mercoledì 30 dicembre 2020

IL TEATRO IN UNA STANZA



E’ forse l’ultima iniziativa dell’anno, prolungata ai primi di gennaio, che ribadisce l’importanza del teatro e come se ne senta la mancanza.  Sono i quattro spettacoli, in streaming, con cui il Teatro della Cooperativa di Milano partecipa a Contatto. La natura del sapere, rassegna online di concerti, dibattiti, eventi d’arte, appunto spettacoli, proposta da Cantierememoria e organizzata dal Comune di Milano e Casa della Memoria. Già dal primo spettacolo, domenica 27, emerge il livello. Non solo perché Nave fantasma (foto in alto),  di Giovanni Maria Bellu, Renato Sarti e Bebo Storti, ha ricevuto il Premio Gassman/Città di Lanciano 2005 (anno dell’uscita) per miglior testo italiano. Quanto perché riesce a mettere insieme la formula cabaret con la cronaca di una tragedia, solo sfiorando la satira, di cattivo gusto nel contesto. Il titolo, comune a molte storie di misteriose sparizioni di navi, vere o di finzione cinematografica, 

fa riferimento al battello di migranti indiani, pakistani e di Sri Lanka, naufragato al largo di Portopalo, in Sicilia.  Questo accade sotto Natale, un cenno sui media e la faccenda si chiude per dare spazio ai resoconti dei festeggiamenti. Sul palcoscenico Renato Sarti, che ha curato anche la regia, e Bebo Storti diventano di volta in volta i pescatori che trovano nelle reti i cadaveri, i giornalisti, i politici. In streaming martedì 29 Chicago Boys (foto al centro). Scritto da Renato Sarti, che ne è anche il regista, lo spettacolo del 2009 s’ispira a quel gruppo di economisti cileni formatisi alle teorie neoliberiste di Milton Friedman, oppositori di Allende e poi consulenti di Pinochet, che hanno avuto un ruolo fondamentale nello scellerato programma economico della dittatura. Sul palcoscenico, trasformato in un rifugio antiatomico, Sarti è immerso in una vasca da bagno in vestaglia. Dove mangia, beve, fuma sigari e si esibisce in una specie di conferenza su strategie, statistiche, piani, programmi. Inframezzata da vergognose testimonianze, frasi becere, insulti alla escort seminuda, interpretata da Elena Novoselova, obbligata a sottostare alle sue voglie. Un testo di straordinaria divulgazione su un argomento non abbastanza conosciuto, dove si ride anche, ma “con l’orrore nel cuore”, hanno scritto. I prossimi spettacoli sono Arlecchino e Brighella nel bosco dei giganti, teatro di burattini con testo e regia di Renato Sarti alle 21 del 2 gennaio e Sono bravo con la lingua, divertente ma anche profondo monologo di e con Antonello Taurino su fonemi, idiomi, linguistica, computer (v.L’Espa.net 18 gennaio 2020), sempre alle 21 del 5 gennaio.  https://www.cantierememoria.it/

    

 

domenica 27 dicembre 2020

QUANTO DURA UN SECONDO?

Difficile stabilirlo con precisione non guardando l’orologio. Eppure con la stessa precisione può essere calcolata la durata di un video con tre fotogrammi, impercettibilmente diversi.  E’ il caso di Intuition, un’installazione che si poteva vedere in streaming dalle ore 3:00’00’ alle ore 3:00’01’’ del 25 dicembre su Instagram e sul sito della Farahzadart Gallery di Milano (www.farahzadart.com). S’intuisce, la parola è a proposito, una parete con una finestra da cui s’intravvede un palazzo con bandiere che sventolano. Mentre questa si rimpicciolisce, diventano più grandi una luce simile alla luna sul fondo e un fascio di luce a terra proiettato da un piccolo faro. Forse un messaggio di speranza, la famosa luce in fondo al tunnel? Filosofia da vedere sottotitola l’opera il suo autore Behnam Alì Farahzad, fondatore e proprietario dello spazio Farahzadart. Laureato in Interior Design all’Università di Teheran e diplomato in Pittura all’Accademia di Brera di Milano, dove risiede e lavora dal 1980, Farahzad non è nuovo a queste installazioni lampo, sempre collegate all’attualità. Il 12 dicembre, con lo stesso orario e stessa durata, ha creato una video scultura con il titolo benaugurante di La terra ha trovato la sua nuova strada. L’8 giugno era stata la volta di Noi siamo plasmati sull’immaginazione del passato con un suo


dipinto del 1990. Il 1° di giugno un fascio di luce illuminava sue stilizzate rappresentazioni del virus per Fluid Coronavirus Covid 19. Sempre sul tema Coronavirus, il 18 maggio, I love you. La natura respira ancora (dove la O di Love era l'immagine del virus) e Coronavirus Art l’8 maggio e il 26 aprile. A precedere, e in qualche modo inaugurare queste filosofie da vedere, tutte in un secondo alle 3 del mattino, L’universo che osserva del 12 aprile con l’artista e performer Gretel Fehr (v. L’Espa.net del 16 aprile).

mercoledì 23 dicembre 2020

NATALE TRANSGENDER

Per quanto in chiave più sommessa, questo Natale rivela interessanti e inediti aspetti. Il lockdown continua a scatenare la creatività. Le tradizioni si rispettano, ma c’è qualcosa di nuovo e non necessariamente alternativo.  Al borgo minerario dismesso dell’Argentiera di Sassari continua, come ogni anno, Luci in miniera.







Ma in questa edizione il museo a cielo aperto, progettato per dare vita a uno dei più interessanti esempi di archeologia industriale, propone cinque nuove installazioni. C’è Albero del buio, un albero di Natale sì, ma architettonico, fatto di lanterne realizzate con materiali di recupero e decorate dai bambini. Terra è l’allestimento all’esterno degli oggetti della memoria normalmente esposti nell’Antica Laveria. Aria è un’installazione luminosa, sonora e interattiva che illumina i luoghi più interessanti del borgo. Acqua è uno spettacolo con giochi di luci sull’Antica Laveria, l’edificio più emblematico dell’Argentiera. E infine c’è Fuoco, un’installazione che dà luce alle dieci opere degli otto artisti vincitori di una call internazionale. Da vedere in realtà aumentata con il semplice uso dello smartphone. Luci in miniera prosegue per tutto il periodo natalizio. 
Resterà invece fino a marzo Shy la scultura di Antony Gormley collocata nella Piazza del Duomo di Prato il 19 dicembre. Non è un’opera prettamente natalizia ma è legata al Natale, perché vuole creare empatia, "generare sentimenti soggettivi, teneri, intimi, interiori".  “Voglio fare qualcosa che sia sicuro della sua presenza come punto di riferimento…si connetta con il nostro io interiore e si confronti con quelle emozioni umane più timide (da qui il titolo) e silenziose come la tenerezza e la vulnerabilità” è il commento dell’artista inglese. Alta quasi 4 metri, la scultura, realizzata con 3600 kg di ghisa, crea un dialogo tra i materiali e le lavorazioni della rivoluzione industriale e l’arte della settecentesca Piazza del Duomo con il rinascimentale pulpito di Michelozzo e Donatello, che decora un angolo della facciata. Un modo per ribadire l’impegno del Comune di Prato e del Centro Pecci per l'Arte Contemporanea a tenere viva la collaborazione tra realtà industriale, ambiente e artisti internazionali.


venerdì 18 dicembre 2020

QUANDO SALVIAMO IL MONDO?

Possiamo salvare il mondo prima di cena. Così s’intitola l’ultimo best seller di Jonathan Safran Foer e anche la versione teatrale, scritta e diretta da Emilio Russo, in scena al Teatro Menotti. Ma non è un titolo a effetto. Tutti noi siamo responsabili di quel che sta succedendo al nostro pianeta, destinato a diventare troppo caldo per essere abitato. Perfino con quello che mangiamo, per esempio troppa carne, contribuiamo alla sua distruzione. Ed è per questo che una scelta etica prima di cena, può contribuire a salvare il mondo. Tutto quello che nel libro scrive Safran Foer è l’argomento su cui dibatte un gruppo di giovani, studenti, musicisti, attivisti, che si ritrovano in un loft. Li interpretano, in modo convincente, i bravissimi attori del Collettivo Menotti: Enrico Ballardini, qui sempre con la chitarra in mano, Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Helena Hellwig che incanta con la sua voce, Jacopo Sorbini, Chiara Tomei. Ricordi, idee, supposizioni, citazioni, dati, letture di stralci dai libri, commenti, anche qualche battuta, ma sempre pertinente. Ogni tanto qualcuno scrive su una lavagna, all’inizio vuota, le frasi più forti o i dati più significativi. Che sono moltissimi, tanto che a fine spettacolo sulla lavagna c’è un groviglio di parole e numeri. Emerge soprattutto l’importanza di prendere atto di quello che sta succedendo, di crederci. E’ tipico dell’umano spostare lo sguardo oltre, pur di non accettare l’inaccettabile. Un atteggiamento che si perpetua nella storia. Qui il riferimento alla Shoah e alla testimonianza inascoltata dell’ebreo polacco sugli orrori dei campi di sterminio. Se è in gioco la sopravvivenza della specie umana, esiste un confine tra rinuncia
e sacrificio? Il sipario si chiude con gli inchini degli attori sulle note e le parole di Losing my religion dei R.E.M. ("Ho detto troppo …non ho detto abbastanza"). Lo spettacolo, da ieri fino a domenica 20 visibile in streaming, conclude il capitolo Fragili come la terra. Per info:www.teatromenotti.org (Foto di Maria Luiza Fontana-Atelier Produzioni).

giovedì 17 dicembre 2020

TROVARSI IN UNA IMPASSE




Impasse Ronsin. Meurtre, Amour et Art au coeur de Paris
un titolo così, con il nome di una via parigina seguita da parole come assassinio, amore e arte, fa pensare a un romanzo d’appendice. Come si diceva tempo fa a proposito di storie di basso profilo, simili a quelle pubblicate a puntate sui giornali nell’Ottocento. Invece è il titolo di una mostra al Musée Tinguely di Basilea, di grande livello. Da vedere più di duecento opere di cinquanta artisti, per la prima volta insieme. Accomunati dall’avere avuto gli atélier nella Impasse Ronsin a Montparnasse, più simile a una via di un borgo di campagna che a una strada della capitale. Dietro una  storia nata nel 1886 e finita nel 1971. All’inizio c’è solo qualche artista nelle case sulla parte destra del vicolo, qualche anno dopo lo scultore e pittore Alfred Boucher costruisce trenta atélier. Ci lavorano e ci abitano una quarantina di artisti con un solo servizio igienico e nessuno bagno. Nel 1908 arriva anche il meurtre e lo scandalo: lo scultore Adolphe Steinheil viene assassinato nel letto insieme all’amante, sua suocera. La sospettata è la moglie-figlia tradita. Al suo processo emerge che dieci anni prima ha avuto una relazione con il presidente francese Felix Faure. Al di là della parentesi gossip l’Impasse diventa il punto di incontro dell’avanguardia. Tra i più accreditati il rumeno Constantin Brancusi (foto in basso) che abiterà qui dal 1916 fino alla morte nel 1957, in uno studio frequentato da giovani apprendisti considerato un modello. Tanto che è stato ricostruito di  fronte al Centre Pompidou. Dopo la Seconda Guerra Mondiale arrivano artisti anche dall’America. Nel 1955 ecco Jean Tinguely (foto in alto)prima con la moglie Eve Aeppli, nota per le sue bambole sofferenti in stoffa o bronzo, poi nel 1960 con Niki de Saint Phalle. Arrivano Max Ernst e William Copley, un precursore della Pop Art. Lo scultore italiano André Almo del Debbio nel 1954 apre un atélier in cui accoglie studenti da tutto il mondo per insegnare le tecniche della scultura. Lo chiuderà nel 1971, con la demolizione del quartiere.  Ora le opere di molti di loro sono collocate in diverse stanze. Non c’è un criterio cronologico nell’esposizione. Capita che qualcuno sia accostato a un altro artista solo perché si sono succeduti nello stesso spazio. Così un’opera di Tinguely è affiancata da quadri di Joseph Lacasse, che ha lavorato prima di lui nello stesso atélier con la moglie. E l’opera di Tinguely, guarda caso, si chiama Le scarpe di Madame Lacasse. Varie foto documentano com'era il luogo e in una stanza è ricostruito lo studio di uno scultore, con opere finite e in fase di realizzazione, scale, attrezzi da lavoro, stracci e perfino macchie e sporco. Una mostra curiosa che parla, comunque, di momenti di grande fervore artistico e creativo. Aperta ieri, con tutte le misure di sicurezza del caso, chiude il 5 aprile. 

sabato 12 dicembre 2020

IMMAGINATE TUTTA LA GENTE...

Continuano gli spettacoli in streaming al Teatro Menotti di Milano. Come da programma ecco in scena, anzi online, Mattatoio N.5, tratto dal romanzo omonimo di Kurt Vonnegut, anche titolato La Crociata dei bambini. Una delle opere più interessanti dello scrittore e accademico americano dove fantascienza e cenni autobiografici si uniscono per un solenne e convincente inno contro la guerra. Ed è questo l’aspetto più sottolineato dalla versione teatrale scritta



da Emilio Russo, che ne è anche il regista, e interpretata dal Collettivo Menotti, i bravissimi Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Jacopo Sorbini, Chiara Tomei. Il protagonista è Billy Pilgrim, americano “alto e gracile” che nella Seconda guerra mondiale viene catturato e imprigionato a Dresda, appunto al Mattatoio. Ma lui sul palcoscenico non compare mai. A raccontare la sua storia o meglio il suo viaggio attraverso il tempo e lo spazio, i quattro attori, ognuno secondo il suo punto di vista. La scena è buia e di volta in volta s’illumina una parte con un personaggio. C’è il giovane scrittore alla scrivania zeppa di carte, che ha pubblicato con editori diversi più di settecento libri di fantascienza. Ricorda l’amico con un modo di parlare ironico e un po’ supponente. C’è la moglie Valencia, goffa e bulimica, seduta sul frigorifero che mangia in continuazione. Racconta che è morta in un incidente d’auto, ma Billy non è andato al suo funerale, perché “presente e futuro sono sempre esistiti”, “si  muore solo in apparenza” ed “è sciocco che la gente pianga ai funerali”. C’è il senzatetto seduto su una panchina, forse a Dresda, che ricorda i momenti della prigionia con Billy. E infine c’è la bella ragazza di Palm Spring dietro le sbarre di una gabbia che ha diviso con lui, da cui aspetta un bambino. Sono stati rinchiusi per essere mostrati come animali esotici in uno zoo dai tralfamadoreni. Sono gli abitanti di un pianeta, alti 65 cm. senza corde vocali e con un solo occhio, con cui riescono a vedere però in quattro dimensioni. Sono “amichevoli” e hanno insegnato a Billy tutto sul tempo. Solo alla fine i quattro attori scendono dalle loro postazioni per salutare il pubblico sulle note, in sintonia, di Imagine. Lo spettacolo è in streaming ancora questa sera e domani alle 19,30 su www.teatromenotti.org (Foto di Maria Luiza Fontana-Atélier Produzioni).

mercoledì 9 dicembre 2020

CARTA CANTA (JINGLE BELLS)

Si continua a ripetere che la carta è finita, superata dall’online    considerato in questi momenti indispensabile e impareggiabile . Eppure, proprio in questi momenti, la carta diventa un primo attore, pronto per il Natale a rubare la scena a molti. Non si tratta dei giornali, ma di una carta da pacco che in periodo natalizio può davvero catturare l’attenzione. Anche se quest’anno ci saranno meno contatti e soprattutto circoleranno meno regali. Perché non è una classica carta natalizia. Unica nel suo genere passerà alla storia e non sarà mai replicata, almeno si spera. Si chiama Positive Xmas paper. Sono dodici fogli in formato 50x70  con sfondi di diversi colori e disegni ripetuti, geometrici e non. Niente babbi natale, renne, stelle comete, almeno non in versione classica, ma simboli, come si può dire, intonati ai tempi. Ecco mascherine che diventano fiocchi, disinfettanti che sostituiscono le pigne tra le foglie di pungitopo con bacche rosse. E ancora tamponi camuffati da fiocchi di neve. Le renne ci sono, stilizzate e affiancate da una freccia che indica il loro distanziamento.  Le scritte non sono Buone Feste o Happy new year ma Assembramento, Ice-olation o addirittura copie di autocertificazioni. Presente Babbo Natale in due versioni, con mascherina e senza che tossisce, in alternanza alla renna con naso tappato o che starnuta. L’ironia è il filo conduttore insieme alla voglia di divertire e alla creatività. Non a caso le carte sono state realizzate dagli studenti del corso di Graphic Design dello IED di Milano con il provider di stampa  4Graph.  Sono in vendita solo on line fino al 15 dicembre sul sito 4Graph.it a 12 euro. Il ricavato andrà interamente a  Save The Children. Un modo per contagiare allegria positiva ricordando, comunque, le misure per evitare i reali contagi negativi.   


lunedì 7 dicembre 2020

ANDAR PER BOTTEGHE




Che bello in un mondo dove da Capri a New York, passando per le Isole Vergini, hai gli stessi monomarca con le stesse vetrine, ritrovare il negozio, anzi la bottega unica. Fa piacere quindi che a Milano, uno dei centri della globalizzazione fashion, sia nata Galleria&Friends. Più che un’associazione è un progetto che si basa su passato e tradizioni, ma è proiettato con intelligenza sul futuro. A un anno di distanza dalla sua creazione è diventato un libro Bottega Milano. I maestri di un nuovo Rinascimento. Raccontati con i testi di Elisabetta Invernici e Alberto Oliva, curatori e ideatori del progetto, e le foto accattivanti di Roby Bettolini, i quarantuno protagonisti, appunto i maestri del nuovo Rinascimento. Chi sono? Sono i proprietari di quei negozi, tramandati di padre in figlio, dove qualità è artigianalità sono sempre stati il segno distintivo. Con rispetto delle tradizioni, ma assolutamente attenti al contemporaneo. Sono situati un po’ in tutta la città, ma con una prevalenza nel centro storico.  Anzi c’è una precisa partenza, conservata nel nome, dalla Galleria Vittorio Emanuele, il salotto di Milano.  Quello che creano e vendono differisce molto da uno all’altro, ma lo spirito che li accomuna è lo stesso. Che siano i menù del Ristorante Savini o le candele di Ceratina, le cravatte e le camicie di Ca-dé o i souvenir da turista di Algani, piuttosto che il tutto per la casa di Collini Bugada, le pipe di Al pascià o gli orologi di Verga.  C’è anche la Farmacia San Gottardo, in Corso San Gottardo dal 1886, dopo essere stata per cinquant’anni alle spalle del Duomo. E perfino chi vende le statuine del presepe come Tricella in Via Santa Tecla, oggi Largo Schuster (v.foto). E naturalmente la settecentesca Libreria Bocca, dove si può acquistare il libro. Le storie di ogni negozio prendono come dei racconti e le foto evidenziano gli aspetti più curiosi, interessanti, alle volte anche segreti, con sapienza e ironia. Tanto che finito di sfogliare il libro si ha proprio voglia di andare a visitare queste botteghe e conoscerne i proprietari. Bottega Milano è pubblicato da Edizioni Le Assassine, piccola casa editrice milanese  specializzata in letteratura gialla con storie di donne, scritte da donne. Ed è stampato dalla storica Tipografia Landoni, nata nel 1917, e quindi raccontata e fotografata nel libro.    

mercoledì 2 dicembre 2020

LA FORMA DELL' ACQUA


Forse non sono in molti a sapere che all’interno del Palazzo della  Farnesina, dove ha sede il Ministero degli Affari Esteri, dal 2000 c’è una collezione di arte contemporanea con circa 500 opere di 240 artisti italiani. I nomi vanno da Carla Accardi a Massimo Campigli, da Gastone Novelli a Michelangelo Pistoletto, Arnaldo Pomodoro, Salvatore Scarpitta, Emilio Vedova. Per citarne solo alcuni. In novembre si è aggiunto Salvatore Garau, sardo classe 1953, esponente di una pittura materica, che si assimila all’informale, ma con uno spazio e un approccio assolutamente personale.  L’opera s’intitola Caduta di lago con scultura  ed è una tela con colori acrilici, grafite e resina di 209x121 cm. realizzata nel 2000.  Parla di mutamenti, del fluire delle cose, proprio come l’acqua che scorre sulla pietra nera. ”C’è all’interno un romanticismo, ma dei giorni nostri.  Prevalente il concetto, che mi affascina, del continuo cambiamento, del rinnovarsi. Le cose come i pensieri non devono stagnare, ma devono fluire per dare sempre qualcosa di meglio” commenta l’artista. Il tema dell’acqua è uno dei preferiti di Garau che ne ha sempre studiato sia i movimenti naturali, sia quelli determinati dalla tecnologia e quindi dall’umano.  Si è visto in molte sue mostre in musei e gallerie di tutto il mondo. Ha esposto al Parlamento Europeo di Strasburgo, a San Francisco, Washington, Cordoba, Brasilia, San Paolo. Sue opere sono all’ Ambasciata d’Italia a Brasilia, a Seoul, a Lima, a Valenza, al Museo del Novecento di Milano. 

 


 
La Collezione Farnesina
è aperta al pubblico, ma in questo momento per l’emergenza Covid non è visitabile.  

martedì 1 dicembre 2020

MOMENTI DI NON TRASCURABILE DESOLAZIONE

Quanti guardando le foto di città deserte per il lockdown hanno pensato a Edward Hopper, alle sue strade con case di mattoni rossi della provincia americana e solo qualche passante isolato.  Quattro noti fotografi avevano colto con lo stesso occhio situazioni analoghe e le loro foto ora, in tempi di pandemia, hanno dato vita addirittura a una mostra Hopperiana. Social distancing before Covid-19. La Galleria che la presenta, Photology, in ventotto anni ha organizzato più di 350 mostre nel mondo, in collaborazione con artisti internazionali, fondazioni, musei, archivi, gallerie, università.  Dopo le prime a Milano e Cortina del 1992, ha esposto a Londra, Bologna, Parigi, Noto e Garzòn, in Uruguay, nel 2015. Nel 2020, in linea con i tempi e la situazione, Photology è diventata una online Gallery e dal 2 settembre le mostre sono visibili solo sul web. Hopperiana lo è da oggi fino al 28 febbraio 2021. I quattro fotografi sono Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana, Richard Tuschman . Ognuno di loro ha utilizzato la pittura di Hopper come un filtro per trasformare le proprie foto e rappresentare quel senso di inquietudine e desolazione, così ben espresso dal pittore americano. E che ora può raccontare lo stato d’animo di molti in questo particolare momento. Le foto parlano di solitudine, depressione, paura del futuro, incapacità di comunicare, attesa di non si sa che cosa. Dalla strada deserta di una piccola città del Montana di Campigotto  all’uomo davanti a una casa investito da un fascio di luce di Crewdson. Al sentirsi soli tra la gente, come si percepisce negli sguardi dei cinque in attesa di un taxi o di un semaforo verde davanti a un palazzo a Houston, ritratti da Fontana.  E poi c’è la più esplicita  inquietudine e desolazione interiore della ragazza seduta nuda su una poltrona, che guarda senza vedere la finestra davanti a lei, nella foto di Tuschman. Ogni immagine può essere studiata nei dettagli minimi o ingrandita, per coglierne la profondità e il pathos. Basta un click:



www.photology.com/photology-online-gallery/  

sabato 28 novembre 2020

LA GALASSIA DALLA POLTRONA DI CASA

Si chiama Fragili come la terra il progetto del Teatro Menotti. Non altrettanto fragile, anzi coraggioso e determinato il teatro nel portare avanti il programma in streaming. Il 26 novembre c’è stata la rappresentazione del primo spettacolo e il 20 dicembre  ci sarà la terza replica del terzo e ultimo. Si entra nel sito, si sceglie l’orario, si acquista il biglietto e anche solo 10 secondi prima dell’inizio, scanditi da un segnatempo, si accede alla platea virtuale e il sipario si apre. Certo non è la stessa cosa, non si ha la presenza fisica degli attori, il coinvolgimento del palcoscenico e della sala buia, ma si può godere del piacere del teatro. Anche la scelta degli spettacoli rivela coraggio e determinazione. Il primo lavoro, online fino a domani, è Guida Galattica per gli autostoppisti dal romanzo dell’inglese Douglas Adams del 1979, considerato un cult della letteratura pop. Non certo d’immediata comprensione per le citazioni, l’uso di metafore, il surreale e il pensiero profondo, anche se filtrato con un’ironia che suscita più di una volta il sorriso. Sul palcoscenico il Collettivo Menotti, composto da giovani attori e musicisti, che reciteranno anche negli altri lavori in programma. Un modo pure questo di aggirare la pandemia e far lavorare le nuove generazioni dello spettacolo, tra le più colpite del momento. Quattro i personaggi, di cui tre divenuti simboli come l’insicuro e depresso robot Marvin, il timido, imbranato terrestre Arthur, trascinato nell’avventura spaziale dall’alieno Ford,  tracotante e gran seduttore. Tutto si svolge nel ristorante Al termine dell’universo in attesa della fine del mondo, che si ripete puntuale tutte le sere. Notevoli, anche visti sullo schermo del computer, i video con galassie che fanno da sfondo.  Straordinaria l’esibizione canora di Helena Hellwig. Per accedere alla piattaforma: teatromenotti.xarena.it 

venerdì 27 novembre 2020

OLTRE OGNI LIMITE



“Si è parlato e si parla di chi arriva via mare, ma pochi parlano di chi arriva via terra” dice un volontario di un’organizzazione che aiuta i migranti. Premesso che non se ne parla mai abbastanza, neanche dei migranti per mare, è anche vero che di chi viene da paesi lontani e in guerra, magari a piedi camminando per mesi o addirittura anni, si sa ben poco. Il documentario di Sophia Milazzo Peregrino-I confini del game affronta il tema. Con interviste e per immagini, racconta il viaggio dal Pakistan a Trieste di un gruppo di ragazzi dai 12 ai 17 anni. Un’esperienza drammatica che va al di là di ogni immaginazione. Storie di freddo, fame, isolamento, ma quel che è peggio di soprusi, violenze, torture. Nessuna navigazione per mari in burrasca ammassati in un gommone,  ma attraversamenti di boschi impervi e impraticabili, notti all’addiaccio o nelle periferie delle città negli squat, enormi edifici abbandonati. Con il problema anche di nascondersi, oltre la ricerca di cibo e acqua. Guadi di fiumi, interminabili camminate nel fango e nella neve, anche scalzi. Sì perché una delle torture praticate è prendere le scarpe ai migranti per impedire loro di passare i confini. Più che un viaggio un game, come si dice nel titolo. Un gioco per la sopravvivenza, dove le carte fortunate sono pochissime. Una di queste è l’Associazione Linea d’Ombra di Trieste che raccoglie fondi e sostiene i migranti lungo la rotta balcanica. La sofferenza e i maltrattamenti subiti li raccontano i loro piedi martoriati da tagli, bruciature, morsi di cani, che i volontari medicano. Piedi di giovanissimi irriconoscibili, che sembrano di vecchi, decrepiti e malati. Ma nelle riprese non c’è mai compiacimento, ci sono interruzioni al punto giusto. Come il sorriso di un ragazzo, il suo commento, piuttosto che un ricordo . Non c’è un happy end certo. Cosa faranno questi giovani sopravvissuti, riusciranno a inserirsi in un altro Paese, a prendere contatti con le famiglie lasciate? La speranza s’intravvede. Ma sarà un lungo lavoro, perché come dice Gian Andrea Franchi, fondatore con Lorena Fornasir di Linea d’Ombra, “Dare il pane ai poveri conferma la loro povertà, non fa qualcosa perché non ci siano più poveri”. Il film, la sua divulgazione e il premio vinto sono comunque un passo importante in questo senso. Peregrino-I confini del game ha vinto il Film Festival di Roma 2020, promosso dalla comunità Montana dei Castelli Romani, dallo Studio Monolite, dal Gruppo Dei 12 e patrocinato dalla Roma Lazio Film Commission, dalla Regione Lazio e dall’associazione AEVF sul tema del viaggio.


giovedì 26 novembre 2020

SHOPPING D'AUTORE





Ovviamente ci sono le bottiglie. Più di una, in vetro di Murano e colorate. Ma ci sono pure piatti e coppe in ceramica di Vietri dipinte a mano e perfino una carta da parati che richiama i fogli su cui Giorgio Morandi puliva i pennelli. Sono alcuni dei venti oggetti della collezione Oggetti d’autore: Omaggio a Morandi, un progetto realizzato dal designer Paolo Castelli con l’Istituzione Bologna Musei. La finalità è promuovere il turismo a Bologna e le visite alla casa-museo di Morandi, forse il più noto nel mondo tra gli artisti italiani del Novecento, e nello stesso tempo far conoscere l’alto artigianato del nostro Paese. Infatti gli oggetti sono tutti opera di esperti e selezionati artigiani, come i soffiatori di vetro di Murano, piuttosto che i ceramisti di Vietri. Si ispirano a quelli appartenuti al pittore e ancora visibili nella casa di via Fondazza 36, dove abitò con le sorelle e la madre dal 1910 al 1964. Inoltre sono tutti in materiali di riciclo o completamente sostenibili e rispondono a criteri estetici e di design attuali. Ecco, per esempio, uno strapuntino che ricorda il bastone-sgabello usato da Morandi quando andava sui colli a dipingere. La sacca in pelle dove teneva colori e pennelli o ancora l’appendiabiti che richiama il suo cavalletto . Sempre con la struttura del cavalletto ci sono delle lampade. Mentre le bottiglie impilate diventano dei totem con luce. Tutti gli oggetti di raffinato design e lavorazione accurata sono in vendita, da oggi, online sulla piattaforma Artemest.  

martedì 24 novembre 2020

SOLO PER I TUOI OCCHI

Strano che qualche integralista del politically correct non se la sia presa con quel nome, Moscacieca. Perché non si parla del famoso gioco di gruppo con occhi bendati, ma di una linea di occhiali da lettura. Quindi c’entra con la vista, il non vedere, la disabilità. Certo chiamarla Moscanonvedente non ha lo stesso impatto, non sfrutta il gioco di parole, se così si può chiamare. E forse per qualche animalista, sempre integralista, potrebbe sembrare una presa in giro, basata sulla menomazione dell’insetto. Quindi altrettanto becera e crudele. Per ora tutto tace, gli integralisti del politically correct sono impegnati su migliaia di altri fronti legati al dizionario e gli animalisti integralisti forse stanno cercando alibi e attenuanti per difendere i pipistrelli dall’accusa di aver diffuso il Covid 19. Gli occhiali in questione comunque ci sono e il legame con l’insetto esiste. Consiste in una piccola mosca disegnata sul terminale dell’asta, che si ritrova sulla confezione e sul sacchetto portaocchiali in microfibre, da usare anche come panno per pulire le lenti. Lenti disponibili in cinque gradazioni di diottrie fino a +3. Ovviamente per la correzione della presbiopia che, come si sa, colpisce circa il 60% degli over 45. Ma anche per ridurre del 40%
l’impatto della nociva luce blu degli schermi dei dispositivi elettronici. Che in questo memento con riunioni, call, smart working e DAD interessa anche gli under 45. La forma della montatura è unica, tendente al tondeggiante, mentre i colori sono quattro, da un sofisticato bianco trasparente a un classico tartarugato, ai più osé rosso ciliegia e blu ottanio.  Gli occhiali costano 19,90 euro e sono in vendita in edicola. Un modo per riavvicinare alla lettura dei giornali cartacei? Forse, anche se la correzione della luce blu incoraggia l’uso prolungato di computer, tablet, smartphone  & Co.



 

giovedì 19 novembre 2020

ALLA RICERCA DELLA VESTAGLIA PERDUTA

Qualcuno, pochi, usano la parola vestaglietta, che negli anni ‘50-‘60 indicava un abito per donna con bottoni, completamente apribile, da indossare in casa o sopra il costume da bagno. La parola vestaglia si sente ancora meno. Secondo il dizionario vestaglia è quell’indumento da mettere sopra il pigiama o la camicia da notte. Ormai in disuso, sostituito da accappatoi, golfoni, tute. Lo porta forse ancora qualche ricca signora che si attarda la mattina in casa, prima di vestirsi per una giornata di frivolezze, mentre dà ordini al personale. Oppure, quei pochi rarissimi nei corridoi di una clinica o di un ospedale, non certamente in tempi di Covid. Soprattutto per l’uomo l’immagine della vestaglia riporta a Proust (quelle di Fortuny sono citate in diverse pagine della Recherche) e a D’Annunzio (le sue sono esposte al Vittoriale, le disegnava lui stesso e le faceva indossare “alle badesse di passaggio” scrive Giordano Bruno Guerri). La vestaglia è legata a un modo di vivere d’altri tempi, un po’ decadente. Stupisce quindi sentire parlare di un brand che nel 2020 la ripropone. Si chiama Yindelo ed è stato fondato da Tomaso Incisa della Rocchetta, vissuto dieci anni in Cina. In collezione quattro modelli unisex, tutti fabbricati in Italia con sete di Como, ispirati ai qipao cinesi e ai kimono giapponesi. La forma è unica ma si distinguono per le combinazioni di colori prese dagli abiti tradizionali delle minoranze etniche cinesi e dai dettagli. Questi si rifanno a motivi grafici delle architetture e delle decorazioni Art Déco dei palazzi di Shanghai, dove il brand è stato concepito, ma anche dalle antiche uniformi militari europee. Con un mix quindi di Oriente e Occidente, come dice anche il logo con il dragone e l’aquila. Anche il nome Yindelo è la translitterazione fonetica in mandarino del cognome del fondatore. “Siamo al nostro meglio quando la nostra mente è libera di vagare senza limitazioni” dice Tommaso Incisa della Rocchetta, spiegando che i suoi capi puntano “a un’eleganza senza tempo e al confort” per un “momento di fuga dalla realtà”. 

martedì 17 novembre 2020

PIU' CHE NOTE




Una Milano Music Week che passerà alla storia, quella in corso da ieri che si conclude domenica. Non certo per i numeri, come la prima edizione del 2019, con oltre 300 eventi e più di 120 location. E neppure per il palinsesto interamente in streaming. Ma perché mette in risalto la filiera della musica che, in una situazione di emergenza come questa, è coinvolta al completo. Come ha detto Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, l’iniziativa parla di tutte le professioni connesse all’attività artistica, dai cantanti ai musicisti, dai tecnici ai promoter, ai discografici. “L’edizione di quest’anno...sarà importante  per gettare le basi per nuove idee e strategie in modo da riportare il lavoro al centro della musica”.  Non a caso lo slogan di riferimento è Music works here, mentre l’anno scorso era Music lives here.“E’ il momento di far capire che la musica è lavoro, preparazione, fatica, serietà, impegno, professionalità. Senza lavoro la musica muore, senza la musica non viviamo noi” ha ribadito Luca De Gennaro, curatore artistico della Milano Music Week. Fittissimo il programma, con concerti ma anche incontri, workshop, conferenze. Tra gli eventi speciali Lennon80, party in stile rock per gli 80 anni dalla nascita di John Lennon con i suoi capolavori interpretati da band e solisti vari. O gli incontri con l’associazione culturale Bauli in Piazza che recentemente ha manifestato in Piazza Duomo a Milano per i lavoratori dello spettacolo. Per i bambini un’edizione speciale del Rodari Rocks, nato per il centenario della nascita dello scrittore, con le favole della buona notte raccontate da Jack Jaselli, Anna Belle e Alessio Bertallot. 

Senza la musica non viviamo…e con la musica possiamo vivere meglio, anche quando questo sembra impossibile. Ce lo ha dimostrato in questi giorni il primo intervento chirurgico accompagnato da un pianoforte. Il responsabile del reparto di Neurochirurgia degli ospedali riuniti di Ancona Dr.Roberto Trignani ha eseguito l’asportazione di un duplice tumore del midollo spinale in un bimbo di 10 anni, mentre Emiliano Toso, pianista e biologo molecolare (nella foto), eseguiva  una delle sue composizioni di musica acustica accordata a 432 Hz, su un pianoforte a coda all’interno della sala operatoria. 


venerdì 13 novembre 2020

LA SPERANZA CORRE ALLA VELOCITA' DELLA LUCE

Che la luce, naturale o artificiale, sia vita è un dato di fatto, che arte e luce siano spesso collegate è un altro punto fermo.  Non era possibile che un festival della luce come il GLOW Light di Eindhoven (Olanda) con installazioni d’arte visitate ogni anno da 750mila persone venisse annullato per la pandemia. In realtà lo è stato, ma il comune di Eindhoven, che quest’anno compie cent’anni, ha voluto comunque mantenere la tradizione. E lo ha fatto con uno straordinario messaggio, ovviamente di luce, per portare speranza a tutto il mondo. Così è nata Connecting the Dots la più grande opera d’arte di illuminazione mai realizzata. Con più di 1500 lampade a Led distribuite in 600 luoghi, mille punti di luce rossa del diametro di 90 cm. nel cielo e più di 20 mila alle finestre, l’installazione copre più di 80 Km2. Eindhoven, in particolare, da ieri pomeriggio è avvolta in un fascio di luce blu con mille punti rossi, fissi e galleggianti. Questo incredibile spettacolo, visibile a 60 Km. di distanza, è opera dell’artista della luce finlandese Kari Kola, che nel 2018 ha illuminato il sito archeologico di Stonehenge in Inghilterra. Mentre i mille punti rossi, palle luminose completamente riciclabili, sono state  create dall’artista olandese Ivo Schoofs e simboleggiano la connessione tra la gente. Tutto, ovviamente, si può vedere da ogni parte del mondo in streaming: www.gloweinhoven.nl  Estensione dell’idea i GLOWdots punti di luce realizzati da 20mila bambini delle scuole elementari della città, su ispirazione del designer olandese Hugo Vrijdag. 


E’ un’installazione luminosa anche quella inaugurata ieri, a Milano, sulla facciata d’ingresso dell’ex-Ansaldo, ora Base. E’ la prima opera di In-Between, programma dedicato alla creazione artistica nello spazio pubblico. E’ una scritta “The future is an invisible playground” di Robert Montgomery, artista e poeta scozzese che da anni lavora negli spazi pubblici facendo riflettere, con le sue poesie luminose, sulla contemporaneità. “Con questo passaggio dall’oscurità verso la luce, spero che riusciremo a risollevarci dopo tutte le sfide del 2020, e a cogliere nel 2021 la possibilità di cambiare il mondo in meglio, di mettere al primo posto l’ecologia e l’uguaglianza, e di costruire un nuovo mondo, fondato sulla gentilezza” è il suo commento-auspicio. 

 

giovedì 12 novembre 2020

LA TELA DEI SOGNI

Può succedere che un libro per bambini piaccia agli adulti. E non solo perché sono loro a sceglierlo. Certo la grafica e le illustrazioni giocano un ruolo importante, ma anche il contenuto può lanciare messaggi e suscitare emozioni meglio percepite dai diversamente piccoli. Voce su tela  è uno di questi. Come dice la presentazione “Vuole dare speranza a chi ha il coraggio di credere nei propri sogni”. Una frase che può sembrare retorica ed effetto facile, ma non lo è. Racconta di una bambina che abita nel pianeta dove sono nati i colori e dove non ci si esprime a parole, ma con i pennelli. Questa bambina esiste, e con la sua vita  ha ispirato l’autore Francesco Ciai, mentre i suoi disegni sono stati la base su cui ha lavorato l’illustratrice Arianna Pisani. Si chiama Clara Woods, è nata nel 2006 a Firenze e per un ictus perinatale era destinata, secondo i medici, a un’esistenza da vegetale. Ma i genitori non si sono arresi e hanno trovato un percorso di riabilitazione che, unito alla forza e alla determinazione di Clara, ha fatto sì che ora questa ragazzina, impossibilitata a parlare, leggere, scrivere e con grosse difficoltà motorie, capisce tre lingue e dipinge. Il suo non è un hobby, ma una professione con cui potrà un giorno essere economicamente indipendente. E’,infatti,la prima artista minorenne con partita Iva, ha esposto già in diciotto città tra cui Roma, Londra, Miami, Kobe. E nei suoi sogni-obiettivi, c’è una personale a New York, proprio come Frida Kahlo, suo idolo, a cui la accomuna la disabilità. I suoi coloratissimi disegni sono su tela, su ceramiche e anche stampati su shopper molto apprezzate.



“Quando dipingo posso parlare con tutti… anche con voi” dice con la sua arte. Una storia e quindi un messaggio di speranza, che non poteva sfuggire a Francesco Ciai (Firenze, classe 1987), presidente della Fondazione Claudio Ciai Onlus, intitolata al padre morto prematuramente in un incidente, che ha lo scopo di aiutare e recuperare le persone che hanno subito incidenti stradali o sul lavoro. Il libro edito da KM Edizioni sarà in tutte le librerie dal 25 novembre ed è già in vendita su https://bit.ly/38vNS4S. 


venerdì 6 novembre 2020

RIUNIONE DI CONDOMINIO? NO, MOSTRA

Dopo il teatro in cortile a uso di condomini e inquilini al Teatro della Cooperativa di Milano l'estate scorsa, ecco la mostra di condominio che inaugura domani a Torino. Chiusa al pubblico è aperta solo alle 200 persone che abitano al 16 di Via S.Giovanni Battista La Salle. Si inserisce nel quadro delle iniziative di creatività da Covid-19, ma dietro c’è un progetto nato nel 2016 di “rigenerazione urbana e trasformazione collettiva attraverso l’arte”. Si chiama Viadellafucina16 ed è il primo esperimento di condominio-museo creato dall’associazione Kaninchen-Haus da un’idea di  

 

Brice Coniglio, del duo artistico Coniglio-Viola. Con una chiamata internazionale, artisti di tutto il mondo sono stati invitati a soggiornare nell’enorme stabile ottocentesco di via La Salle, nel quartiere di Porta Palazzo, il più grande mercato all’aperto d’Europa. Con curatori, addetti ai lavori e abitanti hanno realizzato opere e sono intervenuti per riqualificare l’edificio e fermarne il degrado. L’iniziativa-esperimento ha dato ottimi risultati tanto che negli ultimi mesi più di settanta inquilini di condomini italiani ed esteri hanno contattato l’associazione per adottare il format condominio–museo. Varie e variegate le opere in mostra, scelte con votazioni dagli abitanti dello stabile e da un comitato scientifico tra cui figurano Beatrice Merz della Fondazione dedicata al padre Mario e Patrizia Sandretto Re Rebaudengo collezionista e fondatrice  dell’omonima Fondazione. E’ di Simona Anna Gentile Marlene ispirato alle mele: un arazzo fatto da shopper realizzate con scarti di tessuto che svela le vite di alcuni abitanti della casa. Raffaele Cirianni ha ideato un tappeto dove ognuno più sedersi e raccontare storie di cibi, etnie, usi, costumi. Ball Lightining del duo Genuardo-Ruta è una finestra su un mondo immaginario. Daniel Costa ha individuato un percorso nel quartiere attraverso le mappature degli spostamenti dei condomini. Diego Miguel Mirabella ha raccolto fregi e decorazioni di palazzi intorno, testimonianze di varie culture. Matteo Vettorello ha inventato "un rivelatore di benessere del vicinato", scultura con cascata d’acqua che calcola l’energia positiva. Una piccola opera d’arte anche il curriculum della curatrice, anzi della covatrice della mostra, Piera Valentina Gallov:  “Dopo gli anni di studio a L’aia (la "a" con la minuscola), il master in chickens development, la lunga militanza per i diritti dei diversamente volatili, Gallov è al mondo la prima gallina ad assumere la direzione di un’istituzione museale”.   

mercoledì 4 novembre 2020

NON ESSERE JOHN MALKOVICH

Doveva aprire a marzo, per la prima volta in Italia, poi per la pandemia è stata rinviata. Si è potuta visitare due giorni a fine ottobre e poi ha richiuso. Si spera che possa riaprire presto, perché è una mostra fotografica interessante e soprattutto unica. S’intitola Sandro Miller. Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters.  E’al Magazzino delle Idee di Trieste, un polo culturale a due passi dalla Stazione Ferroviaria e da Piazza Unità, ricavato in uno dei depositi dismessi. Se la seconda parte del




titolo è chiara e spiega l’omaggio di un importante fotografo, Sandro Miller (Illinois 1958) ai grandi maestri della fotografia, la prima lo è meno. Il Malkovich in questione è John, l’attore e produttore americano, e il fatto che il suo nome compaia ben tre volte sintetizza cosa c’è da vedere. Malkovich, infatti, nelle varie foto prende di volta in volta le sembianze di un personaggio famoso ed è ritratto da Miller come questo lo è stato da un grande maestro. Ecco Malkovich con una parrucca bionda trasformato nella Marilyn di Andy Warhol. Eccolo diventato Meryl Streep con maschera di bellezza, come colto dall’obiettivo di Annie Leibovitz. O raddoppiato nelle due inquietanti gemelle di Diane Arbus. O sosia di Jack Nicholson–Joker immortalato da Herb Ritts, o gemello di Einstein nel celeberrimo scatto con lingua fuori di Arthur Sasse. A completamento tre ritratti di personaggi extra progetto, come Adolf Hitler, Papa Giovanni XXIII, e Salomé con la testa del Battista e la sezione inedita Malkolynch. Cioè un video con otto dei personaggi più noti della filmografia di David Lynch, ovviamente reinterpretati da Malkovich come John Merrick di Elephant Man o l’agente Dale Cooper di Il segreto di Twin Peaks. E sette foto-ritratto di Malkolynch, cioè l’attore nelle sembianze del regista. Dietro questa straordinaria mostra un’amicizia tra Miller e Malkovich che risale agli anni Novanta. “E’diventato la mia tela, la mia Musa. John si sedeva e ascoltava la mia idea poi diceva: Ok facciamolo. Nel corso di 17 anni non ha mai detto: non mi piace” racconta Miller. Questo progetto è uno degli esempi del loro perfetto lavoro all’unisono. Con la collaborazione, è ovvio, di costumisti, truccatori, scenografi. Per quanto molte immagini possano fare sorridere, Miller ci tiene a precisare che non ha voluto che fosse una parodia. E’ un omaggio serio “ai fotografi e alle fotografie che hanno cambiato il mio punto di vista sulla fotografia…mi hanno ispirato… facendomi diventare il fotografo che sono oggi”. Curata da Anne Morin, la mostra è accompagnata dal volume Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters pubblicato da Skira. Non può sostituire la visione dal vivo, ma è un'ottima alternativa. E'in vendita anche sul sito Skira. 

domenica 1 novembre 2020

LA CENA E' SERVITA






Poche mostre mettono in risalto come Andy Warhol abbia indicato una strada nell’arte al pari di The last supper Recall alla Galleria del Credito Valtellinese, Refettorio delle Stelline, a Milano. Tanto che l’opera da cui parte l’esposizione, appunto di Warhol, passa quasi in seconda linea rispetto alle altre. Nota riedizione in misura ridotta e bipartita del capolavoro di Leonardo e considerata nello stesso tempo dichiarazione d’amore e sfregio dell’originale, The last supper utilizza tecniche come passaggi serigrafici, cromatismi industriali in colori tra il nero e il magenta. Fa parte di una serie a cui Warhol si dedicò negli ultimi anni. A Milano è già stata esposta nel 1987 alla presenza dell’autore, che tra l’altro vedeva per la prima volta il Cenacolo leonardesco. A testimonianza foto in bianco e nero di Maria Mulas che ritraggono Warhol con un’enorme parrucca, che copiava enfatizzandola la sua capigliatura naturale, sparita per le cure contro il cancro che poco dopo l’avrebbe ucciso. Di questa mostra sono presenti anche i manifesti e i cataloghi. Subito accanto è posizionata Cenacolo di Bruno Bordoli, olio e acrilico su tela grezza del 2007. Solo Gesù al centro conserva la posizione e l’atteggiamento datogli da Leonardo, gli altri apostoli, disposti in modo disordinato, sono figure inquietanti.  Nella sua Ultima Cena del 2013 Elia Festa non dipinge i personaggi ma l’energia che sprigionano attraverso l’intreccio di fili di luce, con i tratti 


e le sagome dell’affresco. E’ una composizione stratigrafica in metacrilato con un effetto ologramma Ultima cena di Filippo Avalle del 2007. Solo avvicinandosi si scorgono disegnati i personaggi del Vangelo. Di questi tre lavori sono esposti schizzi preparatori o legati all’opera. La Cène su legno del 1988 di Daniel Spoerri, geniale esponente del Nouveau Réalisme, cambia la prospettiva. La scena è presa dall’alto e, più realisticamente, Gesù è a capotavola e gli apostoli siedono ai due lati. E’ un tavolo da osteria modesto con pentole, piatti e bicchieri, applicati a collage (foto al centro). Ma non è l’unica opera dell’artista. L’altra è una proiezione delle tredici tavole in marmo con Le ultime cene di personaggi illustri. Da Goethe a Proust, da Freud a Cleopatra, unica donna, da Oetzi, l’uomo ritrovato nei ghiacci, a Cristo. L’originale si trova nel Giardino del Grand Hotel della Posta di Sondrio, accanto alla sede del Credito Valtellinese. Sempre di Spoerri un’altra proiezione, quella di una sua prova d’artista, mai realizzata, nella quale sotto ogni personaggio estrapolato dall’affresco c’è il suo pezzo di tavola imbandita. Completano la rassegna cataloghi e riproduzioni di opere, albi, documenti sull’argomento di Marthial Raysse, Damien Hirst, Velasco Vitali. Oltre a film in pellicola 16mm, girati a inquadratura fissa da Warhol tra il 1963 e il 1966, che raccontano momenti nella Factory e dintorni. In prestito dal MoMA di New York. Presentata da Flavio Caroli e curata da Leo Guerra e Cristina Quadrio Curzio, la mostra, aperta ieri, chiuderà il 3 dicembre, lockdown permettendo. 

   


domenica 25 ottobre 2020

TORNERA' IL MARZIANO A ROMA?

Può sembrare fuori posto, se non addirittura di cattivo gusto parlare di Un marziano a Roma, la cui prima è andata in scena ieri sera, proprio nel giorno in cui è uscito il decreto di chiudere teatri e cinema. E’ comunque giusto scriverne non solo per l’alto livello dello spettacolo di cui si priva il pubblico. Ma anche perché dove è rappresentato, il Teatro Menotti di Milano, sono osservate scrupolosamente tutte le misure di sicurezza. Solo 80 poltrone e distanziate delle quasi 500 disponibili. Obbligo di tenere la mascherina, controllo della temperatura, registrazione dei dati del pubblico, persona con visiera da ospedale che accompagna al posto. Il regista, Emilio Russo, che parla al pubblico con la mascherina e attenzione perfino sul palcoscenico: solo Milvia Marigliano e a diversi metri il trombettista Raffaele Kohler (nelle foto). Scritto nel 1954 da Ennio Flaiano, Un marziano a Roma racconta la vicenda  del marziano Kunt atterrato con la sua navicella spaziale a Villa Borghese in ottobre e rimasto  


in città fino a gennaio.  Messo in scena negli anni '60 da Vittorio Gassman nel suo Teatro Tenda, teatro popolare viaggiante, non aveva avuto successo, anzi aveva fatto molto discutere. Già dalle prime battute si capisce il perché. Troppo avanti per i tempi. La satira sui costumi dell’Italia del dopoguerra, ora assolutamente d’attualità, allora non poteva essere percepita. Soprattutto i toni erano troppo sfumati per essere capiti. La comicità nel testo c’era, ma sottile, bilanciata. Molto si deve certo all’ottima Marigliano che alterna alla lettura di alcuni pezzi del racconto, in cui si apprezza più che mai la scrittura felice di Flaiano, l’interpretazione di personaggi, per lo più stereotipi, ma mai banali:il borgataro romano, il qualunquista con il solito bagaglio di frasi fatte, la signora dei salotti borghesi, proto radical chic, perfino un Fellini spaesato.  Buona la regia di Russo che intervalla  e accompagna il recitato con la tromba di Kohler in un mix di pezzi meno o più noti, come il Nini Rota felliniano. Lo spettacolo programmato per altri quattro giorni replica, purtroppo, solo oggi alle 16,30. Un danno davvero per il pubblico e per la cultura. E questo è solo uno dei tanti casi di teatri, spesso di compagnie giovani che, pur avendo con enormi spese e sacrifici sistemato i loro spazi a norma Covid, si vedono costretti a interrompere l’attività. Non sarebbe più giusto un rigido controllo iniziale, seguito da sopralluoghi a sorpresa con multe fortissime e chiusura per i trasgressori?   


sabato 24 ottobre 2020

MIRACOLO SUL PALCO


A teatro c’è chi recita in un monologo o dialoga con altri. C’è chi canta, chi balla, chi suona, chi interagisce con il pubblico. Chi fa il mimo, chi l’acrobata. Massimiliano Speziani (ph.Isabella Nenci)sul palco del Teatro della Cooperativa di Milano è solo per un’ora e mezzo e si esibisce in tutto quel che si può fare su un palco. Perfino suonare, senza uno strumento musicale, ma battendo fra loro le scarpe da tip tap con i ferretti. Un exploit straordinario. Lo spettacolo si chiama Nessun miracolo a Milano. Ma il titolo non si riferisce all’exploit visto con falsa modestia, ma al film di De Sica. Speziani immagina di raccontare a un pubblico di bambini, a cui domanda e da cui si aspetta delle risposte, la storia di quel Totò nato in un cavolo che, dotato di magiche qualità, riuscì a portare poveri e senza casa su una scopa nel cielo di Milano. Ma il tono non è quello della favola ma di un ricordo di vita vissuta. L’attore millanta di aver conosciuto quell’uomo e di aver addirittura lavorato con lui. Con il suo panciotto giallo, come i guanti, salta, corre, cavalca, finge di bere, mima l’apertura della cler di un fantomatico negozio che si chiama The broom come la scopa “Chissà perché in inglese?”. Nelle sue menzogne è buffo, tenero, goffo senza però mai essere patetico o antipatico. La sua narrazione tra il surreale, il comico e il malinconico cattura e prende come un film d’azione con attimi quasi di suspense. Non c’è niente di autobiografico ovviamente, ma dietro Nessun miracolo a Milano, c’è un antefatto che oltre all’attore, che è anche regista, coinvolge Renato Gabrielli che ha scritto il testo di getto e i condomini di Via Settembrini 47, dove l’attore abita, che sono stati i primi a vedere lo spettacolo in cortile. Qui durante il lockdown Speziani ha letto poesie, recitato monologhi e anche Nessun miracolo a Milano, di cui ora appunto c’è stata la prima nazionale al Teatro della Cooperativa. In scena tutti i giorni, fino al 1° novembre, escluso lunedì. 


venerdì 23 ottobre 2020

CREATIVITA' E PROTESTA

Di questi tempi le parole protesta e tessuto insieme rimandano al tema della sostenibilità. Non è così per la mostra Protext!, da domani al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, città considerata il più grande distretto tessile d’Europa. Come spiega il sottotitolo, Quando il tessuto si fa manifesto, tratta infatti dell’uso del tessuto per istanze di protesta. Provenienti da tutto il mondo gli artisti, giovani emergenti o già affermati. Viene dalla Grecia il site pacific del collettivo Serapis Maritime Corporation, con foto del lavoro sui cargo, sulle navi da crociera e nelle aziende del pratese, stampate su cuscini in materiale

di riciclo. E murales con disegni di lavoratori, da corpi nudi a vulcani. La messicana Pia Camil (1980) presenta un’installazione con collage di T-shirt su cui si alternano slogan di protesta e stemmi di campus universitari (in alto). Il pluripremiato nigeriano Otobong Nkanga (1974) esplora i cambiamenti sociali e geologici e la relazione tra uomo e natura e li riporta su arazzi. La turca Günes Terkol (1981)sceglie l’emancipazione femminile per video, disegni, striscioni su cui sono cucite, realmente, dato che il cucire diventa atto di resistenza, storie di donne che hanno subito violenza o lottano per la loro indipendenza. Il russo Vladislav Shapovalov (1981) parte da una ricerca nell’archivio della Camera del Lavoro di Biella e dalle bandiere di protesta e ne sceglie due con frammenti di tessuto e i nomi delle operaie. Marinella Senatore(1977), una delle più affermate artiste del panorama italiano, racconta la protesta attraverso stendardi colorati, ricamati a mano, come quelli delle processioni religiose, e cinquanta disegni che vanno dagli striscioni delle manifestazioni nel settore tessile a quelli delle donne brasiliane, fino ai grembiuli delle suffragette. Il più giovane, il newyorkese Tschabalala Self(1990)realizza un’installazione fatta di pannelli, dipinti o con collage di tessuti recuperati nei negozi di Harlem, in cui le protagoniste sono donne nere (al centro). Completa la mostra uno workshop con materiali forniti dall’azienda Manteco, che offre agli operai delle fabbriche di tutto il mondo l’occasione di diventare designer. Inaugura lo stesso giorno e termina il 7 febbraio, invece del 24, Litosfera, un dialogo tra Produttivo con le opere di Giorgio Andreotta Calò, suddivise in altri quattro musei, e A Fragmented World con quelle di Elena Mazzi e Sara Tirelli. Tema: viaggio nel centro della terra con le stratificazioni geologiche. E infine dal 24 al 29 ottobre il terzo progetto, 
Raid. La performance, apparentemente dissacrante, di Marcello Maloberti che mette in relazione le grandi opere del passato con opere simbolo del museo.




lunedì 19 ottobre 2020

SPLENDIDI OTTANTENNI




Chi si ricorda la coccoina? Quel barattolino di metallo con dentro un piccolo scomparto per un minuscolo pennello e una crema bianca dal profumo di mandorle… O di qualcosa di dolce e buono. Era ed è una colla, tra l’altro non tossica ma addirittura commestibile, che continua a essere prodotta, ma pochissimi ora usano. Oppure il gettone telefonico, che non si trovava mai quando serviva. Sono due degli oggetti in uso negli anni ‘80, citati in Ottanta Nostalgia (resto a casa) da Carolina Sandroni, che in quegli anni passava dall’infanzia all’adolescenza. Accanto allo schizzo dell’oggetto una poesia che lo racconta. "Coccoina: E quando tutto/cade a pezzi/sarebbe utile/avere la coccoina/che incolla insieme/i cocci/e rimette a posto/le emozioni". Alle volte la poesia diventa un cruciverba di cui la prima lettera di ogni riga forma il nome dell’oggetto

"Gettone:Grande/Emozione/Telefonare per dirti/Tutto/O anche /Niente/ E sentire la tua voce". Ogni tanto delle pagine Intervallo, con quello che “negli anni ’80 andava così…”: dalle pubblicità martellanti che diventavano veri punti di riferimento ai giochi in scatola nati in quel periodo, dalle letture "poco impegnate" ai film, ai cartoon. Scritto durante la quarantena di marzo e aprile, il libro è “dedicato a chi si è preso cura di noi che siamo rimasti a casa”. Di lettura scorrevole e divertente è filtrato da quell’ironia, mai giudicante né presuntuosa, che caratterizza anche i libri di non poesie dell’autrice, pubblicati con Ilmiolibro.it (Feltrinelli) e Amazon, come questo. In vendita, oltre che on line, in libreria, su ordinazione.

mercoledì 14 ottobre 2020

SCATTI D'ARTE

Cosa rende artistica una foto? La risposta potrebbe essere l’inquadratura. Una risposta aperta a molte, moltissime, troppe interpretazioni. L’immagine deve essere piena o sono necessari dei vuoti? Deve esserci un elemento per la centralità o non deve essere trascurato nessun angolo. I colori e le luci devono essere forti o sfumate? Le ombre devono esserci o no? Si usano gli stessi criteri per un ritratto e per un’architettura? Angelo Tondini risponde con una mostra dal significativo titolo L’Essenziale, allo Spazio Tadini di Milano. L’essenziale è quello che trasforma in una piccola opera d’arte ognuna delle foto esposte, scelte in un archivio di milioni d’immagini scattate in cinque continenti, nei sessant’anni di attività di un fotografo considerato, dall’agenzia californiana Your Daily Photograph, tra le leggende della fotografia. Le foto sono  molto  diverse tra loro. C’è il trionfo dell’assenza in quel cielo del Belgio con la fine delle pale di un mulino in due angoli e in un terzo solo il busto di una coppia in bicicletta.  Ma può essere anche il pieno di tre gabbie di uccelli, riparate da ombrelli, sullo sfondo del mare di Positano. O ancora quelle ombre nel deserto del Ténéré



che diventano pennellate di una pittura astratta. C’è il taglio perfetto della piscina a Los Angeles e una donna sdraiata con  occhiali alla Lolita, che fa pensare a David Hockney. Non c’è niente di meno di quel che deve esserci e niente di più. Tutto è equilibrato e calibrato. Anche se spesso è lo scatto di un momento. Quell’uccello in volo, quella scia d’aereo, quella precisa composizione di nuvole, che non si verificherà mai più. Insomma l’attimo fuggente che coglie solo chi sa guardare, come un grande fotografo. Tondini dice che questa sarà la sua ultima mostra e quindi ha essenzializzato tutto. Accanto alle foto ci sono le sue trenta poesie, ingabbiate nello schema metrico rigido di 17 sillabe dell’Haiku. Anche queste essenziali.  La mostra è aperta fino al 30 ottobre da mercoledì a venerdì dalle 15,30 alle 19,30. Sabato su richiesta. Un’occasione per visitare la straordinaria Casa Museo Spazio Tadini, ex stamperia e poi studio del pittore (Via Jommelli 24).