Cosa c’è in un nome? Molto di più di quello che
pensa il grande Shakespeare, almeno
secondo la sua famosa frase sulla rosa e il suo profumo. E di certo i pubblicitari e gli uomini di
marketing hanno da dire parecchio in
proposito. Chissà quanti prodotti avrebbero meno successo se chiamati in modo
diverso? Essere una parola memorizzabile
è di sicuro un grande vantaggio,
superato in questo momento dall’essere
anche internazionale. Un esempio a sostegno è Geox. Come ha spiegato il presidente e fondatore dell’azienda, Mario
Moretti Polegato, è composta da geo che significa terra in greco quindi rimanda
al camminare e alla natura e da una x
che aggiunge un plus di tecnologia: un nome breve ma soprattutto adattabile a qualsiasi lingua. Ma non è per
questo, che nei 115 paesi dove Geox esporta, il 65% della
popolazione conosce
il marchio. Il nome è importante ma non determinante. Più giusto quindi
chiedersi cosa c’è in una scarpa? O meglio cosa ci dovrebbe essere. Stile,
eleganza e ovviamente confort. Sul confort e il benessere Geox punta da 25
anni, senza mai fermarsi. Dalla scoperta della scarpa che respira, continua
a cercare il meglio. Non a caso il 2%
del fatturato viene reinvestito nella ricerca tecnologica, con 15 ingegneri
che lavorano all’interno e varie collaborazioni e consulenze da diverse
Università.L’obiettivo che ora persegue in contemporanea è l’aspetto
moda, all’altezza dell’osannato made in Italy. E sembra essere a buon punto dal
momento che con le sue scarpe Geox è sponsor tecnico del Padiglione Italia per
Expo. Che non significa solo avere fornito 900 pezzi tra uomo e donna per il
personale. Ma anche la nuova sneaker
Nebula in camoscio e rete nylon per lui, e la raffinatissima Elina con
tacco 6 cm e fibbia in metallo argentato per lei, entrambe perfettamente di
tendenza.
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