domenica 25 ottobre 2020

TORNERA' IL MARZIANO A ROMA?

Può sembrare fuori posto, se non addirittura di cattivo gusto parlare di Un marziano a Roma, la cui prima è andata in scena ieri sera, proprio nel giorno in cui è uscito il decreto di chiudere teatri e cinema. E’ comunque giusto scriverne non solo per l’alto livello dello spettacolo di cui si priva il pubblico. Ma anche perché dove è rappresentato, il Teatro Menotti di Milano, sono osservate scrupolosamente tutte le misure di sicurezza. Solo 80 poltrone e distanziate delle quasi 500 disponibili. Obbligo di tenere la mascherina, controllo della temperatura, registrazione dei dati del pubblico, persona con visiera da ospedale che accompagna al posto. Il regista, Emilio Russo, che parla al pubblico con la mascherina e attenzione perfino sul palcoscenico: solo Milvia Marigliano e a diversi metri il trombettista Raffaele Kohler (nelle foto). Scritto nel 1954 da Ennio Flaiano, Un marziano a Roma racconta la vicenda  del marziano Kunt atterrato con la sua navicella spaziale a Villa Borghese in ottobre e rimasto  


in città fino a gennaio.  Messo in scena negli anni '60 da Vittorio Gassman nel suo Teatro Tenda, teatro popolare viaggiante, non aveva avuto successo, anzi aveva fatto molto discutere. Già dalle prime battute si capisce il perché. Troppo avanti per i tempi. La satira sui costumi dell’Italia del dopoguerra, ora assolutamente d’attualità, allora non poteva essere percepita. Soprattutto i toni erano troppo sfumati per essere capiti. La comicità nel testo c’era, ma sottile, bilanciata. Molto si deve certo all’ottima Marigliano che alterna alla lettura di alcuni pezzi del racconto, in cui si apprezza più che mai la scrittura felice di Flaiano, l’interpretazione di personaggi, per lo più stereotipi, ma mai banali:il borgataro romano, il qualunquista con il solito bagaglio di frasi fatte, la signora dei salotti borghesi, proto radical chic, perfino un Fellini spaesato.  Buona la regia di Russo che intervalla  e accompagna il recitato con la tromba di Kohler in un mix di pezzi meno o più noti, come il Nini Rota felliniano. Lo spettacolo programmato per altri quattro giorni replica, purtroppo, solo oggi alle 16,30. Un danno davvero per il pubblico e per la cultura. E questo è solo uno dei tanti casi di teatri, spesso di compagnie giovani che, pur avendo con enormi spese e sacrifici sistemato i loro spazi a norma Covid, si vedono costretti a interrompere l’attività. Non sarebbe più giusto un rigido controllo iniziale, seguito da sopralluoghi a sorpresa con multe fortissime e chiusura per i trasgressori?   


sabato 24 ottobre 2020

MIRACOLO SUL PALCO


A teatro c’è chi recita in un monologo o dialoga con altri. C’è chi canta, chi balla, chi suona, chi interagisce con il pubblico. Chi fa il mimo, chi l’acrobata. Massimiliano Speziani (ph.Isabella Nenci)sul palco del Teatro della Cooperativa di Milano è solo per un’ora e mezzo e si esibisce in tutto quel che si può fare su un palco. Perfino suonare, senza uno strumento musicale, ma battendo fra loro le scarpe da tip tap con i ferretti. Un exploit straordinario. Lo spettacolo si chiama Nessun miracolo a Milano. Ma il titolo non si riferisce all’exploit visto con falsa modestia, ma al film di De Sica. Speziani immagina di raccontare a un pubblico di bambini, a cui domanda e da cui si aspetta delle risposte, la storia di quel Totò nato in un cavolo che, dotato di magiche qualità, riuscì a portare poveri e senza casa su una scopa nel cielo di Milano. Ma il tono non è quello della favola ma di un ricordo di vita vissuta. L’attore millanta di aver conosciuto quell’uomo e di aver addirittura lavorato con lui. Con il suo panciotto giallo, come i guanti, salta, corre, cavalca, finge di bere, mima l’apertura della cler di un fantomatico negozio che si chiama The broom come la scopa “Chissà perché in inglese?”. Nelle sue menzogne è buffo, tenero, goffo senza però mai essere patetico o antipatico. La sua narrazione tra il surreale, il comico e il malinconico cattura e prende come un film d’azione con attimi quasi di suspense. Non c’è niente di autobiografico ovviamente, ma dietro Nessun miracolo a Milano, c’è un antefatto che oltre all’attore, che è anche regista, coinvolge Renato Gabrielli che ha scritto il testo di getto e i condomini di Via Settembrini 47, dove l’attore abita, che sono stati i primi a vedere lo spettacolo in cortile. Qui durante il lockdown Speziani ha letto poesie, recitato monologhi e anche Nessun miracolo a Milano, di cui ora appunto c’è stata la prima nazionale al Teatro della Cooperativa. In scena tutti i giorni, fino al 1° novembre, escluso lunedì. 


venerdì 23 ottobre 2020

CREATIVITA' E PROTESTA

Di questi tempi le parole protesta e tessuto insieme rimandano al tema della sostenibilità. Non è così per la mostra Protext!, da domani al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, città considerata il più grande distretto tessile d’Europa. Come spiega il sottotitolo, Quando il tessuto si fa manifesto, tratta infatti dell’uso del tessuto per istanze di protesta. Provenienti da tutto il mondo gli artisti, giovani emergenti o già affermati. Viene dalla Grecia il site pacific del collettivo Serapis Maritime Corporation, con foto del lavoro sui cargo, sulle navi da crociera e nelle aziende del pratese, stampate su cuscini in materiale

di riciclo. E murales con disegni di lavoratori, da corpi nudi a vulcani. La messicana Pia Camil (1980) presenta un’installazione con collage di T-shirt su cui si alternano slogan di protesta e stemmi di campus universitari (in alto). Il pluripremiato nigeriano Otobong Nkanga (1974) esplora i cambiamenti sociali e geologici e la relazione tra uomo e natura e li riporta su arazzi. La turca Günes Terkol (1981)sceglie l’emancipazione femminile per video, disegni, striscioni su cui sono cucite, realmente, dato che il cucire diventa atto di resistenza, storie di donne che hanno subito violenza o lottano per la loro indipendenza. Il russo Vladislav Shapovalov (1981) parte da una ricerca nell’archivio della Camera del Lavoro di Biella e dalle bandiere di protesta e ne sceglie due con frammenti di tessuto e i nomi delle operaie. Marinella Senatore(1977), una delle più affermate artiste del panorama italiano, racconta la protesta attraverso stendardi colorati, ricamati a mano, come quelli delle processioni religiose, e cinquanta disegni che vanno dagli striscioni delle manifestazioni nel settore tessile a quelli delle donne brasiliane, fino ai grembiuli delle suffragette. Il più giovane, il newyorkese Tschabalala Self(1990)realizza un’installazione fatta di pannelli, dipinti o con collage di tessuti recuperati nei negozi di Harlem, in cui le protagoniste sono donne nere (al centro). Completa la mostra uno workshop con materiali forniti dall’azienda Manteco, che offre agli operai delle fabbriche di tutto il mondo l’occasione di diventare designer. Inaugura lo stesso giorno e termina il 7 febbraio, invece del 24, Litosfera, un dialogo tra Produttivo con le opere di Giorgio Andreotta Calò, suddivise in altri quattro musei, e A Fragmented World con quelle di Elena Mazzi e Sara Tirelli. Tema: viaggio nel centro della terra con le stratificazioni geologiche. E infine dal 24 al 29 ottobre il terzo progetto, 
Raid. La performance, apparentemente dissacrante, di Marcello Maloberti che mette in relazione le grandi opere del passato con opere simbolo del museo.




lunedì 19 ottobre 2020

SPLENDIDI OTTANTENNI




Chi si ricorda la coccoina? Quel barattolino di metallo con dentro un piccolo scomparto per un minuscolo pennello e una crema bianca dal profumo di mandorle… O di qualcosa di dolce e buono. Era ed è una colla, tra l’altro non tossica ma addirittura commestibile, che continua a essere prodotta, ma pochissimi ora usano. Oppure il gettone telefonico, che non si trovava mai quando serviva. Sono due degli oggetti in uso negli anni ‘80, citati in Ottanta Nostalgia (resto a casa) da Carolina Sandroni, che in quegli anni passava dall’infanzia all’adolescenza. Accanto allo schizzo dell’oggetto una poesia che lo racconta. "Coccoina: E quando tutto/cade a pezzi/sarebbe utile/avere la coccoina/che incolla insieme/i cocci/e rimette a posto/le emozioni". Alle volte la poesia diventa un cruciverba di cui la prima lettera di ogni riga forma il nome dell’oggetto

"Gettone:Grande/Emozione/Telefonare per dirti/Tutto/O anche /Niente/ E sentire la tua voce". Ogni tanto delle pagine Intervallo, con quello che “negli anni ’80 andava così…”: dalle pubblicità martellanti che diventavano veri punti di riferimento ai giochi in scatola nati in quel periodo, dalle letture "poco impegnate" ai film, ai cartoon. Scritto durante la quarantena di marzo e aprile, il libro è “dedicato a chi si è preso cura di noi che siamo rimasti a casa”. Di lettura scorrevole e divertente è filtrato da quell’ironia, mai giudicante né presuntuosa, che caratterizza anche i libri di non poesie dell’autrice, pubblicati con Ilmiolibro.it (Feltrinelli) e Amazon, come questo. In vendita, oltre che on line, in libreria, su ordinazione.

mercoledì 14 ottobre 2020

SCATTI D'ARTE

Cosa rende artistica una foto? La risposta potrebbe essere l’inquadratura. Una risposta aperta a molte, moltissime, troppe interpretazioni. L’immagine deve essere piena o sono necessari dei vuoti? Deve esserci un elemento per la centralità o non deve essere trascurato nessun angolo. I colori e le luci devono essere forti o sfumate? Le ombre devono esserci o no? Si usano gli stessi criteri per un ritratto e per un’architettura? Angelo Tondini risponde con una mostra dal significativo titolo L’Essenziale, allo Spazio Tadini di Milano. L’essenziale è quello che trasforma in una piccola opera d’arte ognuna delle foto esposte, scelte in un archivio di milioni d’immagini scattate in cinque continenti, nei sessant’anni di attività di un fotografo considerato, dall’agenzia californiana Your Daily Photograph, tra le leggende della fotografia. Le foto sono  molto  diverse tra loro. C’è il trionfo dell’assenza in quel cielo del Belgio con la fine delle pale di un mulino in due angoli e in un terzo solo il busto di una coppia in bicicletta.  Ma può essere anche il pieno di tre gabbie di uccelli, riparate da ombrelli, sullo sfondo del mare di Positano. O ancora quelle ombre nel deserto del Ténéré



che diventano pennellate di una pittura astratta. C’è il taglio perfetto della piscina a Los Angeles e una donna sdraiata con  occhiali alla Lolita, che fa pensare a David Hockney. Non c’è niente di meno di quel che deve esserci e niente di più. Tutto è equilibrato e calibrato. Anche se spesso è lo scatto di un momento. Quell’uccello in volo, quella scia d’aereo, quella precisa composizione di nuvole, che non si verificherà mai più. Insomma l’attimo fuggente che coglie solo chi sa guardare, come un grande fotografo. Tondini dice che questa sarà la sua ultima mostra e quindi ha essenzializzato tutto. Accanto alle foto ci sono le sue trenta poesie, ingabbiate nello schema metrico rigido di 17 sillabe dell’Haiku. Anche queste essenziali.  La mostra è aperta fino al 30 ottobre da mercoledì a venerdì dalle 15,30 alle 19,30. Sabato su richiesta. Un’occasione per visitare la straordinaria Casa Museo Spazio Tadini, ex stamperia e poi studio del pittore (Via Jommelli 24).  


sabato 10 ottobre 2020

VENDEMMIA IN CITTA'

Certo se si confronta con le edizioni degli anni passati la Vendemmia di Via Montenapoleone(Milano)di giovedì scorso potrebbe essere definita un insuccesso. Iniziata alle 18,30 sporadicamente, dal grosso, si fa per dire, intorno alle 19, alle 20, cioè nel clou perché terminava alle 21,30, contava pochissima gente in giro. Molti negozi, presenti gli altri anni, non hanno aderito e in quelli aperti s’intravvedeva un vuoto quasi pneumatico all’interno, con inutili angeli-custodi-guardiani all’ingresso muniti d’inutili elenchi invitati. E questo nonostante la zona della Vendemmia fosse limitata a Via Montenapoleone con pochi flash in Via Sant’Andrea e pochissimi in Via Gesù. Colpiva anche il fatto che ci fosse meno illuminazione e nelle vetrine dei negozi non aderenti il minimo della luce. Le eccezioni ci sono state. Con entrate contingentate e qualcuno che ha dovuto aspettare in coda, per evitare pericolosi assembramenti. E’ importante comunque che la manifestazione ci sia stata, un segnale di ripresa e un’ulteriore dimostrazione della voglia di normalità, ma con saggezza. Nel nuovo negozio Bally, che prende lo stile della piazza milanese al pian terreno, quello dello chalet svizzero al primo piano e dell’appartamento milanese al secondo, i vini erano quelli del Castello di Fonteruoli nel Chianti,  proprietà della Famiglia Mazzei dal 1435. In assaggio tre Gran Selezione in zone e vitigni diversi, destinati a diventare tra dieci anni vere eccellenze. Molto esclusivo e in pochissime bottiglie lo champagne, misto di Chardonnay e Pinot, da degustare nella boutique Missoni.  E’ prodotto da Frerejean Frères cantina fondata nel 2005 da tre fratelli della famiglia Taittinger, una garanzia. Ha più di cent’anni invece la cantina di Mionetto a Valdobbiadene, terra del Prosecco, ospite da Chiara Boni tra Petite Robe e deliziosi completi. Due le proposte della Luxury Collection, un Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg e un Cuvée Sergio 1887 Rosé. 

venerdì 9 ottobre 2020

IL MONDO DI FRIDA

Apre domani, 10 ottobre, la mostra Frida Kahlo. Il caos dentro  alla Fabbrica del Vapore di Milano. Non ci sono sue opere, esposte tra l’altro di recente al Mudec, sempre a Milano. E’ una biografia illustrata, che racconta la sua vita e il personaggio, forse più conosciuto dell’artista. Attraverso ricostruzioni, testimonianze, cimeli, scritti, foto, dipinti, emerge il suo temperamento, l’amore  travagliato ma speciale con Diego Rivera, il dolore fisico che l’ha



perseguitata per tutta la sua breve esistenza, la passione politica, ma soprattutto la sua poetica e la filosofia di vita, colta in importanti avvenimenti storici come nella quotidianità. Dei suoi autoritratti ci sono solo riproduzioni, ma ci sono opere di chi ha vissuto nel suo circondario o a lei si è ispirato. Una biografia quindi attenta e completa, dove la didascalia è fondamentale e segue passo a passo il visitatore. Si comincia con la ricostruzione di due stanze. La prima è la camera da letto dove si individuano i segni della sua sofferenza: lo specchio sotto al baldacchino fatto installare per potersi ritrarre, le stampelle appoggiate al muro. E il busto che era costretta a portare dopo l’incidente nel quale, già zoppa a sei anni per la poliomielite, a 18 era rimasta coinvolta. Schiacciata nello scontro fra l’autobus su cui viaggiava e un tram, aveva riportato fratture alla colonna vertebrale, alle vertebre e all’osso pelvico, oltre a una ferita all’addome, per cui aveva  subito trenta operazioni e non riuscì mai a portare a termine una gravidanza. La seconda stanza è il suo atélier: i colori sono forti, allegri, ci sono gli strumenti del suo lavoro, ma anche oggetti della cultura popolare messicana da lei tanto amati. Un grande pannello di foto ricrea la vista del giardino dalla finestre di Casa Azul, dove abitava a Città del Messico. E poi la sedia a rotelle (v.foto). Una sezione, sicuramente la più artistica, è quella dei suoi ritratti (v.foto) realizzati dal colombiano Leo Matiz, uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi, scomparso nel 1998. Qui, in un video la figlia Alejandra, tra i curatori della mostra, racconta l'amicizia fra il padre e Frida. In una teca al centro è esposta la vecchia Rolleiflex usata da Matiz e di cui era gelosissimo. Al piano superiore il percorso procede con una sezione dedicata a Diego Rivera, ai suoi murales, alle lettere che si scambiavano. Segue un’esposizione di abiti simili a quelli indossati dall’artista. La stanza del curatore, Antonio Arévalo, raccoglie pannelli con le parole delle canzoni popolari, gioielli, giocattoli della tradizione messicana. In un’altra ci sono sette busti in gesso, proprio come quelli portati da Frida, dipinti da vari artisti, tra i quali, struggente, uno con disegnato il feto del bambino che non riuscì mai a partorire. In due angoli sono esposte le foto di tutti i francobolli con il volto della pittrice, emessi da vari paesi in diverse ricorrenze.  A completare il percorso, oltre a una sala cinema, una sala multimediale per immergersi nel mondo Frida, una ludoteca per i bambini e un bookshop. 

giovedì 8 ottobre 2020

LA MATERIA DELL' ARTE

Sono svariate le motivazioni per coltivare l’arte. Lasciando perdere l’estremo dell’investimento finanziario, riservato a pochi e comunque al di fuori della finalità dell’arte stessa. Di sicuro l’emozione è il fattore principale, più stimolante, più comune e forse più antico. Piace anche trovare un ritratto della persona dietro un’opera, cercare di capirne la vita e il pensiero, non sempre facile, anzi difficilissimo. E poi c’è la ricerca della storia, dell’evoluzione dell’arte, di come si è arrivati a certi linguaggi, in generale, ma anche in particolare. La pittura di Angelo Molinari soddisfa pienamente quest’aspetto. Al primo impatto le sue pennellate di colori forti, ma anche di bianco, rimandano o ricordano la poetica di Hans Hartung. C’è chi come il critico Paolo Iacchetti, autore del testo di presentazione della mostra alla Galleria Francesco Zanuso di Milano, vede il riferimento a Hsiao Chin, per l’evidenza del segno, ponte fra Oriente e Occidente. Poi, osservando bene i lavori si trova quell’incredibile luminosità che riesce a dare alle pennellate una quasi tridimensionalità che incanta. S’intuisce che è data dai materiali e dalla tecnica usata: colori acrilici su PVC. Qualcosa quindi che risponde anche alla scoperta dell’evoluzione nell’arte, del suo aggiornamento, al di là dei contenuti. Pure i titoli dati alle opere vanno letti, anche se, sempre a prima vista, potrebbe sembrare un approccio scolastico e non emozionale. E invece completano, spiegano e soprattutto suggeriscono modi di guardare
Dove lo sguardo si confonde con l’invisibile s'intitola una con tratti azzurri(foto in alto). Mare? Cielo? Su un fondo beige, terra? Nuvole? Solo pensieri? 



O un’altra All’ombra dei platani (foto in basso). Grandi pennellate di verde da cui si intravvedono minimi squarci di luce,  accentuati dal PVC di base, che raccontano uno sguardo tra le foglie. La mostra di Angelo Molinari è aperta da ieri fino al 29 ottobre alla Galleria Francesco Zanuso, Corso di Porta Vigentina 26. Da lunedì a giovedì 15-19, venerdì mattina e altri orari su appuntamento. 
 

mercoledì 7 ottobre 2020

UNA SETTIMANA IN CASA




Sarà che il Fuorisalone (del mobile) è mancato anche ai non addetti ai lavori. Sarà che secondo le statistiche tra i pochi consumi rimasti tali o perfino aumentati nel lockdown ci sono quelli per la casa. Sta di fatto che la Design Week a Milano ha un discreto successo. Iniziata il 28 settembre, in coda alla Fashion Week e sempre organizzata dalla rivista Interni, si concluderà sabato 10. Molti gli appuntamenti, saggiamente diluiti nei giorni per evitare gli assembramenti, e completati con dibattiti on line.  Quelle di sempre le zone coinvolte con qualche  novità. C’è chi festeggia come Armani i vent’anni. Chi coglie l’occasione per aprire uno show room come Falper con le più interessanti linee per il bagno. O come Rubelli che lo rinnova totalmente con una collezione di tessuti per la casa disegnata dal direttore artistico Matteo Nunziati. Ci sono  casi particolari come quello di Esselunga che per i 25 anni di Carta Fidaty ha affidato a Rossana Orlandi la selezione di 25 lavori di design e artigianato da inserire nel catalogo, da vedere nella sua galleria. Roberto De Wan in Via Manzoni, accanto ai cento modelli di occhiali, a borse e bijoux, propone sciarpe e foulard in seta con il suo disegno ispirato al mito di Saturno. Jumbo Group in Via Hoepli realizza un’installazione con la sua linea sul tema dell’interazione tra uomo e natura (foto in alto). Missoni, nello spazio di Viale Elvezia, presenta  pezzi da interni e da esterni. Tra quelli clou il divanetto Milady e la poltrona Milord (foto in basso), squadrati ma invitanti, con una stampa del rivestimento delicata e universale o la poltrona Grandma, rivisitazione anni 40 nelle tipiche righe non righe della maison. Invitano al relax le sdraio-lettini dell’outdoor. Da non mancare assolutamente una visita al Design Supermarket della Rinascente. Quando qualcuno pensa di non avere bisogno di niente o che non c’è

niente da poter regalare a un amico/a perché in casa ha tutto, con una visita al sesto piano e al piano inferiore ha di che ricredersi. Per la ricerca del design puro come per l’utilità o la razionalità, per la superfirma come per il divertimento, eccetera, eccetera. Non solo ci sono complementi d’arredo, lampade, sedie dei più grandi e premiati designer degli ultimi 70 anni, ma si trovano bonsai, piante sottovetro e oggetti in grado davvero di dare un tocco in più e rasserenare un ambiente. Che è lo scopo del design, oltre alla funzionalità. 

giovedì 1 ottobre 2020

L'ALTRA META' DEL CIELO?

A fine anni Settanta la mostra L’Altra metà del cielo al Palazzo Reale di Milano, dedicata a opere di donne, aveva fatto scalpore. Quarant’anni dopo, sempre a Milano, da vedere due progetti esclusivamente al femminile. Stupisce che ancora si debba pensare a dare un sesso alla creatività. Nell’arte, come in qualsiasi altra professione, non dovrebbe esistere la distinzione. “Ci sono registi bravi e no, non importa se donna o uomo” così aveva risposto Alberto Barbera, direttore della mostra del cinema di Venezia, l’anno scorso a chi lo accusava di non avere selezionato film di donne. Stando così le cose, qualsiasi iniziativa che faccia conoscere la creatività al femminile è apprezzabile. Specie se propone lavori così variegati come Nelle mani delle donne, al Superstudio Più fino al 29 ottobre. E’ composta da due mostre. I fiori della materia a cura di Gisella


Borioli, fondatrice e mente del Superstudio Più, mette insieme designer, architetti, artigiane di fasce d’età e impostazioni differenti, unite dalla ricerca continua di nuovi 

linguaggi  e nuovi materiali. Dai contenitori totemici di Elena Salmistrano (foto in alto) ai divani e gli orologi con stampe ipercolorate di Paola Navone, alle sedie-personaggi di Mavi Ferrando. Arte pura, invece, in Narcisi Fragili curata da Sabino Maria Frassà, che pur sapendo che non ha più senso parlare di sessi, è consapevole che “la nostra società è ancora vittima delle discriminazioni di genere”. Non a caso ha scelto opere di sei artiste italiane che indagano la bellezza e la precarietà dell’esistenza umana, come anticipa il mito del titolo. Playtiles-The instant è il progetto fotografico di Patrizia Madau, a cura di Rossella Farinotti, alla Isorropia Home Gallery, da oggi al 4 ottobre. Anche in questo caso da vedere le immagini di tre artiste di formazione diversa. Tutto parte dalle cento foto in piccolo formato di momenti e dettagli di vita quotidiana di Donata Clovis, scomparsa nel 2016 a soli trentanove anni, e alla quale questa mostra è un tributo. Donatella Izzo (classe 1979) con i suoi inquietanti anti-ritratti in trasformazione, realizzati con una tecnica composta, rende omaggio alle donne vittime di violenza. Federica Angelino (classe 1995) più che dei suoi viaggi, esprime il suo modo di guardarsi intorno, non importa il soggetto. Così di quell’installazione a Miami racconta il cielo blu e l'angolo di casa di contorno.  Le rive del fiume a Zurigo sono un cenno nello scatto che ferma le acrobazie dei ragazzi in skate, passione dell’artista. Uno scorcio di Parigi in bianco e nero è rivissuto con tonalità contrastanti, dopo un errore tecnico (foto in basso).