venerdì 31 gennaio 2020

CREARE PER CREDERE


Una sala lunga e stretta con finestre a tutta altezza, una lavagna e un tavolone con una decina di sgabelli intorno. Su cui sono posati fogli di carta bianca, cartoncini di diversi colori, manifesti ripiegati, ritagli di dépliant, carta da riutilizzare. Al centro vasi di colla, pennelli, nastri di scotch, gomitoli di cordoncino, punteruoli. Ci si siede, a ciascuno viene dato un kit personale con matite, forbici, taglierino e squadra. Dopo le presentazioni e una veloce spiegazione si comincia a lavorare. Sebastiano mostra cosa si deve fare, lasciando libera scelta sul materiale da usare, sul tipo e colore della carta, su come piegare i fogli e assemblarli. Quasi subito compaiono abbozzi di libretti, diversi uno dall’altro. C’è chi ha puntato sul colore, chi ha introdotto delle applicazioni, chi ha lavorato sui tagli. Quindi il docente spiega la fase seguente, quella della cucitura dei fogli l’uno con l’altro. La creatività questa volta non incide. Prevale la tecnica e la manualità diventa importante. Sebastiano è pronto ad aiutare chi ha difficoltà a forare la carta con il punteruolo e perfino chi non riesce a infilare l’ago. Per quanto si prendano aghi grandi, con crune in proporzione, il cordoncino ha le sue esigenze e non perdona. L’ultima fase è la costruzione della copertina, la fase più complessa forse, ma anche la più entusiasmante. Il parto è vicino, la creatura è pronta a venire alla luce. Si è liberi di scegliere, tra i fogli di carta riciclata, i disegni che si vuole. C’è chi propende per il colore, chi invece cerca un’immagine precisa. Chi decide per il geometrico, chi per l’informale. Incollare non è semplice. La colla è sempre troppa o troppo poca. Individuare il giusto mezzo è difficile. E poi ci sono gli allineamenti, le rifilature. In certi momenti, presi dallo sconforto per la propria incapacità manuale ci si autoconvince  che la carta è morta, che il futuro è l’web. Certo la perfezione nel fatto a mano è irraggiungibile, ed è il suo pregio. Ma ci si vuole arrivare lo stesso, nell’euforia del saper fare. Questo succede una mattina, riservata alla stampa, allo IED Istituto Europeo di Design, la scuola superiore di design, moda, arti visive, comunicazione, creata da Francesco Morelli a Milano nel 1967, diventata in cinquant’anni un network con undici sedi in Italia (a Milano è quasi un quartiere), due in Spagna e due in Brasile. Con 10mila studenti l’anno, di cento nazionalità, e 120mila docenti. Basata sul concetto che la didattica deve unire sapere e saper fare, teoria e pratica. Ed è per questo che nel giro di un anno trova lavoro l’83% degli studenti del Master e il 78% degli studenti del Diploma Triennale. Domenica scorsa Beyoncé per il pre-Grammy brunch ha indossato un abito di Francesco Murano, ventitreenne diplomato IED in Fashion Design 2019. E in poche ore qualcuno ha costruito splendidi libretti…(Nelle foto un laboratorio di modellistica e una sala di posa dello IED).

giovedì 30 gennaio 2020

METTI UNA SERA AL CINEMA



Non è la prima volta che arriva a Milano. Dopo il battesimo italiano alla settimana del design, Mama Vodka sceglie per il suo ritorno il Cinemino. Una sala da 75 posti con un piccolo bar a livello strada. Un locale aperto da un gruppo di amici cinefili, all’apparenza di quartiere, ma con uno stile e una selezione di film assolutamente metropolitano. Perfetto per presentare una vodka con una storia non banale. Nasce a Copenaghen, è fatta di segale integrale e acqua di sorgente,            
distillata cinque volte e chi l’ha creata è una donna. Con un attento lavoro di cinque anni, Pauline Birch (nella foto) ha messo a punto un prodotto per chi, come lei, ama ritrovarsi la sera con le amiche, davanti a un buon drink. Tanto che ora a Copenaghen Mama Vodka è nei ristoranti e nei bar più di tendenza, conosciuta come la vodka che piace alle donne. Determinante per il suo successo al femminile anche la bottiglia design in cristallo riciclabile, con la scritta Mama Vodka rossa e un packaging che ricopia il colbacco bianco delle Royal Guards danesi. Sono piaciuti a tutti, signore e signori, i cocktail con Mama Vodka proposti nella serata da Maurizio Stocchetto( Bar Basso): Bernadette, rosso acceso per il pomodoro, e Cate, con vermouth dry. Due nomi non affatto casuali, ma legati al film di cui è seguita la proiezione Che fine ha fatto Bernadette? di Richard Linklater con Cate Blanchett. Una curiosa storia in equilibrio tra surreale, sentimentalismo, drammaticità e ironia (foto di Carlotta Coppo).




mercoledì 29 gennaio 2020

UN RACCONTO DI RACCONTI

Capita raramente un applauso così scrosciante, forte, corale, omogeneo, compatto, senza variazioni locali, senza alti e bassi. Un applauso che sembra non terminare mai, tanto che l’applaudito, sorridendo e ringraziando, ha cercato varie volte di inserirsi, per una comunicazione di servizio. E’ successo ieri al Teatro Menotti di Milano per Focus Baliani, la prima di uno spettacolo di Marco Baliani che è in realtà una raccolta di pezzi del suo straordinario repertorio dal 1989. Quel teatro di narrazione o, come meglio lui lo definisce, di post-narrazione, di cui è il massimo esponente, di sicuro l’inventore. Ogni sera o pomeriggio è in scena con una storia diversa. Sono le varie tappe di un racconto che parla della vita, della società, dei coinvolgimenti personali. Per alcune l’ispirazione o il riferimento è un saggio o un dramma magari dedotto da un episodio realmente accaduto, per altre può essere anche una fiaba o un fatto di cronaca, o un’esperienza vissuta dall’attore/autore in prima persona. Proprio come la prima tappa Corpo di stato. Il punto di partenza è il delitto Moro, ma il periodo a cui Baliani fa riferimento è il ’68, seguito dalle prime azioni delle Brigate rosse. Come il caso Moro sia divenuto lo spartiacque di varie correnti di pensiero. Il concetto di potere, di rivoluzione, di ribellione, di lotta armata entrano sotto forma di dialoghi ed episodi evocati. Con un tale trasporto e una tale capacità narrativa, che sembra il racconto, quasi in tempo reale, di un amico, soprattutto per chi della generazione di Baliani quei momenti li ha vissuti. La sapiente regia di Maria Maglietta ogni tanto pone degli stacchi con video-documenti in bianco e nero, girati in quegli anni. Nessun accompagnamento musicale tranne il finale urlato con Ma il cielo è sempre più blu, importante per il coinvolgimento, ma non sfacciatamente ruffiano. Lo spettacolo, prodotto da Marche Teatro e Casa degli Alfieri, è al Teatro Menotti di Milano fino al 9 febbraio. Oltre che da Corpo di stato,è composto da Tracce (questa sera),Un coraggio silenziosoKohlaas, Frollo, Trincea, Una notte sbagliata.

mercoledì 22 gennaio 2020

A TUTTO ROCK


Sempre più moda e musica si compenetrano e si contaminano.    Alessandra Marchi, direttore creativo di Aniye By, per presentare in anteprima la sua collezione per il prossimo autunno-inverno sceglie a Milano un luogo cult del rock e non solo: i Magazzini Generali. Ma non si limita a questo, come in luglio aveva fatto seguire alla sfilata della primavera-estate un concerto di Achille Lauro, questa volta manda in scena  una  delle star più amate del momento, il rapper e produttore discografico Marracash. A precederlo, applauditissimi, Venerus, scrittore e compositore con il suo mix di soul, black music e jazz e Madame, la giovanissima cantante (classe 2002) che ha conquistato, non solo i coetanei, con il suo Sciccherie.  In passerella, con la colonna sonora dei pezzi più caldi e trascinanti del rock, uno street style molto diversificato.  Fil rouge gli anni ’80 ribaditi dalle spalle accentuate, in netto ritorno tra l’altro, con molto animalier, flash di oro e pop a volontà. A cominciare dalle scritte, per seguire con le immagini dei personaggi, dei fumetti e delle icone di quel tempo. Il look è provocante: scolli, spacchi, fuseaux in ciré dipinti addosso, ma anche tailleur pantaloni immacolati per un ammiccante stile garçonne. Piume e paillettes a oltranza. Ai piedi, in alternanza al tacco vertiginoso, scarpe da basket, anche in aperto contrasto con l’outfit.  Trucco e parrucco più ’70 con capelli lunghi e sciolti e molto mascara. Nel pubblico di prima fila Elisabetta Canalis e Chiara Ferragni, con mini abito in lamé rosa shocking, ovviamente Aniye By.   

sabato 18 gennaio 2020

RISO DOC


Non solo la cultura dà da vivere e da mangiare, ma fa ridere, of course volontariamente, con livelli di comicità elevatissimi. Lo spettacolo Sono bravo con la lingua ne è una delle più significative dimostrazioni. Per più di un’ora Antonello Taurino (nella foto)autore del testo, insieme a Carlo Turati, da solo sul palcoscenico con niente altro che una sedia e un cellulare in mano, riesce a tenere inchiodata alla poltrona il pubblico, ogni sera più numeroso, provocando continue, sentite risate. Non racconta barzellette, non si avvale di movimenti particolari, non imita né fa la caricatura di nessuno. Parla solo di parole, di linguaggio, appunto di lingue e lingua. Di cui nel titolo annuncia di essere bravo a usarla. Una frase ambigua, certo, che come dice lui stesso alla fine, visibilmente scherzando, gli serve per garantirsi un audience. Ma per quanto giochi sui significati doppi, sfiora la trivialità senza mai caderci, anzi aggirandola con eleganza. Taurino sul palco è un giovane che sta aspettando di essere chiamato alla Silicon Valley per essere coinvolto come linguista in un gruppo di ricercatori. Il cellulare ogni tanto suona e interrompe il suo affabulare. La chiamata non viene dalla California, ma dalla Puglia dove la mamma gli sta inviando pacchi con cibi tipici. Da lui si vengono a sapere molte curiosità linguistiche,si spiegano stranezze, decadono credenze. Non è vero che gli esquimesi hanno un’infinità di sinonimi per la parola neve. In realtà hanno un’infinità di tipi di neve, che noi italiani esprimiamo aggiungendo un aggettivo, ghiacciata, farinosa ecc. E’ invece vero che i finlandesi hanno un termine per esprimere la distanza che una renna può coprire senza fermarsi. Taurino usa le parole come oggetti con cui giocare, si esibisce in frasi palindrome. Esilarante il suo raccontare figure retoriche o l’impossibilità di accompagnare con i gesti frasi sulla semiotica o l’epistemologia. I suoi discorsi presuppongono un vocabolario vastissimo, una conoscenza profonda della lingua italiana e della struttura e delle radici di molte altre lingue straniere (en passant è laureato in lettere moderne con 110/110) ma anche di storia, letteratura, teatro. Il tutto con un occhio attentissimo all’attualità, come si vede dalle allusioni a fatti e persone, mai scontati però. Lo spettacolo è al Teatro della Cooperativa di Milano in prima nazionale dal 14 fino al 26 gennaio.