venerdì 17 dicembre 2021

UNA LINGUA DI SUCCESSO

Lips and tongue è uno dei loghi più famosi e sfruttati degli ultimi 60 anni. Non solo nel mondo del rock e degli appassionati di musica.  Creato nel 1971 da John Pasche, studente del Royal College of Art di Londra, per l’interno copertina dell’album Sticky Fingers dei Rolling Stones, si ispira alla dea hindu Kali, su suggerimento di Mick Jagger. Non alla sua bocca come molti pensano. Il disegno venne pagato solo 50 sterline, a cui se ne sono aggiunte 26mila nel 1984, per i diritti. Nel 2008 il bozzetto originale è stato venduto al Victoria and Albert Museum di Londra per 92.500 dollari. Quelle grandi labbra rosse da cui fuoriesce una lingua altrettanto rossa, nel giro di poco tempo hanno superato copertine di vinili e cd, per diventare un simbolo di anti-autoritarismo e ribellione e apparire un po’ dappertutto dall’abbigliamento alle automobili. 


Alanui con Bravado, società di merchandise e brand management di Universal Music Group, per celebrare i 60 anni dei Rolling Stones, ne ha fatto il protagonista e filo conduttore di una capsule collection. Brand fondato nel 2016 dai fratelli Carlotta e Nicolò Oddi, Alanui si è subito distinto per il tipo di maglieria, con lavorazioni jacquard e filati preziosi, ispirati all’iconografia americana e al viaggio in generale. Non  a caso il nome Alanui significa grande percorso in hawaiano. Ed ecco in collezione, con i nomi dei successi della band, per uomo, donna e bambino, It’s only Rock and Roll, in lana vergine con il motivo bandana rosso e nero. Start me up è un classico cardigan nero con le parole della canzone sul fronte. Psychedelic, realizzato con filati rigenerati di cashmere e lana, ha un sapore vintage. “Sono una grandissima fan dei Rolling Stones fin da bambina e la band è sempre stata fonte di ispirazione” commenta Carlotta Oddi, direttrice creativa. La capsule è in vendita dal 10 dicembre sul nuovo e-commerce alanui.it.

mercoledì 15 dicembre 2021

RITORNO AL FUTURO

Bisogna proprio vederlo scritto che lo spettacolo Far Finta di essere sani, al Menotti Teatro Filippo Perego da ieri fino al 31 dicembre, sia stato concepito da Giorgio Gaber e Sandro Luporini e rappresentato nel 1973, quasi cinquant’anni fa. Certo c’è l'adattamento e la regia di Emilio Russo e ci sono effetti di luce, migliori di qualsiasi scenografia, impensabili per allora. Però i contenuti e cioè le parole delle canzoni, come i dialoghi e i monologhi sono quanto mai attuali, tanto da domandarsi se Gaber non guardasse già molto avanti o se invece si adattano a questi tempi perché segnati dal Covid. 



Sul palcoscenico, tutti vestiti uguali in pantaloni con bretelle e camicia bianca, l’eclettica e bravissima Andrea Mirò, attrice, autrice, cantante, violinista, direttore d’orchestra, il brillante Enrico Ballardini autore, musicista e cantautore e gli strepitosi quattro della band toscana Musica da Ripostiglio, che hanno curato l’arrangiamento delle musiche. Tutti perfettamente in accordo e ugualmente responsabili di uno spettacolo davvero coinvolgente. Dove si ride, certo, si partecipa battendo le mani o addirittura cantando, com’è successo sulle note di Libertà. Ma si riflette anche e si ha modo di pensare agli atteggiamenti schizofrenici dell’uomo contemporaneo, alle sue paure, alla sua finta aggressività, alle sue false sicurezze, in gran parte dettate da un contesto che gli è sempre meno congeniale.  Far finta di essere sani, prodotto da Tieffe Teatro in collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber, rimasto in stand by per due anni a causa della pandemia, è perfetto per chiudere l’anno in bellezza e con l’augurio di un anno migliore. Il 31 dicembre è prevista una doppia replica alle 19 e alle 22,30 con brindisi. 

martedì 14 dicembre 2021

ANNUNCIAZIONE IN SALSA POP

Delle Annunciazioni molto particolari quelle da vedere al Palazzo del Pretorio di Prato. Già il titolo della mostra Hi Woman! lascia immaginare che non si tratti di opere ispirate alle Annunciazioni  presenti nel museo. Da quelle dei tardo gotici Lorenzo Monaco, Andrea di Giusto e Mariotto di Nardo alla rinascimentale di Filippo Lippi, dalle seicentesche di Giovanni Billivert e Giovan Domenico Ferretti all’ottocentesca di Alessandro Franchi. Hi woman! è la versione pop e “aggressiva” del saluto che l’angelo Gabriele rivolge alla Madonna. Ma a coglierlo in questo caso sono più donne, ventidue artiste che danno una loro interpretazione del futuro : La notizia del futuro come dice il sottotitolo della mostra. Le opere, video, pitture,




sculture, installazioni, dialogano con le Annunciazioni storiche, in una sorta di confronto fra passato e presente. Anche i ruoli di queste Annunciazioni  sono stravolti. L’artista è allo stesso tempo l’angelo che annuncia e la Madonna a cui si annuncia, ma l’opera è anche l’angelo e la Madonna è lo spettatore. Come scrive Francesco Bonami, curatore della mostra, l’Annunciazione è “un’immagine cardine dell’iconografia di una buona parte del genere umano…  La Madonna diventa depositaria del futuro del mondo…senza condividere il piacere di questa responsabilità”. Una mancanza di scelta che è comune  alle donne di molti Paesi. Le artiste, invece, sono donne che hanno scelto di essere artiste in una condizione quindi opposta a quella della Madonna. E di questo tema trattano le loro opere, in una formula spesso difficile da decifrare che coinvolge sentimenti, ideologie, scelte di vita e individuale concetto di arte. La mostra, inaugurata l’11 dicembre, chiude il 27 febbraio.  Nelle foto, dall'alto,  Isabelle and Marie di Roni Horn, Have you seen me before? di Paola Pivi, Burned Bridge di Marianne Vitale.

venerdì 10 dicembre 2021

IL CORAGGIO DELLA DISOBBEDIENZA

Per quanto l’efficacia del teatro data la presenza fisica sia indiscutibile, il provare brividi o l’essere totalmente presi in una vicenda drammatica, come guardando un film al cinema, di rado si verifica. Per Aquile Randagie, in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano, succede. Scritto e interpretato da Alex Cendron (trevisano, classe 1977) racconta una vicenda della storia italiana sconosciuta ai più. Come anticipano le tre parole che seguono al titolo Credere, disobbedire, resistere, tratta  della clandestinità e del grande contributo alla Resistenza degli scout nell’Italia fascista durante l’ultima guerra. Lo scoutismo, infatti, era stato soppresso nel 1928 con un decreto di Mussolini. In sostanza gli scout, anche se organizzazione cattolica, non potevano più esistere, l’unica forma di aggregazione consentita per i giovani era l’Opera Nazionale Balilla. Però quella decisione ridicola e insensata non si è limitata a far ridere, come tante altre del Duce, ma ha avuto tragiche conseguenze. Gli scout non si sono adeguati all’imposizione, ma hanno deciso di continuare con le loro riunioni e le loro missioni.



Proprio di una di queste, svoltasi in una notte, parla lo spettacolo. Cendron, sul palcoscenico con un grande schermo dove ogni tanto sono proiettate vecchie foto d’epoca, di volta in volta interpreta personaggi differenti. Sempre in divisa da scout. Dal padre ariano che deve portare fuori dall’Italia il figlio, la moglie e un’amica, entrambe ebree, al prete combattivo e risoluto. Dall’albergatore, apparentemente amicone e cordiale, in realtà orribile delatore, al militare che non sa cosa fare, a qualcuno degli scout che per salvare la famiglia s’inventano di tutto. Portano a termine la missione, ma  sacrificano le loro vite. I personaggi interpretati sono quanto mai realistici, ognuno con una parlata che li caratterizza, ma senza mai diventare macchiette. Gia dalle prime battute la tensione è forte e aumenta in modo esponenziale. Si è ansiosi di sapere cosa sta succedendo, si spera, si partecipa, insomma, in modo totale. Coinvolgente la regia di Massimiliano Cividati, ben supportata dalle musiche di Paolo Coletta. Aquile Randagie, da ieri al Teatro della  Cooperativa, prosegue fino al 19 dicembre. Ci si augura che lo spettacolo, dato l’altissimo livello e l’importante contenuto, possa essere replicato in tutta Italia e mostrato soprattutto ai giovani.


martedì 7 dicembre 2021

MISTERI A BORGO

I motivi che invogliano e quindi consigliano la lettura di L’Album di famiglia di Valentina Olivastri sono svariati. Tanto da poter essere inquadrato in diverse tipologie di romanzo. Ci sono le descrizioni dei luoghi, dove emergono il poetico e una scrittura classica inappuntabile. C’è il giallo sfiorato che cattura l’attenzione. Ci sono i personaggi di un’apparente normalità, ma tratteggiati in sfumature a sorpresa e resi freschi e contemporanei dai dialoghi, ben conditi da espressioni tipiche fra la parlata umbra e quella toscana.  


Tutto si svolge, infatti, nell’inesistente paese di Borgo,“un microcosmo per un microtempo”, ha spiegato l’autrice, alla presentazione del libro, collegata in streaming da Oxford, dove vive ed è Principal Library Assistant della biblioteca dell’Università. Dato che Borgo ha vari punti in comune con Cortona, suo paese natale, e considerando che il racconto è in prima persona, vien facile pensare a un romanzo autobiografico. Che invece non è. Da Cortona, certo, Borgo ha preso molto, ma il nome è un omaggio a Piazza d’Italia di Antonio Tabucchi e la splendida vista da una finestra è “presa in prestito” dal paese di Radicondoli, nel senese. “La scrittura è ricordare” sostiene Olivastri. E i cenni e i ricordi sono molti. A cominciare dai numerosi accenni al cibo come un piacere.  Non ci sono ricette ma s’individua il gusto per la cucina tradizionale  tanto da farla diventare “un collante fra amici nuovi e vecchi”. Ed è in questa atmosfera, fra un invito a cena e due chiacchiere al bar, che dalla banale scoperta di un vecchio album, emerge una storia che rivolta completamente le supposizioni, le concezioni, i pareri che da anni erano uno dei soggetti preferiti di conversazione.  Con uno straordinario colpo di scena. 

venerdì 3 dicembre 2021

FERRE': IL RIGORE DELLA CREATIVITA'

"Non è stato solo un atto notarile" ha commentato il Rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta a proposito della donazione al Politecnico dell’archivio del patrimonio artistico di Gianfranco Ferré e della sede della Fondazione, in Via Tortona a Milano, in cui è raccolto dal 2008.  Sarà, infatti, la base di un Centro di Ricerca che avrà il nome dello stilista, laureatosi in Architettura nel 1969, proprio al Politecnico di Milano. Il Centro avrà quindi una dimensione dinamica, non sarà solo un archivio, ma un laboratorio per sperimentazioni che coinvolgeranno docenti e studenti di diverse discipline dell’Ateneo.




L’archivio comprende più di 150mila documenti e artefatti, che vanno da schizzi e disegni tecnici a foto, abiti, accessori, libri, riviste dal 1970 al 2007, filmati, rassegne stampa, scritti, lezioni, appunti dello stilista. E tutto quasi interamente catalogato in una banca digitale, che lo rende facilmente fruibile. Un patrimonio, come hanno spiegato Luisa Collina e Alessandro Deserti del Politecnico, rispettivamente Preside della Scuola di Design e Direttore del Dipartimento di Design, che è un ideale punto di partenza su cui studiare e da fare evolvere con le nuove tecnologie. Questo è possibile grazie al rigore delle opere di Ferré, come ha ribadito il Rettore, dovuto a una progettualità insita nella sua  formazione di architetto. Paola Bertola, docente di Design al Politecnico, ha ricordato come lo stilista nella sua ultima lezione al Politecnico, il 14 giugno del 2007, l’abbia stupita per quella capacità di incanalare la sua poetica in un rigore scientifico. Partiva cioè da categorie, da principi quasi fisici e matematici, piuttosto inconsueto nel mondo della moda, dove l’ispirazione sembra essere il solo elemento trainante. E tutto questo senza togliere nulla alla creatività perché, come ha detto Rita Airaghi Direttore generale della Fondazione e la persona che è stata più vicina allo stilista nella sua attività, Ferré sosteneva che non si deve mai dimenticare che la moda è anche un sogno.  


 

mercoledì 1 dicembre 2021

SCULTURE DA INDOSSARE

Che il gioiello sia una forma d’arte è risaputo e riconosciuto,  ma che possa avere un riferimento con un movimento artistico non è così scontato. Eppure succede. Ne sono un esempio i gioielli di Alberto Zorzi, maestro orafo classe 1958, nella mostra curata da Alessandra Quattordio alla Babs Art Gallery di Milano. Come dice il titolo Geometrie nello spazio "nell'approccio scultoreo" si nota uno studio, appunto, delle geometrie e una ricerca del movimento che in qualche modo rimandano al Futurismo. I gioielli esposti, tutti esemplari unici, si distinguono in pezzi definibili storici e in una ventina degli ultimi vent'anni. 




Tra i primi la spilla Opera Aperta dove un rubino sintetico esce come un fiore da una piccola coppa d'oro (in alto) o la spilla Structura con quarzi dal taglio a lastra (al centro). Sono opere più recenti il collier Metropolis con un pendente in cui elementi in oro e onice richiamano una città futuribile (in basso) o l’incredibile bracciale Scriptura in argento dalla forma perfettamente cubica. O ancora l'anello La fecondità con due sfere d’argento all’interno di una conchiglia d’oro semiaperta. In contemporanea nella galleria da vedere la mostra Vivide Cromie animali, a cura di Ermanno Tedeschi con le opere di Edgardo Maria Giorgi, giovane artista e graphic designer torinese. Sono dei pannelli con dipinti di nove animali in via d’estinzione nei quali l'artista incastona delle gemme colorate, illuminate da un punto luce “che esalta la diversità tra la componente opaca e quella trasparente”. Di Giorgi anche alcuni pezzi dell’Agiografia Illuminata, rappresentazione dei santi in chiave contemporanea, già  esposta in Vaticano. La duplice mostra, inaugurata il 25 novembre,  chiude il 31 gennaio 2022. La galleria, in Via Gonzaga 2, è aperta da lunedì a venerdì dalle 10 alle 18. Altri orari su appuntamento.

sabato 27 novembre 2021

TEATRO NEL TEATRO

"Teatro nel teatro": potrebbe essere una definizione di Metti una sera a teatro, al Teatro Menotti-Filippo Perego di Milano, fino al 5 dicembre. Però è incompleta, racconta effettivamente di quattro persone che assistono a uno spettacolo teatrale, ma non dice che è una perfetta e nuova formula di commedia, come ormai se ne vedono poche sul palcoscenico. Non a caso un giornalista americano ha così recensito la pièce alla prima negli Usa “Questo spettacolo non ha bisogno di un pubblico è favoloso così com’è. Il pubblico ha bisogno di questo spettacolo”. Scritta da Lawrence Casler la commedia arriva in Italia con la regia di Alessandro Averone, che è in scena insieme ad Arianna Battilana, Alessia Giangiuliani, che ha curato la traduzione, e Mauro Santopietro. I quattro attori, bravissimi e convincenti, interpretano Margaret e Stanley, Donna e Walter, due coppie che si ritrovano a teatro per assistere all’Amleto di Shakespeare. La proposta è partita da Walter l’intellettuale del gruppo.  Diversissimo da Stanley, fiero di essere digiuno di tutto quello che è cultura fino a farsene un vanto. Solo apparentemente Walter è assecondato da Margaret che vive di luoghi comuni, vittima prediletta delle fake news, ma convinta di sapere. Totalmente diversa da Donna, la sciocchina del gruppo, con opinioni alquanto strampalate, ma nessuna pretesa. 



Per tutto il tempo dello spettacolo i tre sbucciano caramelle, fanno cadere oggetti, ridono, scherzano, parlano di quello che è capitato ai loro amici, delle richieste dei figli, ma soprattutto commentano le scene dell’Amleto con frasi quanto mai esilaranti. Interrotti continuamente da Walter che cerca di richiamarli al silenzio o di spiegare, senza risultato, il significato di quello che stanno vedendo. Il quadro che emerge è di un totale qualunquismo e di una forte ignoranza, che per quanto eccessiva, dà l’idea di una superficialità dilagante. Nessuna critica da parte dell’autore, ma solo l’intento di fare passare due ore di puro divertimento.  Obiettivo raggiunto in pieno.   


lunedì 22 novembre 2021

CALENDAR DOGS

Louise con le folte sopracciglia e la corona di fiori sostituisce bene la Frida Kahlo dell’autoritratto (v.foto). Theo con occhi verdi e turbante rosso è perfetto come Uomo con turbante rosso di Van Eyck. Stella, dallo sguardo triste e la fascia gialla e blu in testa, è l’inconfondibile Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer. La bruna Kira con il collare dorato attorno al collo, lungo e sottile, è Giuditta I di Klimt. La pipa in bocca, l’orecchio bendato, il colbacco di pelliccia, come non riconoscere in Zac l’autoritratto di Van Gogh (v.foto)? In onore di Leonardo, Mallory diventa Dama con l’ermellino e Cocca La Gioconda. Alvin con quell’aria furbetta è un attendibile Young Husband, come lo vedeva Lilly Martin Spencer, pittrice anglo-americana di fine Ottocento. Sono otto dei dodici cani inseriti nei ritratti della Galleria d’Arca 2022, il calendario  dell’Arca delle Code, la Fondazione Bini Onlus che si occupa di cani senza padrone. Da anni realizza i calendari con le foto di alcuni dei soggetti in attesa di una casa. 



Quest’anno ha deciso cambiare e si è rivolta a Beatrice Poggio (classe 1999),laureanda in una branca di veterinaria che si occupa della gestione e del benessere dei cavalli e artista per passione. Al suo attivo dipinti su legno, decorazioni di pareti e soprattutto murales. E’ lei che ha proposto di sostituire, in ritratti e autoritratti famosi, l’umano con un cane, cercando il più possibile di individuare un’affinità tra l’animale e il protagonista dell’originale. E l’effetto è davvero notevole. Il calendario ha avuto la sua presentazione ufficiale nell’evento di domenica 21 novembre, nel grande prato di fronte al Polo Zooantropologico, la nuova struttura in fase di ultimazione a Settimo Milanese. Costruita secondo i principi della sostenibilità etologica, ambientale ed ecologica sarà in funzione a primavera. Per informazioni e per acquistare il calendario:  www.larcadellecode.it. Per contattare Beatrice Poggio, per ritratti personali o del proprio pet: beatricepoggio1@gmail.com

sabato 20 novembre 2021

TUTTA COLPA DELL'ALGORITMO

L’inizio è davvero irresistibile e geniale. D’altra parte anche se non si conosce l’autore e unico interprete dello spettacolo, Massimiliano Loizzi, e la sua vis comica (di lui dicono che ha raccolto il testimone di Paolo Rossi, alla cui scuola si è formato) dal titolo o meglio dal sottotitolo ci se lo aspetta. La Bestia. Indagini sui fascismi al di sopra di ogni sospetto è da ieri in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano, che lo produce in collaborazione con Mercanti di Storie. 



Per quasi due ore Loizzi, da solo sul palcoscenico, racconta e riflette sul mondo che ci circonda, dove la manipolazione della verità, i luoghi comuni, i poterini, il rifuggire la verità, le fake news si intrecciano continuamente. Lo fa imitando un rapper, ricordando aneddoti vissuti in prima persona anche in famiglia, interpretando persone comuni. Spesso s’interrompe per commentare quello che sta succedendo nel pubblico. Dai due in prima fila che stanno abbracciati alla signora che si alza per andare alla toilette. O semplicemente per reclamare l’applauso e la risata che non arriva o accusando il pubblico di non essere all’altezza. Una satira, che si compiace spesso del turpiloquio, ma che fa pensare alla situazione in cui si vive, alle contraddizioni continue, alla Bestia, appunto, quell’algoritmo che governa il populismo, a quel panorama squallido ma reale in cui tutti siamo coinvolti e di cui in parte siamo responsabili. Loizzi non giustifica nessuno, ma neanche si mette sul piedestallo, anzi si espone per primo alla critica. Per quanto il ritmo sia veloce e sostenuto, alla fine, data la lunghezza dello spettacolo,si notano quasi inevitabili le ripetizioni e l’accanimento su certi argomenti, che abbassano, anche se di poco, la brillantezza del monologo. Comunque uno spettacolo assolutamente da vedere. Fino al 28 novembre.   

mercoledì 17 novembre 2021

IL FASCINO DISCRETO DELLO SCOLAPASTA

Siamo abituati che un utensile per la casa, magari dei meno considerati, se non addirittura disprezzato, diventi un oggetto di design. Il Merdolino, scopino per WC disegnato da Philippe Starck  per Alessi, ne è l’esempio più clamoroso. Però che appaia addirittura come una scultura, con implicazioni stellari, è meno scontato. Così è Cosmo. Visto di profilo può sembrare la riedizione in chiave Tremila di un vaso etrusco. Visto invece dall’alto ha tutta la magia di un cielo stellato. Dove le stelle sono dei fori che nella loro disposizione ricordano quella, apparentemente casuale, degli astri. 



Fori molto importanti per la funzionalità dell’oggetto, dato che Cosmo è uno scolapasta. Questi sono progettati per essere più stretti all’interno per impedire a pasta sottile, come gli spaghetti, di uscire e più ampi all’esterno, per evitare che l’amido ristagni. La praticità dell’oggetto non si ferma qui. E’ infatti ergonomico, perché agevole da maneggiare e senza fori in corrispondenza delle mani, per evitare eventuali bruciature. Inoltre si appoggia su quattro piedini, garantendo così una maggiore stabilità. A tutto questo si aggiunge che è in un polipropilene totalmente riciclabile, molto resistente e a lungo ciclo di vita. Ed è disponibile in sei colori saturi e opachi, assolutamente di tendenza, per adattarsi alle cucine più design. Anche se il Blu Oceano (Ocean Dark) resta il colore più stellare. E’ prodotto da Blim+ un marchio dell’azienda di casalinghi Veca Spa.  

giovedì 11 novembre 2021

GOODBYE, VIETNAM

Peccato che sia rimasto in scena solo un giorno. Soltanto ieri, infatti, si è visto sul palcoscenico del Menotti-Teatro Filippo Perego di Milano Their Footsteps. Come When we went Electronic in scena il giorno prima, altrettanto interessante, fa parte della seconda edizione di Onstage!Festival, primo festival di Teatro Americano in Italia. Presentato da Kit Italia e The International Theatre in collaborazione con Kairos Italy Theatre a New York, si propone di sostenere il teatro indipendente, con un ciclo di dibattiti e conferenze all’Università IULM, che rientrano nella rassegna Aspettando BookCity. I due spettacoli (in inglese con sopratitoli) sono centrati sulle donne. Il primo è una testimonianza di due modelle che cercano di recuperare la memoria dopo una tragica notte di stupro. 


Il secondo Their footsteps affronta il tema delle volontarie nella guerra del Vietnam. Cinque giovani attrici sul palco, con solo delle cassette che usano come sedili, raccontano le loro esperienze. Di come sono arrivate a quella scelta. Delle difficoltà che hanno incontrato. Del rapporto con i soldati. Due sono state ufficiali, tre impiegate civili. Tutte parlano da protagoniste in prima persona, ma a vicenda tutte svolgono ruoli di uomini o di altre donne nei vari racconti. Si può davvero parlare di teatro nel teatro, ovvero di una scuola di recitazione, dove si deve essere pronti a interpretare personaggi diversi, in situazioni diverse, nel giro di pochi minuti. Non sono mai storie estreme, non ci sono cattivi, né buoni. Non ci sono abusi o violenze, come ci si potrebbe aspettare parlando di una situazione di guerra in cui le donne sono state una più che esigua minoranza. Ma non si avverte neanche comprensione o aiuti da parte degli uomini. Quello che emerge è l’indifferenza per queste persone, che sembrano non essere mai esistite. Com’è stato confermato anche nei commenti di un’ americana, che è stata volontaria, intervenuta nel dibattito seguito allo spettacolo. Ma l’indifferenza per chi aveva combattuto in Vietnam è maturata anche per gli uomini. Una scelta politica. Il Vietnam doveva diventare una pagina di storia americana da dimenticare. 

martedì 9 novembre 2021

CAMMINARE STANCA?

La foto di copertina con la campagna dell’anconetano è normalmente attraente. Stupirebbe il contrario dato che l’autore, Natalino Russo, che non è al suo primo libro sull’argomento, è un fotografo professionista. Il titolo L’Italia è un sentiero – Storie di cammini e camminatori  è chiaro ed esaustivo, nel senso che spiega il contenuto. Proprio per questo però potrebbe frenare chi non è interessato al tema, leggi non camminatore, pigro ecc. Ma se si superano due pagine, già prima dell’indice, la dedica “A mia madre e mio padre che mi hanno insegnato a camminare” può  stimolare la curiosità o comunque anticipare lo stile di scrittura. Confermato pienamente dal titolo dell’introduzione Pensare coi piedi. Che allontana qualsiasi spauracchio di libro sentenziante. 


In realtà l’argomento camminare non è affrontato in modo superficiale ma con un taglio anche filosofico-psicologico, però sempre con senso dell’umorismo, per cui l’autore, gran camminatore, non si mette mai in  cattedra, ma tutt’al più sta al tuo passo. Le informazioni sono tante, i percorsi raccontati molti, i ritratti di camminatori svariati, gli aneddoti diversi ma non frastornanti, né mai autoreferenziali. I consigli pratici, dai più ovvi a quelli meno scontati.  Dal tipo di scarpe e calze per evitare vesciche alla macchina fotografica da portare, fino a come organizzarsi per il bucato o come scegliere lo zaino, a cui è dedicata più di una pagina. Finito il libro, il pigro non sarà spronato a lasciare il divano, ma sarà soddisfatto della lettura. Mentre l’incerto vorrà sperimentare se  camminare sia “una fatica che fa apprezzare il riposo” e sarà d’accordo con quel “Scoprirete che essere stanziali è molto più faticoso che camminare” scritto nelle ultime pagine. E magari deciderà di percorrere uno dei cammini citati. Tra cui, a sorpresa, due romani: uno sull’Appia Antica e, “agli antipodi”, la traversata di Roma lungo la linea A della metropolitana.  Il libro è pubblicato da Economica Laterza.  

lunedì 8 novembre 2021

DONNE PER LE DONNE


 
Non è una novità che nella drammatica situazione dell’Afghanistan chi soffra di più siano le donne.  Già la loro condizione era tra le peggiori del mondo, con il ritorno dei talebani è destinata a deteriorarsi ulteriormente. Portare aiuto viene naturale, ma le modalità non sono così semplici. 

Per questo è davvero apprezzabile l’iniziativa di Donne Fotografe. L’Associazione, che raccoglie fotografe italiane e residenti in Italia, è nata per promuovere in tutto il mondo la fotografia al femminile, spesso sottovalutata o non così celebrata come quella al maschile. Nonostante i grandissimi nomi del passato e del presente. Vari quindi i modi per arrivare all’obiettivo. Dalle mostre, come quella organizzata di recente a Palazzo Reale di Milano, a Solidarity Fine Art Afghanistan.  


Per cui 29 fotografe italiane si sono impegnate con il loro lavoro ad aiutare le organizzazioni umanitarie che operano in quel Paese. Hanno così creato sul sito www.donnefotografe.org delle serie fotografiche sulla vita delle donne. Si va da immagini di reportage di guerra o di manifestazioni, con protagonisti o interpreti principali al femminile, a foto di donne comuni nel loro quotidiano, da ritratti di sconosciute di ogni età (v. foto di Beatrice Mancini) a quelli di celebrità, premi Nobel, attrici (Claudia Gerini, foto Giovanna D
al Magro), sportive, scrittrici. Le foto stampate su carta di cm.30x40, complete di certificazione,  sono in vendita  dal 27 ottobre fino al 27 novembre sul sito, per un’offerta minima di 150 euro. Il ricavato sarà devoluto a CISDA-Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus, Pangea, Emergency. Un bellissimo regalo di Natale.  

sabato 6 novembre 2021

QUANDO SI DICE DARE UN TAGLIO

Davvero uno spettacolo straordinario Fontana Project della compagnia Nogravity  in scena ieri, oggi e domani al Teatro Filippo Perego-Menotti di Milano. Poco meno di mezz’ora di grandi emozioni, stupore, empatia, entusiasmo, perfino suspence e arte. Difficili da raccontare. Come dice il titolo, tutto parte dai Tagli di Lucio Fontana, in cui si inseriscono la luce e il colore di Umberto Boccioni.



“Il mio lavoro è riaprire il taglio, rimettere in moto le cose seguendo un tempo…” scrive Emiliano Pellisari,autore e performer insieme alla prima ballerina Mariana Porceddu, con cui forma una coppia nella vita e artistica. Ed ecco in scena riflessa sulle quinte, attraverso un grande specchio, l’esile figura di Mariana che entra ed esce da dei lunghi teli, fino a confondersi con questi. Ci si annoda, scompare, li muove, li riempie di vita. Come un tessitore Emiliano  sorveglia e coordina i movimenti. E’ vestito di nero con berretto, come una divisa, ma la sua figura non ha rilievo. Lei è il movimento, nuda con uno slip nell’Opera Grammaticale n°1 (in basso), in tuta nell’Opera Grammaticale n°2 (in alto). Si chiamano così le due parti di questa performance danzante. Sono solo grammatica rispetto all’opera d’arte, funzionali, proprio come le parole in una poesia. Nella prima i teli sono tinta crema, nella seconda rosa, per i giochi di luce  di Marco Visone, il terzo della compagnia Nogravity, che cura anche i suoni, incredibili, perfetti per intonarsi ai movimenti. Sono brani anche famosi ma trasformati e irriconoscibili nel sapiente mixaggio, curato anche dalla stessa Mariana. 

    


giovedì 4 novembre 2021

DAL BICCHIERE ALLA PASSERELLA

Possono dei capi di abbigliamento essere rappresentativi di un marchio di bevande? Non si sta parlando ovviamente di T-shirt e simili con scritta pubblicitaria. Sembra proprio di sì considerando l’iniziativa di PepsiCo in collaborazione con Domus Academy, una delle più accreditate scuola di moda e design italiane. L’obiettivo era individuare un modo di vestire il più possibile coerente con lo spirito e lo stile di chi beve Pepsi Max o Rockstar energy drink, terzo d’importanza negli Usa dopo Red Bull e Monster, acquisito da Pepsi. Così gli studenti del Master in Fashion Design sono stati sfidati a proporre delle piccole collezioni che reinterpretassero i due brand. Ispirati da quello che riflettono del mondo.           




Dopo lo workshop dal titolo Envisioning the future of our brands through fashion dodici studenti hanno lavorato per tre mesi sui loro progetti. Fra questi sono stati selezionati due vincitori. L’olandese Louis Lanting è stato scelto per Rockstar con una collezione da uomo  sui toni del nero e del grigio con righe dorate (foto in alto). Zih Ling Chen di Taiwan, scelta per Pepsi Max, ha proposto per la donna capi ipercolorati con riferimenti al Fizzdigital, come lei definisce la divisione tra fisico e digitale (foto in basso). Tutti i dodici studenti hanno sfilato con le loro capsule al Base di Milano durante l’evento Fashion Graduate Italia. Le collezioni saranno esposte in alcune delle sedi di PepsiCo negli Usa, tra cui il Design Centre di New York. 

mercoledì 3 novembre 2021

UNA DOVUTA RIVELAZIONE

Si è in imbarazzo, con un leggero senso di colpa, uscendo dalla mostra Marco Lavarello. Progetti per Genova. Eppure non c’è niente di proibito e neppure una denuncia sociale di cui sentirsi lontanamente responsabili. Al terzo piano dello store Giglio Bagnara a Sestri Ponente, sono esposti, dei quasi 3mila progetti dello Studio Lavarello, quelli realizzati tra gli anni 50 e 90, a Genova e in Liguria, firmati da Marco Lavarello, un nome sconosciuto ai più. 




E' curioso che non si tratta solo di edifici privati o di ristrutturazione d’interni, ma per lo più di opere pubbliche di dimensioni notevoli. Dal Teatro Margherita di Genova, il più grande della Liguria, all’Ariston di Sanremo sede del Festival, a svariati cinema. Dall’Auditorium del transatlantico Michelangelo agli interni del Leonardo Da Vinci. Fino agli allestimenti di sei edizioni di Euroflora, oltre ad arredamenti di barche e aerei. 
Da vedere fotografie, libri, documenti, rilievi e disegni ben sistemati nello store voluto nel 1869 da Giglio Bagnara su ispirazione delle Galeries Lafayette di Parigi e progettato dallo stesso Lavarello alla fine degli anni 60, nella nuova formula di 5500 mq su sette piani (il più importante edificio commerciale in un centro storico ligure). Solo i disegni potrebbero essere l’oggetto di una mostra. Straordinario, infatti, il tratto, l’uso del colore e degli accostamenti, per progetti impossibili da incanalare in una corrente di pensiero, eppure così significativi nella storia dell’architettura.  Pare che la sua abilità nel disegnare fosse tale che, di fronte al committente per illustrargli il suo progetto, lo disegnasse al contrario.  Stupisce quindi molto che Lavarello, non laureato, perché costretto per vicende familiari ad abbandonare gli studi universitari, non sia entrato nella rosa dei grandi progettisti. Molto quindi si deve ai tre giovani architetti che hanno avuto l’idea e hanno organizzato l'esposizione nel centenario della sua nascita: Maria Montolivo, Jacopo Baccani e il nipote Antonio Lavarello. Ci si augura che, oltre alla già richiesta laurea ad honorem in architettura per Lavarello, la mostra, patrocinata dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti e promossa da Giglio Bagnara e dalle aziende Gadolla, Interform, ETT, possa avere la risonanza che merita e viaggiare per l’Italia. Marco Lavarello.Progetti per Genova chiude il 15 dicembre.

 

giovedì 28 ottobre 2021

DI LIBRI SI VIVE

L’understatement non rientra tra le molte doti di Brunello Cucinelli. Ma è anche vero che le buone iniziative devono essere comunicate con enfasi. Specie se riguardano la cultura spesso messa in secondo piano. Perfettamente in linea, l’imprenditore umbro del cashmere ha esposto il suo progetto al Teatro Strehler di Milano. Sul palco, accanto a lui Massimo de Vico Fallani, consulente e amico, da lui definito come il Tolomeo per Alessandro Magno. In piccolo. In un angolo la testa di Adriano imperatore, da sempre suo ispiratore. Anche in questa occasione. Quando, visto l’aumento dei fatturati dopo la quotazione in borsa del 2012, si è chiesto “cosa poteva fare per l’umanità”. Costruire una Biblioteca Universale a Solomeo è stata la risposta, certo indotta da Adriano per il quale "fondare biblioteche è come costruire granai pubblici". 


Avrà sede in una villa settecentesca circondata da un grande terreno e ospiterà inizialmente dai 30 ai 35 mila volumi per arrivare a 400-550 mila (v.disegno sul palco accanto a una stampa della Biblioteca di Alessandria). Questi tratteranno cinque discipline: filosofia, architettura, letteratura, poesia e artigianato. Saranno acquistati in tutto il mondo, in lingua originale, per cui sono previste anche traduzioni dei volumi mai tradotti. Saranno solo testi dell’autore, non saggi di altri a commento. Un comitato di dieci persone si occuperà del reperimento, sotto la direzione sua e di Massimo de Vico Fallani. Una biblioteca per l’umanità, ha ribadito  Cucinelli che dovrà sopravvivere per mille anni,  “magari con qualche lavoro di ristrutturazione”. Dopo di lui se ne occuperanno figli e nipoti, e a questo proposito ha chiamato sul palco la nipote Vittoria, 11 anni, appassionata di libri. “Fare una biblioteca oggi, ha commentato l’imprenditore bolognese Gianluca Vacchi, grande amico di Cucinelli, è un’iniziativa contemporanea e futuristica”.  A conferma Vacchi, attivissimo sui social, ha riportato i risultati di alcuni studi che dicono come negli Usa i giovani  preferiscano studiare e leggere sul cartaceo e che solo il 9% sceglie gli e-book. Nessuna risposta sull’investimento previsto, una delle poche richieste precise dalla platea, in una serie di domande con consigli, complimenti, propri pareri su libri e lettura, alcuni al limitedell’autoreferenziale.    

martedì 26 ottobre 2021

L'ARTE E' IN OGNI STANZA

Il fascino della casa-museo è forte, chiunque ci abbia abitato. Sono case di scrittori, poeti, artisti.  Con le dovute eccezioni. La Casa Museo Belvedere a Pollone, a pochi chilometri da Biella, è una di queste. Apparteneva  alla gallerista Valeria Belvedere scomparsa improvvisamente nel 2020. Non solo propone arte contemporanea, ma ha ospitato spesso artisti che qui hanno posizionato le loro opere, secondo quello che i francesi chiamano l’accrochage.  


Figura di riferimento del panorama artistico milanese, Valeria Belvedere nella galleria in Via Senato, aperta nel 1987, ha esposto e fatto conoscere gli artisti più interessanti di quei quasi quarant’anni. Come testimoniano le foto e gli speciali quaderni, uno per ogni anno, che la figlia di Valeria, Giulia, ha voluto raccogliere in un prezioso archivio (nella foto in basso Valeria Belvedere con Hidetoshi Nagasawa e Fernanda Pivano a un'inaugurazione nel 1988). L’8 ottobre la Casa Museo è stata inaugurata nell’ambito di Viaggio. Orizzonti, frontiere, generazioni, festival alla sua quarta edizione che fa incontrare viaggio e arte, nei palazzi del Piazzo di Biella.  E’ una casa su tre piani, con un bel giardino, in un gruppo di edifici alcuni dei quali del Seicento. Valeria Belvedere l’ha acquistata e restaurata, senza modificarne troppo l’interno, ma rendendola più funzionale per l’esposizione delle opere e per ospitare gli artisti. Così in una stanza si trovano i lavori di alcuni di loro, che magari hanno dormito proprio lì. Le opere, diverse site specific, sono disseminate dappertutto: nell’ entrata, nella cucina funzionale, nei bagni,nel soggiorno vissuto, dove a fianco di un comodo divano c’è una sedia scultura di Luca Quartana (foto in alto).
 


Nel loggiato al primo piano (foto qui sopra) con una parete di finestre, si concentrano pezzi importanti: le sculture metalliche di Karpuseeler con il riferimento ai suoni o appesa al soffitto una scultura in metallo di Hidetoshi Nagasawa che ricorda una barca rovesciata, elemento ricorrente nella cultura nipponica. Un’opera dell’artista giapponese (1940-2018) insieme a un’altra del lucano Giacinto Cerone (1957-2004), anche lui presente con diversi lavori nella Casa Museo, sono a Palazzo Ferrero per una Mostra Omaggio a Valeria Belvedere. 
La Casa Museo Belvedere è visitabile su prenotazione ancora il 30 e il 31 ottobre, mentre la Mostra Omaggio continua, come il festival, fino al 9 gennaio. Per info:www.palazzoferrero.it
 

venerdì 22 ottobre 2021

NON SOLO BURATTINI

Più che una mostra è un viaggio in settant’anni di vita quotidiana, di arte, di spettacolo, di politica in Italia, raccontati attraverso la creatività multiforme di Tinin Mantegazza (1931-2020). Non a caso s’intitola Tinin Mantegazza, le sette vite di un creativo irriverente.  E’ stata inaugurata il 16 ottobre al Teatro Bruno Munari di Milano, progettato da Italo Rota  e ora affidato al Teatro del Buratto, che ha curato l’allestimento dell’esposizione.

 

Da vedere, distribuiti su due piani teatro compreso,  250 pezzi tra foto, pupazzi, oggetti, disegni, dipinti, filmati provenienti in prevalenza dal Museo Civico delle Cappuccine di Bagnocavallo che, insieme a Velia Mantegazza regista e moglie dell’artista, ha collaborato alla realizzazione della mostra. Questa prevede un percorso di nove sezioni.  Una prima è dedicata ai lavori di Tinin e Velia per il Teatro Verdi e il Teatro del Buratto. Sono pupazzi, video, oggetti di scena per vari spettacoli, dal primo L’Histoire du soldat del 1975 ad altri con la voce di Paolo Poli, Ornella Vanoni, Lucio Dalla, le musiche di Franco Battiato, la consulenza scenografica di Alik Cavaliere.  Vere pietre miliari del teatro di animazione. Una seconda sezione racconta con ritratti e disegni 
i legami di Tinin con i suoi amici pittori e illustratori, tra i quali Pericoli, Luzzati, Munari, Fontana. L’amicizia con il mondo di Brera e del cabaret milanese anni ‘60 è, invece, testimoniata in un’altra sezione da foto di Lauzi, Gaber, Cochi e Renato, Jannacci, Umberto Eco. Poi ci sono i pupazzi creati per gli spettacoli in TV, tra cui il famoso Dodò (v.foto). Quindi i racconti e le filastrocche illustrati e le collaborazioni per Il Corriere dei Piccoli.  E infine, una sezione a luci rosse, che viene opportunamente occultata in caso di visite di bambini,  dove il talento arguto e irriverente di Tinin è lanciato a mille. La mostra chiude il 21 novembre. L’ingresso gratuito è solo con prenotazione obbligatoria e visita guidata (prenotazione@teatrodelburatto.it).

mercoledì 20 ottobre 2021

SOTTO LA TENDA

Dire che in un’ora, con una scenografia minimale e una drammaturgia senza enfasi, coinvolge e fa pensare, è insufficiente per descrivere la forza espressiva di Saverio e Chadli Vs Mario e Saleh. Lo spettacolo, in prima nazionale, è il primo dei quattro del teatro di narrazione di Saverio La Ruina, in scena al Menotti Teatro Filippo Perego di Milano. Seguiranno i due classici  Dissonorata e La Borto e a conclusione Polvere


Sul palcoscenico, all’inizio in penombra, s’intravvede una tenda con tre sedie, un tavolo, degli zaini.  Qui si trovano a convivere due superstiti di un terremoto. Uno è un occidentale, cattolico, di nome Mario, lo stesso La Ruina, l’altro è un musulmano, Saleh. Il personaggio doveva essere interpretato  da Chadli Aloui (nella foto con La Ruina) nato a Palermo da genitori tunisini, che ha collaborato, tra l’altro, per il finale, ma per un grave problema, non gli è stato possibile. Ora nel suo ruolo c’è Alex Cendron. Il dialogo inizia al buio, con dei cenni al colore della pelle, alla diversità. Mario pronuncia frasi pesanti nei confronti di Saleh, senza rendersene conto. Sono i luoghi comuni sul musulmano, visto sempre, chiunque sia, come un terrorista. Questo non controbatte con violenza, si limita a mettere in evidenza la superficialità dell’altro, comune a tanti occidentali. Non s’infuria se il compagno di tenda s’impossessa maldestramente del suo tappeto di preghiera. Gli consiglia di usare gli auricolari  per sentire musica a tutto volume. Quando Mario poggia il Corano su una sedia e ci sale sopra per sistemare la tenda in alto, Saleh reagisce. Però poi quando Mario parla della moglie morta, probabilmente nel terremoto, a poco a poco si ritrovano più vicini, ed è Saleh a ricordare l’orrore dell’11 settembre “che ci ha divisi”. E qui si percepisce tutta la poesia di cui è capace Saverio La Ruina. Lo spettacolo, che ha debuttato ieri, è al Menotti Teatro Filippo Perego fino al 24 ottobre.


venerdì 15 ottobre 2021

STORIA DI (NON) ORDINARIA PANDEMIA

Cosa potrebbe succedere se improvvisamente il Covid-19, lui in persona, la pallina con gli aculei, si mettesse a dialogare con l’umano. Parlasse in termini seri anche con un filo di supponenza, mediata da ironia, di come sia potuto succedere quel dramma che ha visto morire tanta gente. Questo ha immaginato Renato Sarti e poi studiato e portato sul palcoscenico del Teatro della Cooperativa di Milano, con il titolo Vairus-La spada di Damocle. La scena si apre con la caduta di un quasi sipario con scritti i dati dei morti e dei contagiati nel mondo, seguita dall’arrivo sotto al palco di Sarti. Subito dopo dall’alto, sostenuto da un filo come una marionetta, scende la pallina-virus, anzi vairus, pronuncia all’inglese, in humour-polemica. Inizia un dialogo, ma di fatto è lo stesso umano  che dà la voce al virus. Il palcoscenico, su cui a un certo punto Sarti  sale,  è chiuso da una rete.  Sulle pareti intorno sono proiettate immagine varie, famosi dipinti ma anche personaggi  coinvolti, quando il dialogo affronta temi di cronaca. Vari i cenni alle cattive gestioni, alla superficialità del non aver dato peso a quanto scienziati e scrittori avevano annunciato, primo fra tutti David Quammen von il suo Spillover, ritenuto un’inutile Cassandra. Qualche riferimento alle epidemie del passato entrate nella letteratura. Mai attacchi moralistici, tutto filtrato con l’humour della vocetta del virus, tanto da provocare spesso la risata. Il gioco-dialogo continua, rimbalza su altri virus che scendono dall’alto. L’umano è in netta minoranza, anzi è solo, capisce gli errori fatti, non vuole ammettere le sue responsabilità, ma non può ignorare la spada di Damocle che pende su di lui e sul mondo intero.  


Gran finale con tutti i virus in movimento e Sarti con un giubbotto con aculei, creato da Carlo Sala come la scenografia, che canta e si muove come una rockstar. Perfette le video-installazioni di Fabio Bettonica. Vairus-La spada di Damocle è al Teatro della Cooperativa fino al 31 ottobre. 

 

giovedì 14 ottobre 2021

PERICOLI A SORPRESA

È una sorpresa la mostra Frammenti di Tullio Pericoli inaugurata il 13 ottobre a Palazzo Reale, a Milano. Di lui tutti conoscono i ritratti che meglio di tante parole mostrano tipologie umane, persone particolari, vicende, storie, fatti. In questa sua personale i ritratti ci sono, ma sono di persone, anzi personaggi reali, alcuni che l’artista ha avuto modo di conoscere, altri che appartengono al passato. Sono stati dipinti dal 1991 fino al 2018, senza alcun riferimento cronologico. 


Ed è incredibile che di qualcuno di loro c’è un solo tratto, un particolare, un dettaglio che li rende riconoscibili, meglio di una biografia. Di Pasolini per esempio è l’espressione degli occhi.  Di Marcel Proust c’è lo  studio nell’abbigliamento. Dietro agli occhiali di Cesare Pavese si percepisce  la vita, il dolore, il pensiero. Primo Levi è lieve e sfuggente (al centro). Samuel Beckett, dipinto varie volte, è cupo con gli occhi che scrutano (in basso).  Non ci sono donne. Comunque i ritratti non sono che una sezione  molto interessante della mostra. La maggior parte sono oli su tela con paesaggi. Paesaggi più immaginati che visti. Paesaggi dell’anima forse, nei quali si intravvedono figure, ombre, qualcosa di altro rispetto al paesaggio, che però può essere letto in questo contesto. E poi ci sono i Frammenti piccoli, compatti, che emozionano. Colori, sovrapposizioni, dietro pensieri, ricordi che spingono alla riflessione. Ma anche fanno sorridere come gli acquerelli e matita o china su carta tipo Crack o Fuori registro, che raccontano strani percorsi. 


La mostra, curata dal critico d’arte Michele Bonuomo in collaborazione con l’artista e con l’allestimento di Pierluigi Cerri, è aperta tutti i giorni dà martedì a domenica dalle 10 alle 19, fino al 9 gennaio.  Il catalogo,  con testi di Roberto Calasso, Giuseppe Montesano, Michele Bonuomo e Tullio Pericoli, è edito da Skira. 


 


 

venerdì 8 ottobre 2021

SCOPRIRE L'ARTISTA

E’ una vera fortuna che la mostra Il giovane Boccioni  alla Galleria Bottegantica di Milano aperta oggi, prosegua fino al 4 dicembre. Perché con un’accurata e faticosa selezione di opere di Umberto Boccioni, realizzate tra il 1901 e il 1909 e provenienti da collezioni private, racconta bene gli anni in cui si forma e si fortifica la sua esperienza artistica, con viaggi e studi a Roma, Padova, Venezia, Milano, un soggiorno a Parigi e un viaggio in Russia.  




La mostra, curata da Virginia Baradel, si divide nei due spazi della galleria affacciati sul cortile del palazzo di Via Manzoni. Nella prima sala da vedere soprattutto i disegni, di soggetti vari, dal paesaggio al ritratto, alle architetture, al nudo, in cui si ha modo di riscontrare la straordinaria mano e lo stile ben definito dell’artista. Di questi fanno parte anche gli studi, come quelli per la statua del Prato della Valle di Padova.  O i fregi del Partenone.  Poche le tele, tutte indicative del talento di Boccioni, ma che documentano anche la sua capacità di sperimentazione di tecniche e di sintesi delle diverse correnti pittoriche,  dal simbolismo al divisionismo, al post impressionismo.  Tra queste  Il Ritratto di scultore, Il Cavalier Tramello e il ritratto della cugina amata Adriana Fabbri.  E naturalmente i ritratti della madre.  Notevoli anche i lavori di cartellonistica e illustrazione, commissioni accettate per problemi economici.  Come le pubblicità, piuttosto che le copertine di giornali e riviste.Interessanti i video con lo studio dei disegni e delle tempere a cura di Niccolò D’Agati. La galleria Bottegantica, Via Manzoni 45 a Milano, è aperta  da martedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19, con ingresso libero.

giovedì 7 ottobre 2021

DIETRO L'ICONA

Che Jacqueline Lee Kennedy Onassis, nata Bouvier, sia stata  molto di più di un’icona dei media, lo conferma anche il successo del film di Pablo Larrain del 2016. Con quell’intervista che svela la donna, dopo una settimana dalla tragica morte del marito. Jackie, scritto dalla scrittrice e drammaturga austriaca Elfriede Jelinek, prodotto da Tieffe Teatro in prima a Milano, aggiunge qualcosa in più al suo ritratto, qualcosa forse di sconosciuto, ma sicuramente di più intimo. Sulla scena la bravissima Romina Mondello è sola, intorno a lei dei corpi, straordinari manichini di Raffaella Montaldo. Sullo schermo dietro, scorrono poesie di Sylvia Plath, di cui Romina-Jackie pronuncia qualche parola. Ironizza sulla sua vita, nel senso di punto vita, sulla sua eleganza. Non è superficialità, è qualcosa per far risaltare il suo essere donna e icona in una vita che in realtà non è stata quella di famiglia perfetta rovinata da una tragedia, di cui tutti hanno parlato. Di Dallas infatti nessun cenno. Il suo dolore non è solo quello di una vedova, per cui la morte del marito cambia la vita. C’è molto di più dietro quel che sembra. 



Per anni è stata una donna costretta in una situazione pesante, obbligata a giocare il ruolo di moglie nella famiglia felice del sogno americano, quando la  vita di coppia è inesistente, solo apparente. Ed ecco i cenni  ai tradimenti di John, alla carne di Marilyn, ai figli persi per una clamidia trasmessagli dal marito. Un dolore da nascondere sempre dietro i flash dell’icona. Non piange mai Jackie, anzi spesso ride, ma è una risata recitata, dolorosa, che rientra nel ruolo che ha dovuto sempre interpretare. Ottima la regia di Emilio Russo. Perfetto il camicione scelto per lei dalla costumista Pamela Accardi.  Chic, ma non donante, perché “Lei il punto vita non lo ha mai voluto mostrare”. 

Jackie è al Menotti-Teatro Filippo Perego fino al 17 ottobre. Per info: www.teatromenotti.org