lunedì 31 marzo 2014

TUTTO SCORRE

L’acqua che scorre e la memoria. Sono due concetti apparentemente   poco conciliabili. Almeno così sosterrebbe Eraclito e non solo. Eppure fissare in una foto le immagini dell’acqua, di mare o di fiume, che comunque scorre e si muove, magari immortalando anche  qualche frammento di natura trascinato  dalla corrente , è quasi la dimostrazione del contrario. O per lo meno di come i due concetti possano essere legati.   Giulia Vasta ce lo fa notare. Con la sua mostra “Le forme dell’assenza” fino al 30 aprile all’Unimedia Contemporary Art di Genova. Da vedere il frutto di uno studio e una ricerca curiosa e scrupolosa di anni.  Dalla forma più immediata e semplice  del filmato dove si vede il fiume   che scorre trascinando con la sua corrente rami, arbusti, oggetti abbandonati.  Alle  serie  Dissipazioni,  50 0 60 fotogrammi di un  video  assemblati nella stessa cornice. Uno racconta  il passaggio dell’acqua di mare nelle sue mani.  Un altro lo scioglimento in 18 minuti di una saponetta, tenuta sempre nelle sue mani, sotto il rubinetto di un lavabo .  E poi ci sono i ricordi, veri e propri, con una loro consistenza  sempre legati all’acqua, ovviamente.  Come  l’installazione-tavolo  con 27 piccoli quadrati   con rametti trovati sulle rive di un fiume, sassolini, pezzi di terra, tracce o  foto. O ancora i confronti, fra quello che è generato dalla natura e quello che è prodotto dall’uomo.  Ecco per esempio un rosario, che  si era incastrato in un ramo, affiancato da un pezzo di legno  che ne richiama le linee. O ancora uno stivale di gomma abbandonato sulla sabbia  con le tracce  intatte della sua suola  e a fianco un ramo che ha la stessa curvatura  . Non sono molti i pezzi esposti nella  prima rassegna personale di Vasta, ma vanno visti con attenzione e tempo.  Per coglierne quell’attrazione che stimola i pensieri e i ricordi.  E’ una testimonianza di quanto la natura possa essere interessante, mutevole e addirittura creativa, senza la presunzione di volere dare un messaggio.    

giovedì 27 marzo 2014

PASSION FLOWER


Coloratissimi, in bianco e nero, iperrealistici, stilizzati, sfumati, informali, futuribili,  accennati,  barocchi, decadenti, sensuali, pop, di carta, di stoffa, di plastica. I fiori,  quelli finti, fioriscono dappertutto nella moda.   Tra i prediletti la rosa, forse perché più eclettica  e camaleontesca. Capace di essere la massima espressione del kitsch e il più fulgido esempio della  linearità  essenziale. E’ stata il tema  e il fil rouge  di una presentazione di abiti e accessori in un noto studio di comunicazione milanese: eccola protagonista in versione geometrizzante di tessuti inediti per spolverini e tubini; tridimensionale in colori shock per gli orecchini; oleografica   da pittura ottocentesca su sciarpe e pochette; in una brillante interpretazione déco-pop nelle T-shirt d’artista di Rosanna Prezioso (v.foto).   
Fiori di tutti i tipi, con una prevalenza per quelli di campo, splendono sul tessuto bianco degli accessori firmati  
Dolce & Gabbana. Dalle più strutturate borse a bauletto un po’ anni Quaranta alle più semplici shopper, alle minuscole, preziose  clutch. Dalle ballerine ai sandali con plateau fetish, agli infradito,  agli stivali da fatalona tacco 10. Christian Louboutin, addirittura per il prossimo inverno, propone viole del pensiero sulle sue sexyssime décolletées con tacchi improbabili, suggerite per movimentate e birichine serate da alcova.  Si ispirano alle suggestioni floreali di Frida Kahlo le collane e gli orecchini  di Ayala Bar, come   sottolinea anche l’immagine pubblicitaria. Sono in filigrana    d’argento ed evocano rose, ninfee, orchidee, tulipani i bijoux  di Yvone Christa, brand  di  Yvonne Clamf e Christina Soderstrom, svedesi  di nascita, ma da 19 anni  newyorkesi di adozione e fama.  Fiori di pesco in madreperla rosa sono sulla collana-colletto placcata oro della serie Cartoline d’Italia di Misis, nella linea dedicata ad Asolo. Sono una novità, invece, i fiori sugli occhiali. Da quelli in 3 D a quelli stampati. Così le ninfee sulle montature di Emporio Armani, le fioriture smaglianti su quelle di Dolce & Gabbana,  i giardini su quelle di Vogue Eyewear che, a conferma della passione  floreale, quest’anno è tra gli sponsor  di Orticola  (v.L’Espa.net venerdì 21 marzo 2014).





martedì 25 marzo 2014

OMAGGIO A UN GENIO


Certo è una banalità da dire, ma viene spontanea. Chissà cosa avrebbe fatto Piero Manzoni se non fosse morto  a neanche 30 anni.  Tutti, o quasi, conoscono la Merda d’artista  o gli Achromes, ma non sono che due dei tanti aspetti  di  un’opera ampissima, variegata, sfaccettata, piena  di spunti, incroci di idee, sperimentazioni.  Visitare la mostra a Palazzo Reale di Milano, dal 26 marzo al 2 giugno, è il modo migliore per rendersene conto. Non solo perché le opere sono tante, ma anche perché  sono esposte in un allestimento essenziale, che sarebbe piaciuto all’artista. Colui che ha  scardinato i canoni dell’arte viene trattato come un classico. Con le opere  disposte nelle sale che  riproducono il cardo e decumano, su cui è stata costruita Milano, il terreno fertile dove si è sviluppata la creatività  di Manzoni. L’allestimento, infatti, non segue il principio del sensazionalismo, che sarebbe stato facile e di immediata  soddisfazione, ma punta sull’approfondimento. Vuole mettere in luce  la capacità di questo straordinario artista di inventare e usare linguaggi nuovi.  Come ha detto Flaminio Gualdoni, curatore della mostra insieme a Rosalina Pasqualeo,  la rassegna è antologica, vuole ricostruire tutti gli aspetti e le fasi del percorso artistico e soprattutto  quell’ansia di Manzoni di fare e sperimentare sempre di più, incrociando, sovrapponendo, mescolando.  I curatori hanno scelto di non ridurre a slogan la sua carriera. Sarebbe stata una mostra più popolare forse,  ma si sarebbe disconosciuto che il suo non era “un dire diversamente” ma “un dire cose nuove”. Salta all’occhio l’uso di materiali assolutamente insoliti. Il catrame con i sassi e il colore naturalmente,   la tela grinzata con il caolino per i suoi Achromes. Ecco le michette, tipico pane milanese, trattate con il caolino. O ancora l’ovatta geometrizzata in  quadrati, la carta compressa, il peluche, le palle di paglia, i panni cuciti, il caolino con la tela. Il polistirolo con le palline degli ultimi tempi. Pare che quando fu trovato morto, nel suo studio in Fiori Chiari, per un infarto, avesse appena ultimato  una di queste composizioni. E poi documenti , filmati  che rivelano performance con il corpo umano davvero ante litteram.  Coerente e in sintonia il catalogo di Skira, esauriente e di grande sobrietà.   

venerdì 21 marzo 2014

CUORI? QUADRI? PICCHE?... FIORI!


Sculture di Silvia Manazza
Orticola 2012
La schiera degli amanti di fiori e piante s’infittisce  a vista d’occhio e  non ha che l’imbarazzo della scelta per soddisfare la sua passione. A parte una primavera anticipata che regala fioriture assolutamente inaspettate. Nel prossimo salone del mobile, soprattutto nel fuori salone, il tema del verde è al centro della attenzione e non solo con i mobili da giardino. Al Superstudio,  per esempio, viene allestito  su un  tetto un orto di 750 metri  quadri, su progetto di Michelangelo Pistoletto, che resterà in funzione tre mesi. E di cui il raccolto di frutta e verdura può essere consumato sul posto.  Dal 9 all’11 maggio, sempre a Milano, ritorna Orticola con idee e proposte brillanti grazie all’attività, tutta di volontariato, dei suoi efficienti e creativi organizzatori. Uno degli obiettivi di questa edizione far conoscere  la rosa italiana che, nonostante il  passato glorioso e la grande varietà delle specie, è una cenerentola, in secondo piano  rispetto alle genoveffe e anastasie francesi, tedesche e inglesi. Qui troverà il suo principe azzurro capace di valorizzarla. Previsti allestimenti  particolari  con  l’incontro design e botanica. Immancabili i corsi  e i laboratori gratuiti per bambini e non.  Tra i partner sostenitori, oltre agli storici, il nuovo AssoBirra, che  partecipa anche attivamente con degustazioni e corsi di spillatura, per mostrare l’anima verde della spumeggiante bevanda.
Non a Milano, ma vicino a Vaprio d’Adda, dal 23 al 25 maggio è di scena la seconda edizione della mostra-mercato Bucolica-Vivere Country nel parco della maestosa Villa Castelbarco. Distribuiti tra le scuderie, i saloni interni, il patio e  i giardini un centinaio di espositori. Dall’artigiano con la sedia impagliata fino all’antiquario con il quadro d’epoca, ovviamente a soggetto bucolico-country. Da non mancare  “Donne di fiori”  un percorso  di contemplazione creato da note paesaggiste. E l’esposizione di Silvia Manazza con installazioni-sculture mix di romanticismo e sense of humour, realizzate con vecchi materassi scovati in un collegio abbandonato.

mercoledì 19 marzo 2014

RACCONTI AFRICANI

 Raffaello Bini, nonno di Luca 
 Il negozio di Ottica ad Asmara

Difficile scegliere un paio di occhiali  senza  provarli.  Mentre un abito puoi capire se ti si  adatta  vedendolo in una vetrina, per gli occhiali non è così. Basta una curva diversa, un colore inusuale, la consistenza particolare di un materiale e l’effetto può cambiare. Può far risaltare troppo  il naso o anche troppo poco, può nascondere troppo la fronte o anche troppo poco. Certo la leggerezza è un elemento positivo, ma non è l’unico che si cerca, in un occhiale da sole soprattutto. E allora cos’è quel valore aggiunto che può invogliare all’acquisto?  Per alcuni, molti purtroppo, è  il logo o il fatto che lo porti una certa celebrity. Ma per altri potrebbe essere la storia che c’è dietro? Sì, se è forte e trainante come quella del marchio L.G.R. Le tre lettere sono le iniziali del fondatore Luca Gnecchi Ruscone, trentenne con una brillante carriera nel mondo dell’alta finanza di Hong Kong.  Fino al 2007, quando il nonno Raffaello,  che aveva vissuto in Africa dal 1930 al 1970, prima come fotografo poi come imprenditore, lo manda ad Asmara.  Nel negozio di ottica sopra la casa dove viveva, entrambi confiscati ai tempi della guerra di liberazione dell’  Eritrea  dall’Etiopia, Luca trova una scatola di occhiali da sole del periodo coloniale, importati dall’Italia e destinati ai militari. Se ne innamora. Riesce a  individuare  tra le vecchie carte le  fatture e risale  al produttore. La ricerca non è così semplice perché l’azienda ha chiuso nel 1968. Ma la determinazione di Luca è più forte. Girando per le case  e con un passaparola arriva al proprietario, e riesce a convincerlo a riaprire il laboratorio. Fa riprodurre i modelli trovati seguendo  le stesse lavorazioni artigianali, con materiali simili ma tecnologicamente  avanzati e di altissima qualità . Quindi incomincia a proporli con un"porta a porta" serrato ai negozi di moda più ricercati d’Europa. Colette è uno dei primi ad acquistarli. Partecipa a un evento a Parigi e i suoi occhiali  arrivano sulle pagine di Vogue francese.  E’  il successo.  Ora la collezione ha 32 modelli da sole e 27 da vista. Si chiamano Asmara, Malindi, Casablanca , Zanzibar, tutti nomi di località africane, ma non seguono  il discorso vintage, decisamente superato. Anzi la ricerca di materiali sempre più tecnologici  e il design inedito sono il fiore all’occhiello di L.G.R. L’Amarcord resta nelle lavorazioni artigianali, nel tutto italiano e nelle lenti in vetro. Però antigraffio, resistenti agli urti e che proteggono al 100% dai raggi UV.