Normale la difficoltà di descrivere le sensazioni davanti
a un’opera d’arte. Inusuale, invece, la difficoltà di descrivere l'opera stessa. Come
accade per Tutela dei beni: corpi del(c)reato
ad arte di Alessandro Bergonzoni. Non è casuale e fa pensare che l’emozione dell’osservatore faccia parte di
quello che tecnicamente è definito esposizione-proiezione-intervento.
Perché, come dice anche l’autore, non è uno spettacolo, ma qualcosa di più
vicino alla performance, forse. E’ stato oggi nella Sala della Passione della
Pinacoteca di Brera. Dura 25 minuti e si ripete tre volte nella giornata. Il
titolo e il sottotitolo Il valore di
un’opera, in persona potrebbero fare pensare ai soliti intelligenti giochi
di parole di Bergonzoni. Come anche quello che dice la sua voce all’inizio, nella
sala completamente buia e chiusa. Le analogie, gli accostamenti per assonanza, l’assurdo che diventa reale. Quel
Vi voglio un gran bene seguito da un bene storico, un bene comune, culturale.
Oppure quelle frasi perentorie, solo apparentemente surreali come L’umanità ha la più immensa collezione
d’arte privata: gli esseri viventi. Poi arriva la luce, entra Bergonzoni e
fissa un grande rettangolo proiettato sull’unica parete senza dipinti. Emerge una macchia in basso, forse una bocca. Sembra
di intravvedere una porta e la bocca è solo un’ombra, e a poco a poco esce
drammatica, penetrante, angosciante quella foto del viso torturato di Stefano Cucchi,
che abbiamo vista e rivista. Qualche attimo e scompare, sul muro ritorna
il rettangolo di luce bianca. L’autore resta lì. Si sente la sua voce che parla
di confine. Tra il bello e il male?
Quando ti sentirai abbattuto tra le bellezze di un quadro ritrovato del ‘600 e
un morto d’incuria della cronaca del ‘900? Ed ecco il discorso della
tutela, del rispetto. Quale confine tra
un capolavoro classico e un corpo che rappresenta l’anima? Da un lato si
vorrebbe che queste frasi, apparentemente sconnesse, continuassero per farci
riflettere, dall’altro ci piacerebbe che la voce tacesse, per non sentirci in
colpa. E forse anche quell’impossibilità del pubblico di riuscire a stare nel
completo silenzio senza tossire, muoversi, bisbigliare è una forma di difesa.
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