Se si mettono a confronto tè e caffè
e il loro uso nel mondo occidentale, il primo ne esce distrutto e annientato. Il
caffè sembra essere una condizione per vivere, qualcosa da cui non si può
prescindere. E’ il protagonista delle frasi luogo comune:“Senza un caffè la
mattina non connetto”. “Il primo
pensiero quando mi sveglio è il caffè”. “Riesco ad aprire gli occhi solo
davanti a un caffè”. E’ la motivazione per un incontro rapido: “Vediamoci per un
caffè”. Nessuno direbbe mai “Vediamoci
per un tè”. Eppure la negletta bevanda ha lunghe tradizioni e antichi rituali.
Ha una sua ora, le sue sale e per molti decenni è stata la motivazione per un
ricevimento in grande stile (“La bevanda che permette anche a un povero di
ricevere come un principe” scriveva Pittigrilli). L’invito di signore per un tè, annunciato con
giorni di anticipo, richiedeva abiti, orari, servizio, porcellane, argenti. “Venga
a prendere un caffè da noi” non necessita di una preparazione, si dice ai
vicini o a persone in confidenza. Anche nel modo d’uso il tè guarda alle
tradizioni, il caffè si rinnova, a cominciare dalle apparecchiature. Pure il
packaging si differenzia. Chi
regalerebbe una
confezione di caffè? Invece il tè si presta a diventare un oggetto-dono. Ne è
un esempio la scatola del Tsarevna Kusmi Tea, il tè di Natale nero
speziato di base con aromi d’arancia, vaniglia e mandorla. Racconta la storia di quel Pavel Kousmichoff
di S.Pietroburgo fornitore degli zar, con la sua casa del tè fondata nel 1867, che, fuggito dalla rivoluzione del 1917, apre una boutique a Parigi, abbreviando il suo nome in Kusmi. Quindi si
espande a New York, Londra, Berlino. Ora il marchio è di proprietà della
famiglia Orebi, nel settore dal 1935, e ha negozi nelle più importanti città,
in Italia solo a Milano. Accanto alle vecchie “boites”, rivisitate fedelmente,
e alle centennali miscele, ci sono nuovi tè “salutistici” con packaging contemporanei e di design. Come
dicono gli eleganti still life del fotografo Dimitri Tolstoï, discendente dello scrittore.
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