venerdì 18 gennaio 2019

TRA UTOPIA E METAFORA


Che Shakespeare abbia svolto tematiche attuali, e quindi continui a essere rappresentato, è un dato acquisito. Ma che un lavoro di Aristofane, scritto nel 400 avanti Cristo, possa diventare una commedia pop con un contenuto, anche se formalmente riveduto, assolutamente contemporaneo, sorprende davvero. Accade al Teatro Menotti di Milano, dove Tieffe Teatro ha portato in scena Uccelli di Aristofane con l’adattamento e la regia di Emilio Russo. La vicenda è quella di due ateniesi, profughi al contrario, Pisetero ed Evelpiede, che scappano dalla polis per trovare un luogo senza burocrazia, lontano dai meccanismi complicati e contorti del potere e del denaro. Pensano di trovarlo in una fantomatica comunità di uccelli, creature libere e felici, considerati nella perduta età dell’oro i veri padroni del mondo, poi soppiantati da dei e uomini. Ma Nubicuculia città-utopia, fondata sulle nuvole, avrà ben presto le stesse pecche e la corruzione dei luoghi da cui i due erano fuggiti. Sulla scena sette giovani attori capaci di ballare, cantare, esibirsi in salti acrobatici e dialogare in un mix di dialetti con un linguaggio che pesca disinvolto da Cervantes e George Orwell, ricorda a tratti il surrealismo di Jarry e in certi momenti richiama la vis comica di Totò. Notevoli i costumi, da quelli delle ragazze-uccello, chiuse in lunghe palandrane grigie ai soprabiti e i mantelli con interno di piume colorate. D’effetto la scenografia, che con giochi di luci e ombre cinesi, crea un’alternanza di straordinarie installazioni. A fare da colonna sonora tre musicisti con chitarra, violino, tastiera o tamburello e i virtuosismi di una  cantante che passa dalla ballata popolare al canto degli uccelli. Lo spettacolo, ieri in prima nazionale, sarà al Teatro Menotti fino al 3 febbraio (foto di Gianfranco Ferraro).

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