venerdì 28 ottobre 2022

FARSESCO, REALISTICO, ANZI ASSURDO

Teatro dell’assurdo? Commedia? Farsa? Opera drammatica? Il compleanno di Harold Pinter in prima nazionale al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano dovrebbe appartenere al primo genere, ma in realtà è un mix di tipi di teatro. Almeno è quello che appare nell’interessante regia di Peter Stein. Ed è forse questo che rende lo spettacolo così avvincente. 


Tutto si svolge nella sala da pranzo di una pensione sul mare gestita da una coppia di mezza età, Meg e Petey (Maddalena Crippa e Fernando Maraghini). All’inizio un quadro quotidiano di un ambiente piccolo borghese, dove tutto procede con dialoghi all’insegna della banalità, domande e risposte ovvie, luoghi comuni che suscitano risate. Quando scende per colazione il giovane Stanley (Alessandro Averone) unico ospite al momento, lì da un anno, l’atmosfera incomincia ad animarsi. Il personaggio incuriosisce e stupisce il suo rapporto con Meg, in certi momenti materna e accudente in altri severa e giudicante, ma in modo insulso. Il tono è ancora farsesco, ma lascia trapelare qualcosa di stonato. Poi a poco a poco con l’arrivo di due tipi un po’ equivoci (Gianluigi Fogacci e Alessandro Sampaoli) la situazione cambia, si fa inquietante, si avverte sempre più la presenza di questioni irrisolte. Per arrivare a poco a poco a momenti di suspense che sfiorano l’horror, durante la festa organizzata la sera per il compleanno di Stanley, a cui partecipa anche la giovane e provocante Lulu (Emilia Scatigno). Il giorno dopo finale a sorpresa, dove le carte vengono scompigliate e il teatro dell’assurdo si fonde con la commedia. Straordinaria la regia di Stein che dà una sua impronta al lavoro pur nel rispetto totale del testo, tanto da arrivare a inglesizzare le parole italiane , riducendole all’osso, per renderle più simili a quelle inglesi.  Sa mantenere quei mezzi musicali tipici di Pinter, come il fischio o la canzoncina. Non rende mai estremi i ruoli,  per non far perdere la credibilità. Notevole soprattutto la sua capacità di armonizzare le relazioni umane. Come hanno detto gli attori, tutti bravissimi ed entusiasti di aver lavorato con Stein. Con una preparazione  davvero particolare. Hanno vissuto, infatti, tutti insieme in una casa che il regista ha in mezzo alla campagna umbra, provando nel suo teatro personale. Il compleanno sarà al Teatro Menotti Filippo Perego fino al 13 novembre, per proseguire in tournée in varie città italiane fino a marzo.

mercoledì 26 ottobre 2022

PICCOLI SOGNI SOTTOVETRO

Un altro viaggio con i dipinti di Gian Piero Siemek.  Da vedere, come il primo,  nel suo studio di architetto a Milano. Il viaggio, questa volta, è in Italia. Niente architetture o paesaggi, ma mercati e vetrine a Milano e soprattutto nel Monferrato tra Asti, Casale e Moncalvo.  Un viaggio anche nel tempo, perché, come scrive Antonello Negri nel testo 




d’accompagnamento "Se i mercati si allestiscono sempre, le vetrine continuano a esistere, ma quelle scelte da Siemek, tutte riprese dal vero, sono destinate a scomparire presto. Con il loro sapore di vecchio, un po’ polveroso”. Ed è anche questo che dà alle tempere quell’impronta, come scrive Negri, da realismo magico. Se nei mercati il filo conduttore, quasi sempre presente, sono i raggi degli ombrelloni sopra i banchetti, nelle vetrine lo sono i colori rivisti dall’artista, come fossero stati attenuati dal trascorrere degli anni. Per quanto la loro riproduzione sia perfetta, quasi fotografica, gli oggetti diventano protagonisti surreali. Ognuno di loro sembra voler raccontare una storia che va al di là della funzione o dell’uso comune. Così i coltellini svizzeri, con il loro corpo rosso e le tante lame come teste, simulano curiosi animali pronti ad attaccare. I cappelli per signora, come riporta l’insegna, sui loro trespoli si trasformano nei fiori di una strana pianta.  Nella sartoria, in quelle cuciture incomplete sulle giacche, 
si sentono le tracce di un passaggio umano. I reggiseni hanno dei richiami onirici, ben giocati con luce e ironia.  La mostra Vetrine e Mercati 1 è davvero da non perdere. Inaugurata ieri, è visitabile  da martedì a domenica  fino al 17 dicembre,  dalle 14,30 alle 18,30,  in Via Ripamonti 103. Per appuntamento 02536217, 3339390112.


martedì 25 ottobre 2022

VITE VENDUTE

Se ne sente parlare e se ne legge non spesso, ma abbastanza di continuo. Eppure il traffico di esseri umani è uno degli orrori del mondo che tendiamo a nascondere a noi stessi. Abbiamo paura di saperne di più. La mostra fotografica Schiavi invisibili, alla Biblioteca  Chiesa Rossa di Milano, ci avvicina all’argomento nel giusto modo. Le foto in bianco e nero di Alessandro Fodella docente universitario, non mirano a colpirci con effettacci. Vogliono informarci con quella sensibilità che meglio aiuta a capire e a suscitare reazioni che potrebbero rivelarsi anche costruttive. 





Le immagini, soprattutto ritratti, si riferiscono alla Cambogia, anche se le storie che trattano sono dovunque nelle zone più povere del mondo, con lo stesso substrato culturale e sociale. Dietro a ogni foto c’è la storia di un viaggio alla ricerca di una vita migliore, un sogno brutalmente infranto, il dramma della delusione che segue all’illusione. Molto spesso con il tradimento da parte di altri esseri umani nei quali si confidava. Come ben riassume in quel testo di presentazione il Professor Fodella. E i casi riguardano soprattutto le persone più deboli, giovanissime donne costrette alla prostituzione, di cui si intravvede solo la figura in un contesto notturno. Ma anche bambini strappati alle madri per diventare oggetto di orribili traffici. Poche fotografie ma di tale intensità che è difficile  pensare a un quadro più drammatico e coinvolgente di questo.
 La mostra, che chiude il 5 novembre, è un’occasione per visitare, per chi non la conosce, la Biblioteca Chiesa Rossa, ricavata in una tipica cascina lombarda del Seicento. Con un’ottima selezione di libri, più di una sessantina di posti per la consultazione, un’area per i bambini con le pareti affrescate con l’arca di Noé. Il tutto in un piccolo parco con prati ben tenuti, alberi secolari, svariate panchine, due aree cani affiancate. E un calendario fitto di eventi. 


lunedì 24 ottobre 2022

CHIAMALE, SE VUOI, EMOZIONI

Più che una mostra Le Pietà di Michelangelo.Tre calchi storici per la Sala delle Cariatidi, appunto nella Sala delle Cariatidi di Milano, si può definire un’installazione in movimento, anzi meglio un vero e proprio spettacolo. Dietro al quale, oltre alla collaborazione fattiva di Comune di Milano, Comune di Firenze e Musei Vaticani, c’è lo straordinario progetto artistico di Massimo Chimenti e gli allestimenti dell’architetto Valter Palmer.   



I tre calchi storici delle tre Pietà sono un’occasione unica per conoscere il percorso artistico di Michelangelo. Dalla Pietà Vaticana che rivela l’entusiasmo di un Michelangelo poco più che ventenne alla Pietà Bandini del Museo dell’Opera di Firenze, dove lo stile meno ridondante e la grande drammaticità narra di un artista più maturo e tormentato, fino alla Pietà Rondanini, ora al Castello Sforzesco di Milano, un “sublime non finito” su cui il Buonarroti lavorò fino poco prima di morire, con alcune parti, chissà se di proposito, rimaste incomplete. Ma anche i calchi hanno le loro storie da raccontare, non solo attraverso i pannelli esplicativi, ma con le proiezioni e le elaborazioni digitali sui teli, alti come la sala, che fanno da sfondo a ogni scultura e aiutano a cogliere i dettagli delle opere.  Perfetta la scelta della musica, tra il mistico e il minimalista, un ben studiato sottofondo capace di scandire il tempo in sintonia con le luci che creano una significativa penombra. Ma molto del pathos è da attribuire alla Sala delle Cariatidi. Un luogo di grande impatto emotivo che con i muri un po’ scrostati e volutamente non restaurati vuole ricordare le offese della guerra, in aperto contrasto con lo sfarzo delle volte e dei preziosi lampadari di Palazzo Reale.  La mostra, aperta il 22 ottobre, chiude l’8 gennaio. L’ingresso è gratuito.    

venerdì 21 ottobre 2022

WARHOL COLPISCE ANCORA

Non sono molti gli artisti contemporanei di cui si sono viste così tante mostre e in così tanti luoghi, come Andy Warhol. E non dipende certo dal suo essere stato artisticamente prolifico. Eppure capita ancora di scoprire in sue personali qualcosa di nuovo o, se già visto, raccontato con un allestimento in modo inedito. Andy Warhol. La pubblicità della Forma alla Fabbrica del Vapore di Milano, da domani al 22 marzo, è una di queste. Da vedere più di trecento opere suddivise in sette aree tematiche e tredici sezioni. Dai primi lavori come illustratore, soprattutto per la moda, negli anni ’50 fino alle opere degli anni ’80. Dai primi, tra l’altro, si scopre un suo straordinario tratto. Interessanti accanto a questi le didascalie con le osservazioni di Warhol. Alcune divertenti, come quelle sulla promozione di scarpe rapportate ai compensi. 





Ad aprire l’esposizione la BMW Art Car dipinta da Warhol (con tanto di video della sua realizzazione) perfetta per interrompere l’ovvietà delle varie Marilyn intorno. Straviste certo, ma sempre con qualche nuova caratteristica come del resto gli stravisti Mao. Comunque il concetto del ripetitivo concorda perfettamente con la concezione artistica di Warhol.  Che come dice di lui Achille Bonito Oliva, curatore della mostra con Edoardo Falcioni, è un vetrinista felice. Una definizione per niente sminuente, ma che mette in evidenza la volontà di Warhol di fare bene le cosetrasmessagli dal suo radicato calvinismo, per cui con la ripetizione riesce sempre a migliorare. A questo proposito il critico cita anche la sua aspirazione a essere una macchina per poter ripetere all’infinito. Con questo suo approccio il Raffaello della società dei consumi di massa americana, continua Bonito Oliva, riesce a dare dignità alla neutralità dell’immagine. Accanto alle più conosciute tele e serigrafie su seta, cotone e carta, molti dischi, un computer Commodore con sue illustrazioni digitali, anticipatrici dei NFT, le mitiche scatole di Brillo con un manichino che veste il marchio. Svariate foto polaroid con ritratti di personaggi più o meno noti e una macchina polaroid con la custodia in pelle con la sua firma. E poi ancora la ricostruzione sintetizzata della Factory con un troneggiante divano rosso (foto in alto). Un po’ effetto facile, ma giusta nel contesto, l’installazione con enormi fiori stile Warhol illuminati da luci cangianti (foto al centro). Andy Warhol. La pubblicità della Forma dà il via "a una stagione per la Fabbrica del Vapore di mostre e attività culturali all’insegna della sua nuova missione di centro d’arte contemporanea” ha scritto Maria Fratelli, dirigente Unità Progetti Speciali e Fabbrica del Vapore. Prossima tappa l’arte trasversale di Zerocalcare. 

  





mercoledì 19 ottobre 2022

RELATIVAMENTE A EINSTEIN

La scena all’apertura del sipario è uno spettacolo di per sé. In primo piano un tronco d’albero rinsecchito e contorto, nel fondale il video di un cielo azzurro intenso, con grandi nuvole che si spostano. Poi entra la protagonista, sola sul palcoscenico, vestita di rosso. Siamo al Teatro Menotti Filippo Perego alla prima di Einstein & me. Me è lei, la signora in rosso nei panni di Mileva Maric, la moglie del più grande genio di tutti i tempi, Albert Einstein. A interpretarla Gabriella Greison, autrice della pièce e del libro omonimo da cui è stata tratta. E fisica, proprio come Mileva Maric. 



La storia che racconta è quella di un amore, tra la sconosciuta Milena ed Einstein. Una storia vera, a cui Greison è arrivata con ricerche, documentandosi in vari archivi soprattutto delle università di Zurigo, dove i due si sono conosciuti e di Heidelberg dove Maric ha proseguito i suoi studi, da auditrice, senza potersi laureare perché donna. Dietro la vicenda dei due il racconto della condizione femminile degli inizi del ‘900, che precludeva ogni possibilità di studi scientifici anche a donne dotate. Dal monologo emerge il ritratto di una persona intelligente, determinata, desiderosa di capire il mondo attraverso la fisica, appassionata di formule matematiche, capace di rintracciarle dappertutto. Negli angoli di un palazzo, come in una pizza. Perché tonda su un piatto quadrato da tagliare a triangoli. Ogni tanto la voce di Einstein, interpretata da Giancarlo Giannini, interrompe il monologo.  Conosciuti sui banchi del Politecnico di Zurigo Albert e Mileva s’innamorano e si amano per vent’anni, hanno tre bambini di cui il primo morirà appena nato. Studiano e ricercano insieme anche per quella che diventerà la teoria della relatività. Lui è tenero, la chiama bambolina, la vuole sempre vicino a sé e poi improvvisamente dice di non amarla più. Lei deve solo tenere in ordine la casa e il suo guardaroba e occuparsi dei figli. Lui non vuole più parlare con lei, sedersi vicino a lei in pubblico, a meno che lo richieda un’ occasione ufficiale. Ne emerge il ritratto di un Einstein bieco maschilista, invidioso delle capacità intellettuali della moglie. Eppure Mileva non si accanisce contro di lui, si limita a esporre i fatti, anche con un velato humour.  Si può intuire una forma di competitività di Einstein nei suoi confronti, ma non è lei a metterla in risalto. Sono le dinamiche di un rapporto di copia che non costituiscono un caso isolato. “Il finale della storia, dice Greison, è un viaggio nel futuro, ancora aperto, ancora da scrivere”. Lei stessa ha fatto richiesta al Politecnico di Zurigo per dare una laurea postuma a Mileva Maric. Nel 2018 è stata rifiutata, ma con il nuovo rettorato potrebbe essere accettata. Einstein & me è in scena al Teatro Menotti fino al 23 ottobre.  

venerdì 14 ottobre 2022

SIPARIO !

E’ sempre ben accolta l’apertura di un teatro in questo momento post pandemia in cui Tv, Netflix e compagnia sembrano fagocitare tutto il tempo libero. Se poi il teatro si pone con requisiti non comuni lo è ancora di più. E’ il caso dell’Osoppo Theatre Valentina Cortese, a Milano, che apre la stagione il 27 novembre. 


Nato dalla ristrutturazione di un teatro parrocchiale è il primo teatro al mondo dedicato alla grande diva. Poltrone(299) e tende in velluto blu, palcoscenico di 70 metri quadri, grande atrio con guardaroba, foyer con bar adiacente al centro culturale. Anche questo fatto è un plus del teatro, che diventa un vero punto d’incontro del quartiere. Oltre al centro culturale e al centro sportivo annessi alla Chiesa, è anche cinema d’essai. 

A fare da direttore artistico l’attore e regista Antonio Zanoletti, con una carriera nata sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Strehler, sostenitore del progetto condiviso con la giornalista Elisabetta Invernici, che da anni si dedica al ricordo della diva. Non convenzionali le scelte per il calendario della stagione 2022-2023 che punta sui grandi autori, con un particolare taglio storico. “Nostra ferma intenzione è cercare la verità nel testo, in ciò che gli autori…o le vicende che si affrontano pongono con onestà e sapienza, senza bizzarrie e disinvolte sovrapposizioni” spiega Zanoletti. Emblematico l’inizio con Monaca di Monza, che attraverso gli atti del processo a Suor Virginia Maria de Leyva racconta la vera storia del personaggio manzoniano, realmente esistito. In Scene dall’Amleto, tra le note figure shakespeariane si intravvede la vita del Bardo. Con L’innesto di Luigi Pirandello si tocca il tema della violenza sulla donna con una verità non detta espressamente, ma che va scoperta. Amarsi molto di Francois Mauriac, portato in scena alla fine degli anni ‘50 da Valentina Cortese, mette l’accento sui sentimenti d’amore, ma anche sul disfacimento della famiglia. La stagione del teatro, che vede sul palcoscenico gli attori della Piccola Compagnia, termina a fine maggio con Le intellettuali di Molière, testo pochissimo rappresentato. Comprende anche una serie di eventi culturali e di svago che coinvolgono il quartiere. Dallo spettacolo di clown e artisti di strada del Teatro del Cerchio sugli anni ‘70 al concerto di Natale, alla riscoperta del Manzoni attraverso la descrizione dei suoi paesaggi.  E due mostre, una su le Pietà di Michelangelo, che svela l’esistenza di una quarta oltre le tre note, e una su Valentina Cortese.


giovedì 13 ottobre 2022

CROMATICHE APPARENZE

Il nome De Wan è legato alla moda. Il negozio a Milano in Via Manzoni, come quelli di Torino e Montecarlo, sono un punto di riferimento per gli accessori e non solo. Di uno stile classico ma senza nostalgie, di livello, senza essere sopra le righe. Con materiali di qualità e lavorazioni accurate, garantite da un autentico made in Italy. Il tutto con un non trascurabile ottimo rapporto qualità-prezzo.  Ora questo nome compare su un gonfalone-insegna di una mostra sull’imponente portone della Biblioteca Nazionale Universitaria in Piazza Carlo Alberto, a Torino (foto sotto). E non è un caso di omonimia. 




L’artista di cui sono esposte le opere nella Sala Mostre Juvarra è Roberto De Wan, imprenditore e amministratore delegato della De Wan (nella foto al centro con una sua opera). La rassegna personale dal titolo Cromatiche apparenze, dal 9 ottobre al 4 novembre, comprende una cinquantina di oli e acrilici su tela che vanno da ritratti a paesaggi sempre sfumati, a figure  mitologiche che diventano visioni oniriche, a un quasi autoritratto La Dame Rouge  con un nudo di donna, sullo sfondo di Porta Nuova a Milano e De Wan e la moglie Roberta a lato. Dipinto che è l’immagine guida dell’esposizione ed è riportato solo in parte sulla copertina del catalogo. Una varietà quindi di soggetti che, come scrive Angelo Mastrangelo, curatore sia della la mostra che del catalogo, racconta la volontà dell’artista di “trasmettere una misura espressiva senza condizionamenti, senza limiti nel consegnare e consegnarci il senso profondo della lettura e interpretazione delle quotidiane percezioni”. Forse per questo alcuni dei suoi dipinti, riportati su carré di seta, diventano intriganti e apprezzatissimi foulard. E ieri sono comparsi, durante la presentazione della nuova collezione nel negozio milanese di De Wan, sui deliziosi dolci con pasta di mandorle della storica pasticceria Florio di Torino (foto in basso).    


mercoledì 12 ottobre 2022

PARK ART

La moda al servizio della città. Non ha niente a che vedere con i grandi schermi in punti strategici di Milano per la Fashion Week o le sfilate aperte a tutti. Questa volta l’intervento riguarda la riqualificazione del Parco Ravizza. Un grande giardino pubblico di cui pochi milanesi, anche doc, conoscono la storia. Realizzato nel 1902 è intitolato ad Alessandrina Ravizza, benefattrice e attiva femminista ante litteram, ha una notevole varietà di alberi. Dall’acero americano a varie specie di quercia, dal cedro deodara dalla curiosa forma piramidale al platano, dall’asiatico sophora al tiglio, al pioppo nero, all’olmo, eccetera. E’ anche citato nella canzone Quando ero giovane di Franco Battiato, come luogo deputato degli incontri sessuali a pagamento negli anni '60 e '70. Da tempo solo un ricordo. Ora ha tre grandi aeree cani e una fornita area giochi per bambini, perfino un tavolo da ping pong per i più grandi. Lo tagliano viale Brahms e largo Beethoven, lo delimita, chiuso alle auto dagli anni '60, Viale Bach. 




Proprio qui, esteso su circa 2mila metri quadrati di asfalto, è stata inaugurata a fine settembre La città della moda, opera di Luca Font, classe 1977, street artist e noto tatuatore. Sono un insieme di coloratissime figure geometriche che si alternano e si compenetrano con altre più irregolari, ognuna delle quali sembra dirigersi verso le varie zone della città, per raccontare proprio come la moda si sviluppa ed è viva in tutta Milano. Intorno predisposti spazi con otto attrezzi per fitness e allenamenti vari, tutti in materiali riciclabili, con un pannello e immancabile QR code per spiegazioni e consigli autorevoli. Dietro l’iniziativa McArthurGlen Serravalle Designer Outlet, che non è nuova a finanziare questo genere di interventi. Mesi fa ha contribuito a un progetto di riqualificazione urbana, a Padova, in Piazza del Volontariato. A raccontare il progetto milanese una mostra fotografica nell’area del corridoio centrale del Serravalle Designer Outlet.

martedì 11 ottobre 2022

RACCONTI A SCATTI

Una mostra che fa da contorno a un libro. Proprio al contrario di quello che succede normalmente, per cui è il catalogo a fare da completamento alla mostra. S’intitola come il libro Il viaggio nel viaggio tra pellicola e pensiero, la mostra fotografica di Giulio Andreini, da ieri fino al 31 ottobre alla Biblioteca Sormani di Milano. Questa volta le foto sono venti delle 65 del volume. Ma il racconto a immagini è già completo, esauriente. Si ha difficoltà a pensare che possa esserci ancora altro e interpretato con quel particolare punto di vista, che è appunto tra pellicola e pensiero. 




Perché le foto di Andreini sono un giro del mondo in cui protagonisti non sono paesaggi, città, bellezze artistiche ma ritratti di persone, alle volte rappresentative del luogo, altre slegate dal contesto, anche se solo apparentemente. Se un’immagine del palio di Siena, dove è nato e vive Andreini, rimanda immediatamente alla città, quello di due spettatrici  entusiaste non lo è altrettanto. Nella foto di due turisti a un museo con l’auricolare-guida i soggetti sono loro, non la statua vicina. Se i tangueri raccontano l’Argentina e le evoluzioni dei ragazzi palestrati sulla spiaggia possono far pensare al Brasile, i riferimenti non sono mai ovvi. Quanto al bambino in una scatola di cartone che vende i suoi giornalini, fotografato a Grosseto, potrebbe davvero essere in mille parti del mondo. E questo perché dietro ogni foto si può davvero individuare o costruire un racconto.  Come scrive Mosé Franchi, che ha curato la mostra e i testi del libro ”Le immagini non rappresentano trofei d’autore e neanche souvenir di viaggio, ma piccoli racconti sui quali indagare”.  E curiosamente nei volti, appunto nei ritratti delle persone così diversi tra loro, c’è qualcosa che li accomuna. Può essere un sorriso, uno sguardo, un gesto che l’autore è riuscito a cogliere senza voler mai giudicare, imporre un taglio, lanciare un messaggio.  Le foto sono state realizzate tra il 1981 e il 2003, quindi sono tutte in pellicola, come dice il titolo. In ogni didascalia, oltre che l’anno e il luogo dove è stata scattata la foto, c’è il tipo di pellicola usata.  La mostra, ma con quaranta foto, è già stata all’Image Academy di Brescia e alla Fine Art Images Gallery di Chieri(Torino). Prossimamente sarà a Bologna. 


giovedì 6 ottobre 2022

L' ISOLA DEI TESORI


Anche la navigazione per arrivare a Illa del Rei è un’esperienza da provare a Minorca. Dal porto di Mahon si attraversa quell’incredibile insenatura a forma di fiordo, così inconsueta nel Mediterraneo. Da una parte c’è la capitale, dall’altra Es Castell. Si scoprono panorami a sorpresa, scorci inaspettati, costruzioni particolari. Ma è l’arrivo all’isola, chiamata anche The Bloody Island, il momento più emozionante. 



A un lato della banchina la roccia è interamente cosparsa di fichi d’India a formare un gigantesco, verdissimo, intricato cespuglio, interrotto dalla massa arancione dell’installazione Autostat del viennese Franz West (foto in alto). Dietro al sentiero che sale s’intravvede un enorme edificio, che sembra occupare interamente la piccola isola. Costruito dagli inglesi è stato ospedale militare dalla fine del 1700 agli anni Sessanta, quando fu edificato un nuovo ospedale. Con un’insolita pianta a U ha accanto i resti di una basilica paleocristiana. Ora è una Fondazione ed è visitabile. Girando invece prima, sulla destra, tra frondosi alberi s’incontra un muro con la scritta Hauser & Wirth. Delimita la nuova sede di una della più importanti gallerie d’arte del mondo, la famosa Hauser & Wirth di Zurigo, nata negli anni Novanta. Inaugurata lo scorso luglio, la filiale minorchina è stata progettata da un architetto argentino che ha utilizzato solo materiali locali per meglio adattarla al luogo.  All’interno delle otto sale, oltre a esposizioni temporanee (in questo momento e fino al 31 ottobre, data di chiusura della galleria, c’è la mostra dell’americano Rashid Johnson), c’è un laboratorio per studenti d’arte. L’unica scultura permanente qui è il Ragno di Louise Bourgeois, una delle opere d’arte contemporanea più quotate. Non è al chiuso, ma in una sorta di cortile quadrato con un albero a fare da sfondo (foto al centro). L’altra installazione, sempre in bronzo, dell’artista francese Janus in leather Jacket è invece all‘aperto, nel fascinoso giardino disegnato da Piet Oudolf, il progettista della High Line di New York.  Accanto c’è un Chillida e Le Pére Ubu di Joan Mirò. Intorno, da scoprire tra gli alberi, sculture di Camille Henrot e Martin Creed. Nel verde, con i tavoli anche tra gli ulivi, Cantina Botiga, che propone deliziosi piatti del luogo. Ogni tanto felice teatro di concerti, jazz soprattutto. Da vedere il rifornito bookshop (foto in basso) e, sul retro dell'edificio, un'area selvaggia con vista notevole.

mercoledì 5 ottobre 2022

MINORCA: NON SOLO SPIAGGE

Le spiagge sono strepitose, soprattutto fuori stagione, la natura splendente, le viste incredibili, anche se nell’isola il punto più alto non raggiunge i 400 metri. Però Minorca ha ben altro da offrire. Tutto quello che si è detto, più eleganza e raffinatezza, dove c’è l’intervento dell’umano. Difficile da reperire altrove. Dalla capitale Mahon al piccolo paese, da Ciutadella, la vecchia capitale, al borgo sul mare di recente costruzione, raramente s’individua qualcosa di stonato. Non esistono costruzioni di archistar, non c’è nemmeno un’uniformità nelle architetture, eppure non si trova mai o di rado qualcosa che strida con il contesto. Anche il bianco dominante sui tetti delle nuove case, che in genere produce un lezioso effetto finto presepio, qui ha una ragione d’essere. 




A Mahon non ci sono palazzi storici particolari, ma tutti hanno un elemento caratterizzante. Può essere una vetrata o un bovindo che richiama le abitazioni del nord e racconta come l’isola sia stata e sia ancora meta degli inglesi. Anche i negozi e i locali sono in linea.  Nei primi colpisce quel mettere insieme abbigliamento con oggetti per la casa, capi semplici ma con quel qualcosa in più, o quel colore inedito. Vasi, piatti o mobili con dietro una storia, tra artigianato e funzionalità. Ed ecco candele specialissime alla Cereria accanto a soprabiti di ottimo taglio, scarpette sfiziose, pullover accoglienti.  Anche i locali hanno un’identità precisa, data da piccoli dettagli. I disegni delle tovaglie, una vetrata, un certo modo di disporre bottiglie e confezioni. Perfino il mercato del pesce con il tipico odore greve o il Mercat des Claustre, con i prodotti alimentari minorchini, entrambi a Mahon, hanno una loro eleganza. Stile e buon gusto sono così radicati in Minorca che perfino i pedalò con scivolo, a forma di automobile o di cigno, che in qualsiasi altro luogo sono la massima espressione del kitsch più efferato, qui diventano interessanti pezzi di cultura pop.