domenica 21 aprile 2024

ACCORDI E DISACCORDI

Impossibile fare un riassunto o tirare le somme di questo FuoriSalone. Se non ricadendo nella "grande affluenza", nelle "code interminabili" (le più lunghe quelle per vedere Armani/Casa, quasi l'intera Via Borgonuovo), nella "altissima presenza di stranieri", eccetera. Anche qualche flash sulle sorprese non sarebbe attendibile o comunque non comunicherebbe i reali contenuti della manifestazione. Si può parlare di varietà nel senso che il design entra dappertutto, in dialogo o in contrasto con i lussuosi palazzi o le fabbriche dismesse dove è esposto.  O di contaminazione tra arte e moda, che non si limita a mettere tra gli abiti di una boutique, mobili o oggetti design. Ma presenta arredamento con le stesse caratteristiche dell’abbigliamento. 




Così da Martino Midali le righe dei suoi capi si riflettono nelle righe di sedili, tavoli, tavolini, consolle di Nap Atelier. Da Cilento 1780, tempio del vestire maschile classico, compaiono a contrasto le Teste di Moro disegnate da Cori Amenta, quasi una rivisitazione pop delle ceramiche di Caltagirone (foto al centro). Invece nei saloni di Palazzo Orsini, da anni sede della Giorgio Armani, i dettagli dei mobili Armani/Casa, spesso etnici e vicini alle collezioni moda, raccontano un viaggio in sintonia con la cornice (foto al centro). Sono molte le cose da scoprire. Nel cortile di un interessante palazzo nella sconosciuta Via Altaguardia, a Porta Romana, Bav Tailor indiana nata a Londra, per Sakti Sphere, costruisce un santuario olistico dove tutto, dal profumo al vaso, all’abito è all’insegna del relax-meditazione e del lusso sostenibile. Da Harmont & Blaine ci sono i site specific dell’artista italo-peruviano Lorenzo Vitturi: forme organiche realizzate con tessuti e materiali di riciclo del brand (foto in alto). Anche i sanitari possono avere un fascino oltre che un’utilità. Lo dimostra THG, azienda francese nel suo negozio di Via Fiori Chiari, con i rubinetti caratterizzati dal disegno di rondini, riprese dal “mobile” di Lalique (foto in basso). Nella boutique di Anteprima l’artista giapponese Kei Takemura è protagonista di una performance con le carte. Woolrich presenta il libro Orama e su grandi tavoli ne racconta il contenuto con capi e accessori. Infine AGL dedica un sandalo al Salone del Mobile, espressione di artigianalità made in Italy e dello stile del brand: tacco a cubo laccato nero e un dettaglio in plexi trasparente sulla tomaia.   



sabato 20 aprile 2024

SPLENDIDA CORNICE

Normale chiedersi quanto dipenda dalla cornice "l’effetto meraviglia" delle installazioni nei cortili dell’Università degli Studi di Milano, cuore pulsante del FuoriSalone. La prima risposta potrebbe essere "molto". Il perché sta in quella sensazione di “era meglio l’anno scorso” che si prova ogni anno, dovuto in parte all’annullamento del fattore sorpresa. In realtà di edizione in edizione le proposte sono sempre più interessanti e ben studiate, ma noi siamo sempre più viziati e ci aspettiamo sempre di più. 





Quest’anno l’insistenza sul tema della sostenibilità, pur se affrontato in svariati modi, non gioca a favore. Istintivamente si privilegia le installazioni con effetti speciali piuttosto che quelle che parlano di tecnologia e di riciclo. Si resta indifferenti di fronte al ben documentato percorso di realizzazione del primo lavabo in ceramica riciclata di Tom Dixon, mentre  si guarda affascinati gli specchi di Arik Levy Studio, appesi al soffitto  nel loggiato est, che muovendosi di continuo riflettono un paesaggio circostante mutevole. Esalta le caratteristiche di un un materiale innovativo il totem di Patricia Urquiola(al centro). Fa pensare lo Sparkling Change di Mario Cucinella Architects  con i suoi 1200 blocchi di ceramica stampata in 3D (in basso). Piero Lissoni racconta la propulsione a idrogeno facendo immergere, con un video, in un mare virtuale. Ci si chiede se la montagna di Mad Architects, metafora del viaggio esplorativo, circondata da acqua, fuori dal Cortile della Farmacia avrebbe lo stesso effetto. Tanto più che nell’Amazing Walk all’interno sono esposti i prodotti di Amazon (al centro). Invece si è sicuri di non essere condizionati dal luogo di fronte all’emozionante installazione di Marco Nereo Rotelli per Bertolotto, azienda che produce porte da interni. E’ un vero carro armato tinto di blu copiativo che sfonda o (è meglio pensare) è intrappolato in una parete dorata con scritte d’amore (in alto).  Immancabili come tutti gli anni le proposte ispirate e legate alla natura dei designer brasiliani. Questa volta non al piano terreno, ma nel loggiato ovest. L'esposizione, presentata da Interni e Gruppo Mondadori, aperta il 15 aprile, chiude il 28.    

venerdì 19 aprile 2024

ZERO TENDENZE, ANZI MILLE

Quello che succede nella moda capita anche nel design. Non ci sono tendenze definite, individuabili. Ce ne sono molte, anzi moltissime. La parola tendenza è superata, ogni proposta è una tendenza che ne abbraccia a sua volta svariate. Lo spiega bene Gisella Borioli    nell’editoriale del Superstudio Magazine, che racconta quello che c’è da vedere al Superdesign Show di Via Tortona dal 15 al 21 aprile. Lo intitola Thinking Different, invitando i visitatori a Pensare Diverso





E la varietà colpisce immediatamente. Sono molte le installazioni con video, le produzioni che utilizzano la stampa 3D, il metadesign, l’intelligenza artificiale.  Ma ci sono anche numerosi incroci, contaminazioni, "interactions", come vengono definite nella newsletter. Ecco i progetti della giapponese Able Space Design Competition, con soluzioni per il domani, come il  micro-monolocale  che ricorda l’abitazione del protagonista di Perfect Days e i vari plastici. Per contro accanto, nel Vietnam Pavilion, in nicchie di bambù colorato, ci sono oggetti di artigianato, cuscini ricamati, vasi, bambolotti e animali giocattolo in lana (foto al centro). Geberit, gruppo svizzero del settore bagno, presenta un coinvolgente video che inneggia ai valori dell’acqua (foto al centro). C’è chi esalta il legno come Next125 o il progetto degli studenti di un’università svedese.  E chi esalta la bellezza della pietra naturale autentica. Surteco, un nome nelle texture per arredo, propone visite virtuali con visori VS.  Simili a quelle che compiono le aziende clienti per scegliere la texture giusta per i loro prodotti. Qeeboo, brand nato nel 2016 dalla creatività di Stefano Giovannoni,  affascina come sempre con i suoi animali (gorilla, conigli, giraffe)con funzione:  lampade, tavoli, sedili. Ma anche cactus-attaccapanni, tutti in rosa (foto in alto). In ceramica e in stampa 3D i Perujis, personaggini archetipi della realtà peruviana, in versione pop art, dell’artista Rafael Lanfranco (foto in basso). 


 

giovedì 18 aprile 2024

VIVA IL VERDE

Tra le collettive, se così si possono definire, più fedeli e più interessanti del FuoriSalone milanese, un posto d’onore spetta sicuramente a Masterly The Dutch. Il luogo scelto per le proposte di designer, creativi e architetti olandesi questa volta è il cinquecentesco Palazzo dei Giureconsulti, affacciato su Piazza del Duomo. 




Il primo impatto può forse deludere. Abituati alle precedenti edizioni nel maestoso Palazzo Turati, dove le avveniristiche installazioni dialogavano con gli affreschi neorinascimentali. Ma poi ci si rende conto di essere meno condizionati dall’effetto contrasto. Non più distratti dalla cornice, si studiano e si apprezzano maggiormente i risultati di certi processi tecnologici come la stampa in 3D. Vedi, per esempio, il bar funzionante, completo di tutti gli accessori,  realizzato da Aectual Design Studio (foto al centro). O vedere come per la Mazzo Blue Collection, la mitica Royal Delft e il designer Arian Brekveld siano riusciti a creare vasi di eleganza avveniristica, mantenendo i dettami della tradizione.  Molte le aziende che puntano sul recupero e il riciclo dei materiali. Tra i progetti più interessanti quello di The Visionary Lab, che rivede l’iconica poltrona di Charles & Ray Eames utilizzando i pezzi difettosi forniti da Vitra e gli scarti di denim di Levi’s.  Il tema del riciclo, del verde, della sostenibilità è dominante in questo fuori salone.  Inaugurata il 14 aprile l’installazione Born in Oasi Zegna. Creata con video, piante, cinguettii, fogliame, ma anche opere d’arte è un piccolo estratto del parco naturale di Trivero nelle Alpi Biellesi 
realizzato dal Gruppo Ermenegildo Zegna. Un’esperienza immersiva che si ritrova nel libro appena uscito Born in Oasi Zegna (foto in basso). Il quartiere Portanuova a Milano  è stato il primo al mondo a ottenere la doppia certificazione di sostenibilità Leed e Well.  Per il verde, la Biblioteca degli Alberi, ma anche per le tecnologie a basso impatto ambientale adottate in edifici come il Bosco Verticale. Per la Settimana del Mobile, Coima studio di progettazione architettonica  e l’architetto Giò Pagani hanno voluto mostrare un appartamento al 16° e 17° piano del Bosco Verticale.  Con il verde dei balconi e i materiali naturali dell’arredo è un perfetto esempio di lusso sostenibile (foto in alto). 

mercoledì 17 aprile 2024

DEL SENO DI POI

Sicuramente è uno spettacolo interessante, che non può passare inosservato. Non a caso Sen(n)o, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano (fino al 21 aprile) scritto dall’inglese Monica Dolan, ha avuto un enorme successo in Inghilterra. Tradotto da Monica Capuani debutta in Italia con la regia di Serena Sinigaglia e la magistrale interpretazione di Lucia Mascino

                           ph.Serena Serrani

I temi sono diversi. Dall’eccessiva cura del corpo fino alla sua mistificazione e alla sessualizzazione precoce, dal diritto alla libertà personale all’educazione dei figli e al rapporto genitoriale, fino ai condizionamenti della società e alla funzione della psicanalisi. Tutti trattati in un modo più che esemplare, quasi esasperato. In scena, dominata da un grande albero senza più foglie, Mascino, nel ruolo della psicoterapeuta impegnata a valutare un caso  particolare. Quella di una madre che ha acconsentito al desiderio della figlia bambina di farsi "regalare" un seno finto. Con tutte le conseguenze che ne derivano. Il modo di condurre il monologo e di raccontare cosa'è successo è realistico, con l’enfasi e la sensibilità giusta, ma è surreale il caso esposto. Com’è possibile che una madre accetti il capriccio di una bambina, come non riesca a impedire un gesto che può mettere in discussione la sua vita e turbare la sua sessualità? Tanto che ci si chiede se questa estremizzazione e drammatizzazione non sia una forma di virtuosismo per far riflettere sulle molte problematiche esistenti riguardo all’educazione sessuale, sempre più distorta dal web e dai social.

  


lunedì 15 aprile 2024

DESIGN A SORPRESA

Ogni anno le cose da vedere al Fuorisalone aumentano. Ogni anno interi quartieri milanesi si aggiungono ai luoghi da anni deputati al design. Le presentazioni anticipano sempre di più, tanto da incrociarsi con Miart, Fiera d'arte moderna e contemporanea e MIA Photo Fair, grande vetrina della fotografia artistica.  Per ribadire il concetto di contaminazione. E’ impossibile seguire tutto, ma non ci si rassegna a fare delle rinunce. Da giorni i negozi si trasformano,  lanciano messaggi sempre più forti e intriganti. 





Da Hermès un manichino con chemisier, borsa a tracolla e sandali, si arrampica su una parete da palestra di alpinismo (foto in alto). La vetrina di Berluti è piena di minuscole poltrone in quella speciale pelle sfumata, tipica delle sue preziose scarpe. Nella boutique di Giada ci sono porcellane cinesi bianche di quattro forme, “rimandano” per l’utilizzo alla cucina italiana e a quella cinese. Impilate formano un fiore, lo stesso che si ritrova disegnato al loro interno e sui capi della collezione moda (foto al centro). Valextra ricostruisce in negozio una beauty farm per le borse, con veri artigiani che lavorano a restaurare i pezzi danneggiati. Interessante anche il macchinario per stampa in 3D che in 20 ore crea delle onde sulla plastica da abbinare alla pelle, in uno di modelli iconici del brand. Da Fendi c’è tutto, dai divani al servizio di piatti, fino al geniale tavolino-bar e al backgammon. Da Gucci il direttore creativo Sabato De Sarno rivede cinque pezzi di design dagli anni 60 ai 90 e in una speciale scenografia crea una continuità tra di loro. Nel percorso tra pareti verde prato s’incontrano i Rosso-ancora:  una cassettiera di Nanda Vigo per Acerbis, un tappeto di Piero Portaluppi, un vaso di Tobia Scarpa per Venini, un divano di Mario Bellini e una lampada di Gae Aulenti per Fontana Arte.  Ma non è solo la moda a sorprendere. In una scatola di vetro in Via Montenapoleone c’è un pianoforte a coda con decorazioni barocche (foto al centro). Non lontano da lì, Promemoria oltre ai bei tavoli in legni pregiati mostra "divertissement" e crea installazioni Come il tavolo Battista pieghevole con intarsi di legno di diversi colori, ispirato alle geometrie di Mondrian. E’ presentato in mezzo ai pezzi di legno, da cui ritagliare i tasselli dell’intarsio (foto in basso). Le sedie con schienale in legno e seduta in pelle, disposte ad arco davanti a uno specchio, creano un’installazione. 


 

venerdì 12 aprile 2024

CHIAMALE, SE VUOI, EMOZIONI

Se l’arte secondo molti deve emozionare, questa ventottesima edizione del Miart, fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, riesce perfettamente nell’intento. Da oggi a domenica a Fiera Milano City, conta 178 gallerie partecipanti(nove più dell’anno scorso) di 28 Paesi. Significativo il titolo No time no space, mutuato da una canzone di Franco Battiato, che fa riferimento  all’obiettivo che i curatori e il direttore del Miart, Nicola Ricciardi, si pongono. Aprire sempre di più ai linguaggi diversi e alimentare il dialogo tra collezionisti, critici, pubblico. Per quanto ci siano, come sempre, le due sezioni Established ed Emergent, all’interno di queste ce ne sono delle nuove che vanno “lette” in modo particolare. 




Non esiste un percorso da seguire, dettato  dagli anni o dalle correnti ma, come suggerisce Ricciardi in un’intervista al Corriere della Sera, bisogna “lasciarsi guidare dagli occhi e dall’istinto”. E le sorprese non mancano. Si può trovare una delle versioni della Venere di Pistoletto o uno dei suoi specchi accanto a installazioni di un giovanissimo emergente.  Le opere di un artista possono trovarsi negli stand di due diversissime gallerie. Come per esempio i soffietti in marmo di Carrara dell’uruguaiano Pablo Atchugarry (foto in alto). Ci sono opere che ti portano in un’altra dimensione, spesso onirica. Piccole come le micro-installazioni del francese Théo Massoulier nella galleria Gaep di Bucarest o enormi come l’impalcatura a cui è appesa tutta una vita, dalla camicia alla sfera, a una sedia asimmetrica, del berlinese Axel Lieber, che vuole invitare il visitatore in un percorso “enigmatico”. L’ironia è molto presente. Dalle credenze-finestre di Lapo Binazzi, ai cani che si confrontano di Daisy Sheff o a quelli di Isaac Lythgoe per la galleria Super Dakota di Bruxelles, con due telefoni accanto a loro e il titolo “Non ricordo cosa mi hai detto la notte scorsa”. Dallo Zimbawe per Osart Gallery di Milano, Franklyn Dzingai propone i suoi collage di cartone, per immagini che ricava da fotografie di famiglia. Strepitose le foto di Thaudiwe Muriu (keniana, classe 1990) esposte da 193 Gallery di Parigi. Sono modelle vestite e con sfondo di coloratissimi tessuti africani, tutte con occhiali strani o oggetti che fungono da occhiali(foto al centro). Le sue foto apparse l’anno scorso al MIA di Milano, saranno alla Biennale di Venezia. Non manca l'horror con gli inquietanti alieni-bambini di Michele Gabriele per Ashes/Ashes di New York, al suo debutto al Miart (foto in basso).


 

giovedì 11 aprile 2024

OTTO DONNE E UNA DICHIARAZIONE

Si legge come un romanzo. Ma non è per questo che Le donne della dichiarazione universale dei diritti umani (Edizioni Manni) di Enrica Simonetti è un gran libro. Il titolo lo colloca nei saggi, non certo nella narrativa, ma già la copertina, con le stilizzate figure femminili così diverse e così vicine una all’altra, fa capire che dietro c’è qualcosa di speciale, raccontato in modo speciale. Le donne sono otto, accomunate dall’aver partecipato alla stesura di un documento sui diritti della persona all’Assemblea generale dell’ONU nel 1948. Le uniche otto donne tra i rappresentanti di 48 Paesi del mondo. Particolare che la dice lunga sulla situazione allora e sul grande lavoro che queste signore hanno fatto e che è stato alla base delle conquiste civili del Novecento. 


E’ interessante, e Simonetti lo mette in evidenza, che queste otto donne provengano da ambienti ed estrazioni sociali diverse, non solo da paesi diversi. In comune hanno, oltre gli intenti e la determinazione, un alto livello culturale che ha reso facile la comunicazione tra loro. E sono proprio i ritratti così ben fatti di ognuna che rendono piacevole la lettura. Simonetti, da ottima cronista qual è (caposervizio alla Gazzetta del Mezzogiorno a Bari), non ha aggiunto o romanzato niente, tutto è frutto di un lavoro di ricerca in biblioteca. Nel suo modo di scrivere è riuscita a renderle figure ben connotate e simpatiche. L’unica conosciuta è Eleanor Roosvelt vedova del presidente degli Stati Uniti, nota per l’impegno femminista e spesso giudicata scomoda nelle alte sfere. Non tutti i newyorchesi conoscono il piccolo giardino in Amsterdam Avenue dedicato, per volere del sindaco Bloomberg nel 2006, a Minerva Bernardino, dominicana che, in mezzo ai sobri tailleur, indossava mises colorate e floreali alla Frida Kahlo.  Sempre in sari l’energica Begum Shaista Ikramullah, prima musulmana a conseguire il dottorato all’Università di Londra nel 1940. Ha ispirato il film Parigi brucia? di René Clement  del 1967, la rocambolesca vita di Marie-Hélène Lefaucheux, che salvò il marito dalla deportazione inseguendo un treno in bicicletta. L’unica tra loro a essere morta giovane, in un incidente aereo. Il libro termina con i trenta articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, riportati integralmente. A cui segue la postfazione a firma di Gabriella Caruso, medico, e del marito Vincenzo Sassanelli governatore del Rotary della Puglia che hanno sostenuto l’idea del libro.  Che, già distribuito gratuitamente nelle scuole in Puglia, è stato presentato ieri a Milano dall’autrice e da Eliana Di Caro, giornalista del Sole 24 ore, alla Kasa dei Libri. Nessuna migliore scelta di location. 


  


VIA CON L' ARTE

Fra arte e design Milano è in grande fermento. Anche perché, come si sa, a differenza della moda che vuole dare al pubblico curioso solo anticipazioni e poca “sostanza” design e arte fanno a gara a coinvolgerlo. Mostrandosi all’esterno il più possibile, aprendo e spalancando porte di gallerie, musei, saloni vari. Tra i primi eventi, importanti e centralissimi perché al Museo del Novecento, quattro mostre.





Una coincidenza commuovente, perché proprio ieri si è celebrato il funerale di Italo Rota, l’architetto progettista del superbo palazzo.  Come si è detto in conferenza stampa, sarebbe stato contento di vedere come il suo museo è sempre più aperto all’esterno, moltiplicando simbolicamente l’effetto delle sue vetrate.  Quattro le esposizioni sviluppate sui quattro pieni, con opere che duettano con la collezione permanente. Come l’intervento site-specific del cipriota Haris Epaminonda (classe 1980), all’inizio della galleria del Futurismo, curato da Edoardo Bonaspetti. L’artista guarda al futurismo  ma non alle opere che esprimono il lato più vigoroso e perfino "machista" della corrente artistica, ma sceglie figure umili con fragilità e sofferenze come il bronzo del Bambino Malato di Medardo Rosso. Che circonda con vari elementi, oggetti non finiti, materiali che parlano di una lavorazione in corso e di sperimentazioni. Al terzo piano s’incontra Off script, personale dell’olandese Magali Reus (classe 1981), vincitrice del Premio Arnaldo Pomodoro, curata da Federico Giani. Da vedere oggetti di uso comune come barattoli di marmellata o di conserve che ingigantiti diventano mostri destabilizzanti (foto in basso).  Al quarto piano, infine, negli spazi degli Archivi del Novecento c’è Ritratto di città: Mariuccia Casadio con libri, documenti e fotografie ricostruisce i settanta anni di storia di cinquanta gallerie milanesi. Tra le fotografie, svariate  quelle di Giovanna Dal Magro: Gillo Dorfles nel 1975 (foto in alto), Franco Vaccari davanti ai Bagni di Milano per l'opera Viaggio per un trattamento completo  all’Albergo Diurno Cobianchi o, di piccole dimensioni, Marina Abramovic in una delle sue performance. Ma Ritratto di città è anche la video installazione di Masbedo, il duo artistico nato nel 1999, a cura di Cloe Piccoli. Un’opera affascinante, non di immediata comprensione. Tutto parte dallo studio di fonologia Rai di Milano aperto nel 1955. Che diventa un laboratorio con performer, attori, musica elettronica per un "ritratto" della città da affiancare a quello della città vera con i suoi rumori (foto al centro).  

mercoledì 10 aprile 2024

QUESTO MATRIMONIO NON S'HA DA FARE

Non si può certo considerare uno spettacolo che trascina. Eppure Spose. Le nozze del secolo, in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego fino al 14 aprile, è un’operina garbata e gradevole che incuriosisce. Scritta da Fabio Bussotti con la regia di Matteo Tarasco, racconta la vera storia d’amore di due donne. L’interessante è che si svolge all’inizio dello scorso secolo e parla del primo matrimonio legale tra persone dello stesso sesso, celebrato nella chiesa di San Jorge, a La Coruña in Galizia.

In scena le brave e convincenti Marianella Bargilli e Silvia Siravo nei ruoli di Elisa e Marcela. Tra  mucchi squadrati di fieno evocano con dialoghi, ricordi, ma anche ricostruzioni da loro interpretate, i vari momenti della vita che le porteranno al processo, fino alla prigione e alla liberazione seguite alla condanna per "travestitismo". Elisa, infatti, per potersi sposare si traveste da uomo con tanto di baffi e Marcela è considerata sua complice.  Nei commenti ottusi della gente, nelle loro reazioni, nelle accuse, non si parla di omofobia e di persecuzione in tal senso. La loro relazione avrebbe potuto rimanere segreta. Non c’era niente di strano in due donne, entrambe maestre, che vivevano assieme.  Ma le accuse partono proprio dalla madre di Marcela, che non gradisce quel matrimonio, come non avrebbe gradito quello con un uomo non scelto da lei o dalla famiglia. Non si legge tanto l’ingiusta condanna dell’omosessualità, quanto la condanna della libertà della persona da una parte e la capacità e la determinazione di ribellarsi dall’altra.  Come hanno detto Siravo e Bargilli è comunque la testimonianza del coraggio di due donne e di come “tanti diritti acquisiti nella nostra epoca siano frutto anche delle battaglie di donne come Elisa e Marcela”. La drammaticità c’è, ma i toni non sono mai sopra le righe. Non ci sono provocazioni o “tirate” femministe, ma la voglia di raccontare una storia d’amore in un contesto miope e meschino, servendosi alle volte perfino dell’ironia.   



domenica 7 aprile 2024

IRRESISTIBILMENTE VERI

Chissà se può piacere ad attori, musicisti, cabarettisti, persone di spettacolo che il pubblico, dopo averli visti in scena, dica che li vorrebbe come amici, per piacevoli serate in casa. Perché è quello che si prova vedendo Non facciamo mai la stessa cosa al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 14 aprile. Dato che il sottotitolo dice Se poi cambia anche il pubblico, siamo a posto è probabile che piaccia a Flavio Oreglio e Alberto Patrucco i mattatori, nonché autori, in scena. Musicisti, attori, conduttori, jazzisti sono entrambi dotati di una comicità e di una capacità di comunicazione colta, brillante, intelligente e mai volgare. Pur non mancando parolacce e doppi sensi. 



Dal sottotitolo viene subito voglia di ritornare a teatro a rivedere lo spettacolo, per sapere se davvero cambia ogni sera. Anche se l’intervento all’inizio di un tecnico, per sistemare il microfono di Patrucco che si capisce subito non funzionare veramente, ha generato la seconda sera una sfilza di battute e dialoghi divertenti, di immediata spontaneità e non preparate. Una prova eloquente che i due lavorano davvero su un canovaccio. Che è in parte quello che leggono su un libro, seduti schiena contro schiena o in piedi davanti a un leggio. Seguono commenti, non necessariamente in riferimento. Sono legati al quotidiano, surreali, modifiche o interpretazioni spassose di frasi convenzionali, battute anche facili, ma sempre in accordo con il loro manifesto d’intenti: “Prediligiamo costruire una dimensione d’ascolto informale, confortevole anche se non confortante, nel segno di una normalità ormai dimenticata - distante dalle urla e dalle esagerazioni del sistema mediatico imperante - che oggi, forse, rappresenta la vera trasgressione”. Notevoli gli intervalli musicali con Oreglio al pianoforte e Patrucco alla chitarra, da Bach a Roberto Brivio (uno dei famosi Gufi) in formula standard jazz.

giovedì 4 aprile 2024

AFFETTO & MORTE

Ci sono pièces teatrali che, con una non buona recitazione, possono essere equivocate, addirittura acquisire un’identità contrastante. Lo Psicopompo in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego è una di queste. Per la forma con cui il tema è trattato e per certi dialoghi potrebbe apparire quasi grottesca o per lo meno al limite del surreale. Confermata in qualche modo dal titolo, ridicolo di primo acchito, per un pubblico non preparato. E invece la superba recitazione di Milvia Marigliano e Dario De Luca, che è anche autore del testo e regista, gli imprimono tutta la possibile, realistica drammaticità. 


Si parla di morte, o meglio di suicidio assistito. Non a caso lo psicopompo in molte mitologie e religioni è una figura a forma di uccello che accompagna le anime dei defunti nell’oltretomba. In scena una donna di una certa età e un uomo più giovane. Lei una professoressa in pensione che vuole morire, lui un infermiere specializzato in suicidi assistiti. Il loro non è un primo incontro, anzi fra di loro c’è un legame fortissimo, forse il più forte dei legami. Anche se non si vedono da molto tempo. C’è ostilità, sarcasmo acido da parte di lei, compassione, voglia di scusarsi e soprattutto di aiutare da parte di lui. Tutto intervallato da domande pratiche della donna e risposte altrettanto di servizio dell’uomo, che vanno dalla scelta dei metodi, al dolore, ai costi, fino alle musiche per accompagnare il momento.  La tensione tra i due si fa più forte, anche se sempre smussata dalla tenerezza, quando lei rivela di non essere una malata terminale, ma di voler porre fine alla sua vita perché è diventata una donna aspra. Riappaiono i ricordi di un passato marcato da una grande tragedia. Emergono i fraintendimenti, le incomprensioni, da cui si capisce perché l’uomo ha scelto quel mestiere. Finale non a sorpresa, quasi un happy end nel contesto della tragedia. Spettacolo da vedere, che fa riflettere con intelligenza sul tema dell’eutanasia e degli affetti.

mercoledì 27 marzo 2024

UNA PICCOLA RIVOLUZIONE

Per anni, anzi decenni, per essere alla moda si doveva indossare certi determinati capi e accessori, non importa se non si adattavano alla persona. Il logo e la firma erano fondamentali, tanto che il mercato delle imitazioni è fiorito a dismisura. Ora sembra che le cose siano cambiate. Si cerca di avere qualcosa che sia unico, e non perché acquistato dall’altra parte del mondo e quindi marcatamente etnico. Si tende a scegliere pezzi che durino nel tempo, che non “stufino” dopo una stagione, anche in linea con una coscienza ecologica.  Questo non significa ricorrere al capo o all’accessorio senza un’idea dietro, ma non volere più il pezzo per far colpo a tutti costi, insomma l’effetto facile.  Non vuole dire bandire la creatività, ma incanalarla in un percorso che tiene conto di funzionalità, appunto durata, ma anche design e fattura.  Questa tendenza la si nota sulle passerelle, soprattutto negli accessori, scarpe, borse, gioielli, perfino occhiali. L’obiettivo è proporre qualcosa che si noti per raffinatezza e cura dei materiali e della costruzione, non più per l’eccentricità. Gli esempi sono in aumento.  



Uno particolare è quello del neonato brand di borse (neanche tre anni) A504, perché vede coinvolte ben due generazioni di donne. Le co founder sono, infatti, due giovani, Donata Ceccarelli (nella foto) e Andrea Isaia con le loro rispettive mamme, Francesca Merloni e Monica Palmieri. Tutto è nato in una camera da albergo appunto la 503, che segue nel nome la A che sta per Autentica. Perché l’obiettivo del brand è creare qualcosa di particolare. Ogni borsa infatti è un pezzo unico realizzato a mano nel laboratorio di Napoli, con artigiani locali. I materiali sono pelli spazzolate o nappate lavorate a mano con concia vegetale, appunto per durare nel tempo. Tutto quindi rigorosamente made in Italy e a Km zero. La prima nata è stata la Mini Me Bag piccolissima con chiusura a pattina, doppio manico regolabile, tracolla amovibile, proprio per adattarsi a esigenze diverse, di donne diverse .  Svariati anche i colori, solo nero e bordeaux per la versione in vernice (v.foto). Prevale il nero per le borse normali, di dimensioni in apparenza ridotte, ma quanto mai capaci.  Con gli stessi criteri la piccola collezione di abbigliamento in preparazione, con i capi essenziali del guardaroba, in pelle, in cotone e in lino, che sarà presentata alla Milano Fashion Week di settembre.

domenica 24 marzo 2024

QUANDO LA CATTEDRA E' SUL PALCO

Una lezione che diventa spettacolo. Quanti studenti, s’intende universitari, la vorrebbero. E anche quanti docenti, magari inconsciamente.  Il mistero di Darwin al suo debutto assoluto al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, fino al 27 aprile, lo è. Sul palcoscenico Massimo Polidoro, giornalista, scrittore, docente universitario, divulgatore scientifico con scritti, premi e un corposo curriculum alle spalle. Nonché autore del testo, insieme a Telmo Pievani. Tema trattato, non certo semplice, Charles Darwin e L'origine delle specie


Un racconto, in gran parte letto, che parte dall’infanzia, con la figura autorevole e condizionante del nonno, prosegue con gli studi, l’educazione religiosa, le letture, i viaggi, le scoperte, le convinzioni difficili da sostenere in un momento storico dove il pensiero che non vede l’uomo al centro del mondo è visto come un’eresia.  Polidoro ha una spiegazione per tutto, con interventi anche di aneddotica ma sempre misurata, o comunque finalizzata. Su una lavagna scrive, disegna, per meglio entrare nella tematica, per fare capire un pensiero. Oltre alla lavagna sul palcoscenico c’è una poltrona di pelle, un grande mappamondo, una scrivania e tredici uccelli impagliati, ognuno originario di un’isola diversa delle Galapagos, si scoprirà dopo. A far da sfondo e dare l’idea di una vetrata, alberi con foglie mosse dal vento e nuvole che passano su un cielo azzurro. Quasi a sottolineare o insistere sull’importanza della natura. Continuo nel racconto di Polidoro il riferimento ai falsi miti e alle leggende intorno alla teoria dell’evoluzione, alla sua continua contestazione, nonostante le sempre più provate conferme scientifiche e le convincenti e documentate affermazioni di Darwin. Il finale, quasi un happy end, fa riflettere sui tanti errori dell’uomo, sulla sua mancanza di umiltà, ma senza presagi di catastrofi, o comunque con una  possibilità di difendersi grazie alla ricerca . E le immagini sullo schermo, che compaiono a sostituire il paesaggio, con ritratti di scienziati, documenti, scoperte, traguardi ottenuti, invitano a sperare bene. Senza mai sottovalutare niente.   


venerdì 22 marzo 2024

LEGGERO COME IL FERRO

Quello che colpisce e intriga delle sculture di Salvatore Cuschera (Scarlino(GR), classe 1958) è la leggerezza, pur lavorando l’artista con un materiale come il ferro che è quanto di più antitetico al concetto di leggerezza. Da ieri al 25 aprile alla Paula Seegy Gallery di Milano sono in mostra, con il titolo Salvatore Cuschera a tutto tondo, una quarantina di sue opere. Sono lavori a parete e installazioni, per la maggior parte inediti, realizzati nell’ultimo decennio dall’artista, che vive tra Italia e Regno Unito. 



 

Alcune sono forme fini a se stesse, che lasciano spazio a possibili fantasie. In altre si intuisce un riferimento a una precisa realtà, confermata anche dai titoli, sempre poetici. Altre sono creazioni che introducono addirittura un movimento. Come l’installazione Seven Sisters, appesa a una parete, fatta di sette pezzi di ferro. In queste sculture la lavorazione ha creato dei giochi di pieni e vuoti che suggeriscono l’effetto di onde. Evocano le scogliere della Manica. C’è del movimento anche nel cerchio in cui sono inseriti dei poligoni che sembrano voler uscire all’esterno. S’intitola Rhapsody in Blue per quel profilo blu che delimita ulteriormente il cerchio. Pur prevalendo le forme geometriche, dato il materiale usato, è possibile anche nelle più piccole sculture vedere una vita, una vibrazione, immaginarle quasi come parte della natura. E tutto questo grazie alla capacità di Cuschera di rendere il ferro malleabile e creare saldature invisibili. “La sua opera è una sintesi di forza primigenia, di bellezza classica e di spirito di modernità: è uno slancio, il suo, verso nuovi orizzonti, dove l’arte plastica del passato e quella del presente si fondono per dare nuovo impulso alla creatività umana” commenta Luigi Sansone curatore della mostra. Completa il percorso espositivo Fra Cielo e terra, serie di opere completamente diverse, create da Cuschera dopo un viaggio in Senegal e Mali. Sono dei riquadri in tessuto con pennellate di colori forti, ispirati ai "bogolanfini", tessuti tipici del Mali,  ottenuti dalla reazione chimica tra cotone e argilla.   


 

lunedì 18 marzo 2024

COSA C'E' IN UNA ROSA?

Molti, milanesi soprattutto, ne conoscono il nome, ma sono pochi a sapere che Rosa Genoni, oltre a essere la prima vera stilista/couturière italiana, è stata una protofemminista convinta, attiva anche in Francia e in Inghilterra e una sostenitrice del Made in Italy. Quel Made in Italy che sembra una scoperta degli ultimi anni. A settant'anni dalla morte, avvenuta nell’agosto del 1954 a Varese, la giornalista Elisabetta Invernici, sempre interessata alla storia della moda legata a Milano, ha creato il Palinsesto Rosa Genoni. Per raccontare non solo la stilista, che allora veniva chiamata sarta, ma anche la donna impegnata.  Molto interessante la struttura del progetto che può essere una guida di Milano, non solo per chi non conosce la città, ma soprattutto per chi della città vuole scoprire particolarità non note ai più. Un altro filo conduttore del Palinsesto Rosa Genoni è l’accento sul femminismo.



Il primo incontro, non a caso, è stato il 14 marzo alla Fabbrica del Vapore, dove si è appena conclusa la mostra Straordinarie.  Aperta il 17 febbraio e curata da Renata Ferri, raccoglie i ritratti fotografici realizzati da Ilaria Magliocchetti Lombi, di 110 donne italiane contemporanee e viventi (con l’unica eccezione di Michela Murgia) che si sono distinte in svariati settori, considerate testimonial dell’empowerment femminile. Qui Invernici ha raccontato della vita avventurosa di Genoni, nata in una famiglia modesta della Valtellina prima di diciotto fratelli, di cui dodici sopravvissuti. A dieci anni, con la terza elementare come titolo di studio, viene mandata ad aiutare a Milano la zia sarta. Da qui inizia il suo lavoro di stilista, che porta avanti insieme alla passione politica e sociale. Invernici ha quindi spiegato che le varie tappe o incontri del percorso si tengono in luoghi con precisi riferimenti a Rosa Genoni. Così il primo, il 16 marzo, un matinée nella sede degli Amici del Loggione del Teatro della Scala, uno dei primi luoghi visti da Rosa, e con il quale lei manterrà contatti, vestendo per le prime della Scala le più titolate signore milanesi. Qui Cristiana Pegoraro pianista, compositrice, poetessa, ha eseguito al piano i pezzi più noti di Mozart, Beethoven, Chopin, Schumann, Brahms, inframezzandoli con piccoli, ben studiati ritratti di ognuno di loro e terminando con la lettura di sue poesie e l’esecuzione al pianoforte di pezzi da lei composti (foto in basso). Come si è detto, seguiranno incontri nei luoghi di lavoro di Rosa, come la Società Umanitaria dove è stata docente alla scuola professionale femminile fino al 1931,  quando si dimise per non giurare fedeltà al fascismo. Ma anche i luoghi che l’hanno ispirata, dall’Accademia di Brera dove dagli abiti dei dipinti riusciva a cogliere dettagli da inserire, rinnovandoli e interpretandoli, nelle sue toilette, al Palazzo del Senato, alla Galleria Vittorio Emanuele, al Teatro Gerolamo, fino al carcere di San Vittore dove aprì una sartoria per le detenute, oltre che un asilo nido e un ambulatorio ginecologico.

domenica 17 marzo 2024

UN' ALTRA MARILYN

Su Marilyn Monroe si è detto e scritto di tutto. E’ stata sicuramente il personaggio del cinema più chiacchierato e non solo per la liaison con presidente e fratello e per un suicidio su cui circolano ancora sospetti e illazioni. Prevale un’immagine di donna superficiale e di certo da giudicare. Marilyn in prima assoluta ieri al Teatro Gerolamo di Milano rivolta tutti i possibili giudizi. E riesce comunque a costruire un profilo dell’attrice ben definito, a cui non fa fatica attenersi. A portare sul palcoscenico lo spettacolo Cinzia Spanò, attrice e autrice del testo. A intervallare le sue letture Roberta Di Mario che al pianoforte esegue brani da lei composti (foto in basso).  



Quello che legge Spanò sono pagine di un ipotetico diario datate del 1962, che si concludono con l’ultima in agosto, mese della morte di Marilyn . Subito è evidenziata la figura di una povera ragazza, Norma Jean, che sogna di diventare attrice, forse per essere finalmente amata. Ma non ha nessun appoggio, non trova sicurezza neanche nella bellezza del suo fisico. Non ha mai conosciuto il padre, un norvegese, ha trascorso l’infanzia fra orfanatrofi e famiglie adottive. E quando la madre la riprende con sé, è una donna malata che finirà la sua vita in ospedale psichiatrico. La paura, il sentirsi inferiore ed esclusa sono le sue sensazioni più ricorrenti. Anche quando incomincia a essere una diva. “Hollywood è un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima” è la frase attribuita a Marilyn, che Spanò riporta. Quello della vita della Monroe è il riassunto  di una vita insulsa, in cui lei non è la protagonista ma un’estranea che la guarda.  Anche l’amore per lei non è mai esistito. Joe DiMaggio, il secondo marito (il primo l’aveva sposato a 16 anni sperando di poter trovare così una famiglia) è geloso, la critica, e a lei preferisce le partite in televisione. Anche la storia con Arthur Miller è un fallimento. Lui non la stima e glielo fa capire, anzi si fa bello sulle loro differenze culturali e mentali.  C’è un accenno ai due fratelli Kennedy, non si capisce se positivo o no. Insomma una lettura drammatica da cui emerge una figura di donna che si avrebbe voglia di stringere fra le braccia e consolare. Vergognandosi di averla non solo criticata, ma anche giudicata. E tutto questo non togliendo niente all’immagine di mito del cinema, come è sempre apparsa. 


 

venerdì 15 marzo 2024

CRONACA DI UNA SEPARAZIONE

Ci vuole audacia per mettere insieme due testi teatrali di autori diversissimi in un unico spettacolo. Anche se la locandina annuncia “liberamente tratto”. Ancora più se si stratta di testi di grandi autori quali Ibsen e Garcìa Marquez, quasi in antitesi tra loro. Soprattutto su una tematica di quel tipo. Se poi si aggiunge che si parla di un monologo di un’ora, lo spettacolo ha davvero il sapore di una sfida. Cronaca di una separazione la sfida la vince in pieno.  



Proprio sulle differenze ha giocato abilmente Roberto Cajafa, regista oltre che autore del testo. Ne viene fuori una particolare ambiguità, che la bravissima Cinzia Damassa riesce a cogliere e comunicare, rendendo lo spettacolo più che mai intrigante. Un susseguirsi di piccole sorprese che creano una suspense. La storia è quella di una donna al 25esimo anno di matrimonio, che lascia casa, marito e figli, proprio quando sono già in corso i preparativi di una grande festa per celebrare l’anniversario. “Per doveri verso me stessa” spiega così l’abbandono la donna. E li racconta, via via parlando del suo rapporto con il marito, di una storia d’amore che, iniziata con tutti i giusti presupposti, è sfumata via, con tradimenti, routine, sbagliati coinvolgimenti. Ogni tanto una voce fuori campo interloquisce, è quella del marito (Roberto Cajafa). Con frasi banali, dettate dalla volontà di trattenerla, ma fredde e poco convinte. Quel marito è anche l’inesistente figura seduta sua una poltrona a cui la moglie si rivolge ogni tanto per le accuse più forti, per rinfacciargli pezzi di vita inutile. Anche la gestualità di Damassa è studiata e convincente, tanto da riempire la scena. Mentre parla si cambia d’abito, rimane in vestaglia e sottoveste, prepara una grande, simbolica, valigia di legno, raccoglie i gioielli per buttarli via. Passa da momenti di lucida determinazione a piccoli istanti di commozione, quasi di rimpianto. La sfiora la rabbia, ma mai esaltata. Non c’è rassegnazione, ma s’intuisce, grazie alla sapiente recitazione,  che c’è stata.  Andato in scena al Teatro Laboratorio di Milano nei primi giorni di marzo, ci si augura che ritorni in altre date.  


giovedì 14 marzo 2024

FASHION VICTIMS, CHI?

Non è semplice parlare di tematiche sociali con uno spirito leggero,  senza cadere nel qualunquismo o nella polemica sterile. Per questo Fashion Victims. L’insostenibile realtà del fashion  prodotto dal Teatro del Buratto, è uno spettacolo assolutamente da vedere. Già il titolo è invitante e incuriosente con quel giocare su frasi fatte ma senza sfiorare il grottesco risaputo. In scena i bravissimi Marta Mungo e Davide del Grosso, autore del testo che ha curato anche i video e la regia (nella foto). 


Coetanei, apparentemente simili, rappresentano le due facce opposte del Fashion. Da una parte il ragazzo in corsa sfrenata all’acquisto bulimico di capi che ritiene fondamentali nella sua vita 
e determinanti per il primo appuntamento con la ragazza da conquistare. Dall’altra la coetanea dell’emisfero opposto che di fashion vive, anzi sopravvive, orribilmente sfruttata, senza diritti e riconoscimenti, fin dalla più tenera età.  All’inizio ognuno dei due ricompone un manichino, che in diversa maniera rappresenta per entrambi il punto centrale della loro vita. Seguono una serie di video proiettati su dei parallelepipedi di tessuto che diventano, di volta in volta, schermi, letti, punti di appoggio. Raccontano con frasi lapidarie la vita, ma anche, con i numeri, i disastri provocati dall’industria della moda.  Qualcosa di cui si sa, ma che con i numeri diventa più reale. Dal fatto che l’industria tessile produca più anidride carbonica del trasporto ferroviario, marittimo e aereo messi insieme, al fatto che la produzione di capi dal 2000 sia più che raddoppiata, ma i capi vengano indossati meno della metà del tempo rispetto al passato. Tutto questo comporta uno sfruttamento insano del pianeta: dai pesticidi, i diserbanti, i coloranti, che danneggiano la natura e gli animali che ci vivono, allo spreco dell’acqua, fino al lavoro nero che coinvolge le popolazioni più povere, bambini compresi. I due attori commentano, cantano, ballano, mimano fino ad arrivare alla fine dello spettacolo a coinvolgere il pubblico, in un dialogo "suggerito" fra uno spettatore e una spettatrice. Lo spettacolo è in scena dal 12 al 16 marzo al Teatro Verdi di Milano. 


 

martedì 12 marzo 2024

UNA PARENTESI CHE CONTA

Quel "Tra parentesi", realmente tra parentesi, del titolo che precede La vera storia di un’impensabile liberazione,  anticipa in modo chiaro e appropriato lo spettacolo al Teatro della Cooperativa di Milano. Che, dopo la prima edizione del 2018, per il quarantennale della Legge Basaglia, riprende ora per i cent’anni dalla nascita del rivoluzionario della psichiatria.  Racconta, appunto, gli anni in cui la malattia mentale fu messa tra parentesi. Quando si incominciò a pensare di chiudere i manicomi e far tornare i cosiddetti matti, internati senza un nome e una dignità, persone e cittadini liberi, da curare. 


A parlarne sul palcoscenico, seduti su una panchina come nella precedente edizione, non due attori ma Massimo Cirri e Peppe Dell’Acqua. Il primo drammaturgo, conduttore radiofonico, nonché psicologo nei servizi pubblici di salute mentale da 25 anni (a destra nella foto).  Il secondo psichiatra e docente di psichiatria a Trieste. Ma soprattutto tra coloro che hanno lavorato a fianco di Franco Basaglia, contribuendo alla nascita dei primi dipartimenti di salute mentale.  Non è ancora laureato, racconta Dell'Acqua, quando entra nel 1971 nel manicomio di Trieste di cui è diventato direttore Basaglia. Che dal 1961 come direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia "sta scommettendo il suo potere per cambiare ogni cosa” nel trattamento dei malati mentali. Dell’Acqua procede nei ricordi, interrotto dalle domande centrate di Cirri, talvolta anche sul filo di un’amabile ironia, ma sempre ben recepite. In certi momenti la narrazione sfiora il surreale. Quando si parla, per esempio, di quel cavallo, Marco Cavallo, costruito da due artisti nel manicomio di Trieste, che viene  portato in corteo per le vie della città, come simbolo della  liberazione. S’intrecciano aneddoti sui ricoverati. Tutto inframezzato da collegamenti con la situazione italiana. Fino al maggio del 1978, subito dopo il delitto Moro, quando il Parlamento approva la legge 180 che “ridisegna lo statuto giuridico dei malati di mente e stabilisce la chiusura degli ospedali psichiatrici”.  Quello che emerge dalla narrazione  è la volontà di Franco Basaglia, che continua a essere supportata, di creare una società che contenga sia la normalità che la follia, con la possibilità di dialoghi, scambi, incontri con"l’altro". 
Lo spettacolo, al Teatro della Cooperativa fino al 13 marzo, prosegue in tournée per l’Italia.   


 

venerdì 8 marzo 2024

SHAKESPEARE IN VIOLENCE

S’intitola solo Lucrezia preceduto da Shakespeare 2.0 lo spettacolo, in scena soltanto ieri, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano.  S’ispira al poema Lo stupro di Lucrezia, scritto dal grande drammaturgo nel 1594 per il duca di Southampton e ispirato a sua volta alla figura di Lucrezia, vissuta alla fine del VI secolo AC e moglie di Collatino, parente dell’ultimo Re di Roma. Nessuna scenografia e nessuna azione. Sul palcoscenico due attori con i loro leggii da voci recitanti. Sono i bravissimi Claudio Santamaria e Francesca Barra (nella foto) che si alternano nella lettura, con intervalli di musiche da Bach a Paganini, a Piazzolla dello straordinario violino di Davide Alogna.


Santamaria espone i fatti e cioè l’atroce stupro della nobile Lucrezia, moglie virtuosa, perpetrato con subdoli raggiri da Sesto Tarquinio, figlio di quel Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma. Una violenza che porterà la donna al suicidio. In risalto il machismo più bieco, la voglia di provare il proprio potere di maschio, ancora più di soddisfazione perché su una donna bella e fedele al marito. Barra interviene con considerazioni, osservazioni e commenti che riportano sempre di più all’attualità e al quotidiano. Fino ad arrivare a ricordare episodi di femminicidio e di violenza nei confronti delle donne, apparsi sulle cronache. Nell’insieme un racconto senza retorica, equilibrato, alle volte perfino freddo e proprio per questo capace di colpire maggiormente al cuore. E a far riflettere e pensare all’ orribile fenomeno della sopraffazione sulle donne, che nei secoli continua a esistere. 

giovedì 7 marzo 2024

I CORPI PARLANO

A vederli così al primo impatto e con uno sguardo superficiale sembrano dei paesaggi, in qualche modo sublimati. La riva di un fiume con i sassi, un campo di fiori visto dall’alto, una spiaggia sul mare, il greto di un fiume con poca acqua.  In realtà i dipinti di Aldo Salucci, in mostra all’A.MORE Gallery di Milano, raccontano qualcosa di diverso.  Dietro, oltre a un attento studio, c’è un invito a guardare il mondo e soprattutto la vita umana e il dolore con un altro occhio. 




Come anticipa il titolo della personale Corpi in attesa, il punto di partenza delle opere è la biologia e l’anatomia umana. L’artista  parte da immagini di cellule malate viste al microscopio, ingrandite e fotografate. Su queste ha applicato colori accesi, materiali e reagenti chimici. Oltre che una polvere d’oro, ispirandosi alla tecnica giapponese del riparare con l’oro, usata dai ceramisti per riparare, appunto, le tazze della cerimonia del tè.  Gli interventi con la polvere rappresentano il modo per ricucire le ferite e le lacerazioni di questi corpi. A significare che “dall’imperfezione e dalle ferite può nascere una forma maggiore di perfezione estetica e interiore”. Come scrive Domenico De Chirico, curatore della mostra, “In questo modo Salucci ci suggerisce di penetrare nel dolore e di leggerlo in tutta la sua disumanizzante autorità”. Al di là del messaggio positivo che invita a guardare con speranza al futuro e a “stigmatizzare il dolore” le sue opere attraggono, invitano alla contemplazione. Si ha voglia di guardarne i particolari come gli spazi bui, non coperti da pittura.  E anche immaginare, se si vuole, possibili paesaggi. La mostra aperta oggi all’A.MORE Gallery, in Via Massena a Milano, chiude il 31 maggio. 


 

domenica 3 marzo 2024

LA SIGNORA IN ROSA

Ma chi è questa bionda signora in rosa dagli occhi azzurri, forse un po’ troppo tirata? Potrebbe sembrare, anzi è la mamma (o la nonna?) della Barbie.  Ma non di quella in carne e ossa e quindi sostenibile, al secolo l'attrice Margot Robbie. Che per chissà quale pensata o scherzo del politically correct non è candidata all’Oscar come miglior attrice per il film, campione di incassi, Barbie. E’ invece la vera Barbie, Barbara Millicent Roberts in plastica, la bambola più venduta nel mondo (pare che ne vengano vendute tre al secondo), nata il 9 marzo del 1959 nel Wisconsin.

 
Per il suo sessantacinquesimo compleanno l'intelligenza artificiale ha immaginato come potrebbe essere ora a quest'età, non diciassettenne, come è nata ed è sempre stata. Il ritratto è stato esposto per la prima volta all’inaugurazione della mostra Toystellers-Forever Young dal libro di Federico Ghiso, copywriter, direttore creativo, nonché collezionista di giocattoli, con i ritratti dei giocattoli mostrati con il loro volto da bambini. Barbie è la bambola "forever young" per eccellenza, nata per prima non come bebé, ma come una diciassettenne,  nel tempo è stata tutto. Da hostess ad astronauta, a pilota, fino a Presidente degli Stati Uniti. Si è circondata di 38 animali: gatti, cani, cavalli, un panda, un leone(cucciolo), una zebra e perfino un’orca, con lei in costume da bagno. Ha guidato discutibili decappottabili rosa, ma anche camper ovviamente rosa, come la sua casa. Oltre al fidanzato Ken, che però non ha mai sposato, ha moltissime amiche che le assomigliano, da Julia afro-americana a Becky disabile. “Barbie nel tempo ha superato tutti i generi d’ inclusione, perché bambine e bambini possano riconoscersi in lei e sentirsi rappresentati. Eppure c’è ancora un tema che rimane tabù nel mondo Barbie: l’età. Grazie all’intelligenza artificiale ho voluto provare a immaginare come potrebbe essere il suo volto oggi” ha detto Ghiso. Per chi vuole vedere il ritratto, questo sarà il 10 marzo  dalle 16 alle 19 all’evento Happy Birthday Barbie all’interno dell’esposizione permanente Fashion Doll Revolution  (Viale Mazzini 117 Roma) con oltre 2mila modelli di Barbie. L’intera collezione di ritratti di giocattoli della mostra Toystellers-Forever Young sarà, invece, dal 7 giugno all’8 settembre a WOW Spazio Fumetto–Museo del Fumetto, dell’Illustrazione e dell’Immagine animata, a Milano.