musicisti di tutto rispetto. E' quello che accade al Teatro
Menotti di Milano dove, da ieri fino a domani, è in scena 66/67, sottotitolo Un
concerto di Alessio Boni e Omar Pedrini. I due numeri sono l'anno di
nascita degli artisti. Non è una ricercatezza fine a stessa, ma vuole mettere
in risalto l'amicizia e il legame dei due, come raccontano loro stessi, divisi
solo da un lago. Boni, infatti, è di Sarnico sulla sponda bergamasca del lago
d'Iseo, mentre Pedrini è della sponda bresciana. Oltre l’evidente passione per
la musica, rock in primis, li unisce una specie di destino incrociato. Da bambino Boni sognava di fare la rockstar e
Pedrini l'attore. Ora eccoli entrambi sul palco, magistralmente accompagnati da
Larry Mancini, voce e basso, Carlo Poddighe, voce, chitarra e tastiere, Stefano Malchiodi, batteria. Il primo pezzo è Blowin’ in the wind e ci si
rende conto che quelle parole che abbiamo canticchiato mille volte, sono vere
poesie che non ci fanno stupire del premio Nobel, mai ritirato, dato a Bob
Dylan. Secondo brano Sounds of silence
di Simon & Garfunkel. La lettura del testo, come sempre, è preceduta da
piccoli bio-ritratti ben inquadranti, scritti da Boni con la giornalista Nina
Verdelli. Si racconta l’incontro dei due, che spiega tante cose e fa apprezzare ancora di più quella musica.
Quando si arriva a John Lennon è una rivelazione. Quanti sanno della sua infanzia infelice, con
padre assente e madre, ritenuta non adatta a educare un bambino, morta in un incidente quando forse ci sarebbe potuto
essere un ravvicinamento. E le parole di Mother
gridate da Boni danno davvero la pelle d’oca. Dopo Lou Reed, i Rem, i Pink Floyd,
David Bowie, Bob Marley, è la volta di Pedrini con una canzone composta quando
era con i Timoria, il suo gruppo. Preceduta ovviamente dal racconto-recita di
Boni. Alla fine, come per realizzare quel sogno di bambini, scambio di ruoli.
La rockstar legge il testo di Io non mi sento italiano di Giorgio Gaber,
pubblicato postumo, mentre l’attore canta la canzone. Una scelta ben studiata perché, come spiega l’attore,
in caso di flop non c’è l’imbarazzo dello spettacolo che continua. Bis
prevedibile, richiesto quasi all’unanimità Heroes
del Duca Bianco, ideale per far ballare il pubblico. Un inizio di stagione felice
per il Teatro Menotti, su cui per molti mesi è pesata la minaccia di
chiusura.
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