Riuscire
a tenere viva l’attenzione con una storia che non è una storia, non è impresa
facile. Per chi fa teatro è una specie di banco di prova, più che un esercizio
di stile, quasi un virtuosismo. Lo spettacolo in questione è I racconti di Hoffmann. L’adattamento di Claudio Gaj e Delia Rimoldi,
prende spunto da
un’opera fantastica in cinque atti di Offenbach, a sua volta ispirata da una
pièce precedente che si rifaceva appunto a tre racconti dello scrittore
romantico tedesco. Tutto si svolge in un locale, vicino al teatro dell’Opera. Pareti nere, una grande scritta al neon Luther, nome
del proprietario, sempre dietro al bar, interpretato da Delia Rimoldi, che è
anche la regista. Davanti a lei sfilano i personaggi. C’è il depresso, un convincente
Jacopo Veronese, che insegue un amore idealizzato e affoga la sua disperazione
nell’alcol. C’è il cattivo, Claudio Gaj, con un ghigno satanico impresso nel
viso e occhiali neri. Sempre su di giri, si diverte a provocare e sopraffare, seguendo il mito del superuomo demiurgico.
E poi c’è la donna. Può essere quella amata e sognata dal depresso, ma anche
una specie di bambola meccanica creata dal cattivo per soddisfare il suo
desiderio di onnipotenza. Bravissima, nel doppio o triplo ruolo, Emanuela Caruso,
soprattutto nella gestualità robotica. Affiorano
ricordi, promesse, speranze, si mescolano frasi surreali a concetti di vita
vissuta. Ogni personaggio sembra dipendere fortemente dai gesti e i movimenti
di un altro, e invece curiosamente continua a seguire un suo cammino. Cosa
succederà non è importante, l’importante è fermare certi momenti. Lo
spettacolo, già in scena allo Spazio Di
là, a Milano, il 17,18,19 novembre, prosegue il 24,25,26 e il 1°,2, 3 dicembre.Nella foto Caruso, Gaj, Veronese.
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