Che Shakespeare abbia svolto tematiche attuali, e quindi
continui a essere rappresentato, è un dato acquisito. Ma che un lavoro di
Aristofane, scritto nel 400 avanti Cristo, possa diventare una commedia pop con
un contenuto, anche se formalmente riveduto, assolutamente contemporaneo,
sorprende davvero. Accade al Teatro Menotti di Milano, dove Tieffe Teatro ha
portato in scena Uccelli di Aristofane con
l’adattamento e la regia di Emilio Russo. La vicenda è quella di due ateniesi,
profughi al contrario, Pisetero ed Evelpiede, che scappano dalla polis per trovare un luogo senza
burocrazia, lontano dai meccanismi complicati e contorti del potere e del denaro.
Pensano di trovarlo in una fantomatica comunità di uccelli, creature libere e
felici, considerati nella perduta età dell’oro i veri padroni del mondo, poi
soppiantati da dei e uomini. Ma Nubicuculia città-utopia, fondata sulle nuvole,
avrà ben presto le stesse pecche e la corruzione dei luoghi da cui i due erano
fuggiti. Sulla scena sette giovani attori capaci di ballare, cantare, esibirsi
in salti acrobatici e dialogare in un mix di dialetti con un linguaggio che
pesca disinvolto da Cervantes e George Orwell, ricorda a tratti il surrealismo
di Jarry e in certi momenti richiama la vis comica di Totò. Notevoli i costumi,
da quelli delle ragazze-uccello, chiuse in lunghe palandrane grigie ai
soprabiti e i mantelli con interno di piume colorate. D’effetto la scenografia,
che con giochi di luci e ombre cinesi, crea un’alternanza di straordinarie
installazioni. A fare da colonna sonora tre musicisti con chitarra, violino,
tastiera o tamburello e i virtuosismi di una cantante che passa dalla ballata popolare al
canto degli uccelli. Lo spettacolo, ieri in prima nazionale, sarà al Teatro Menotti
fino al 3 febbraio (foto di Gianfranco Ferraro).
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