giovedì 29 maggio 2025

MATERIA VIVA

Non stupisce che Mario Giacomelli sia stato definito “l’uomo nuovo della fotografia”. Lo si può vedere bene nelle due mostre per celebrare i cent’anni dalla sua nascita, una a Palazzo Reale di Milano fino al 7 settembre, centrata sul suo rapporto con la poesia, l’altra al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 3 agosto, sul suo rapporto con l’arte contemporanea. 





In questa seconda, più che mai, si averte il suo inedito modo di scegliere i soggetti e di come fotografarli. Dagli scatti sulla natura ai ritratti di persone, tutti in bianco e nero,  emerge la tendenza a partire da un elemento, apparentemente insignificante, per costruire un insieme. “Attraverso le foto di terra io tento di uccidere la natura” diceva e la sua natura è sempre a tratti e quasi irreale. La materia è protagonista e il movimento, anche la decomposizione, è elemento dominante. Così le foto dei campi arati con segni particolari, fatti dai contadini che l’artista pagava perché li facessero su sua richiesta. Questa tendenza si ritrova anche nel ritratto della madre e nelle immagini che raccontano gli anziani, colti nella loro intimità spesso terribile e mortificante. O ancora nelle folle di Lourdes dove i volti sono trasfigurati e quello che domina è la precarietà. Un realismo crudo, che diventa ironico in quella serie di scatti dei giovani preti. Risultato di un anno passato in un seminario (foto al centro). Molto interessante anche il dialogo con opere di artisti contemporanei. Da Alberto Burri con Combustione, a cui era accomunato dal desiderio di sviscerare la materia. A Enzo Cucchi con Tetto, che come lui vede negli elementi di un paesaggio non lo sfondo, ma i protagonisti. O Jannis Kounellis con l’installazione Senza titolo fatta di sacchi di iuta pieni di carbone che circondano un ammasso di vecchi occhiali, simbolo di materia e disgregazione. O i ritratti di inquietanti personaggi in interni claustrofobici dello statunitense, naturalizzato sudafricano, Roger Ballen (classe 1950) che considera Giacomelli una delle sue fonti d’ispirazione. A completare la mostra svariati “autoritratti”(foto in alto), non certo dei selfie, con cani e la ricostruzione del suo atélier(foto in basso).

lunedì 26 maggio 2025

NON PIU' DI SEI

Entrando, non ci si aspetta un salone con pareti in legno, un soffitto di vetro e un’ampia vetrata affacciata su un verdissimo e curato giardino. Al centro un sedile di pietra che circonda un monumento in  terra rossa (argilla?), non bene indentificabile, di un signore, un pastore o un contadino, affiancato da un bambino. Lo sovrasta un’installazione con palloni, forse simboli del mondo, in metallo e in legno. Da un lato uno scalone, sempre in legno, conduce al piano superiore, dominato da un modulo di legno chiaro con scritte e disegni. 





Sono piccoli racconti di viaggio. Lo scompartimento di un treno con il finestrino che lascia intravvedere prati e montagne. L’interno di uno chalet con finestra e tendine semiaperte su monti e valli. La cabina di una funivia dai cui finestrini cosa si vede? Montagne innevate e lo spicchio di un lago . Uno spettacolo  montano molto simile a quello che si gusta "vero" dalle vetrate sopra il modulo-paravento, e dietro alla scritta VisiTuri. Che non ha niente a che vedere con il latino, ma invita a visitare il cantone di Uri, quello che con Switto e Unterwalden sottoscrisse nel 1291 l’atto costitutivo della Confederazione Svizzera. Cos’è? Una mostra temporanea? Un piccolo museo del viaggiatore? No. E’ il passaggio alle razionali e imponenti toilette del Gotthard Raststatte sull’autostrada. Solo scendendo lo scalone ci si accorge che a destra c’è una porta che immette in un ristorante e a sinistra uno shop dedicato soprattutto ai gadget-ricordo. Qui si può comprare, solo con carta di credito. Godendo dello sconto del buono di un euro speso all’ingresso della toilette. Massimo dei buoni accumulabili a persona sei. Sei pipì, non una di più.




giovedì 22 maggio 2025

UN' IMPRESA IN DIRETTA

Non è semplice in uno spettacolo decisamente comico, dove non mancano punte di voluto "becerismo", riuscire a fare critiche azzeccate di "costume e società". Il tutto senza alcuna pretesa, esclusa quella di far ridere. Si sta parlando di La molto tragica storia di Piramo e Tisbe che muoiono per amore, al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 25 maggio. Non può certo dipendere dal fatto che lo spettacolo sia liberamente tratto dalla scena dei comici del Sogno di una notte d’estate di Shakespeare. Ma piuttosto da come è stato rivisitato da Renato Sarti, che ha curato l’adattamento e la regia, oltre a fare un’apparizione in finale. 




In scena cinque attrici e un attore, tutti bravissimi e convincenti nella parola e nella gestualità. Interpretano le dipendenti di un’impresa di pulizia dal nome "La Scopata" e il loro capo che vogliono mettere in scena, su un palco parrocchiale, la storia d’amore di Piramo e Tisbe. L’improvvisata regista è la pugliese Rossana Mola, solo apparentemente la più seria e rigorosa, affiancata da Federica Fabiani, emiliana costretta suo malgrado a interpretare la parte di Piramo, nonostante le immense "tette" di cui va fiera. C’è la cubana tutta presa dalla lotta politica, che macina i soliti slogan, interpretata dalla vera cubana Milvys Lopez Homen e la russa, chiamata da tutti Sborona, che vuole sempre ballare ed è la russa Elena Novoselova, ottima ballerina fintamente goffa, a giocarne il ruolo.  E poi c’è Marta Marangoni nella parte di Pot-pourri, tipica rappresentante di quel mondo legato ai social, allo yoga e ai vari luoghi comuni del genere. Unico uomo il capo dell’impresa di pulizia, interpretato dall’ivoriano Rufin Doh, che ha tutte le caratteristiche del piccolo imprenditore brianzolo che non paga le tasse, né i contributi ai dipendenti e, ironia della sorte, nonostante le origini è legato alla Lega, di cui ha assorbito in pieno il modo di pensare e di parlare. Tutto completato da una scenografia a effetto, costumi ben studiati e divertenti, musiche in sintonia con canzoni originali, anche di Cochi Ponzoni.



domenica 18 maggio 2025

IRRESISTIBILMENTE IPPOLITA

Tra i pregi degli spettacoli di Ippolita Baldini c’è sicuramente il ritmo sostenuto, per un’ora e mezza. Con continui motivi di risate, cambi d’abito, balli, immaginari dialoghi, sdoppiamenti di persona. In questo ultimo Io Roberta Ippolita Lucia, al Teatro della Cooperativa di Milano dal 13 al 18 maggio, non si è smentita. Sempre più nota anche al grande pubblico della TV, lavora sugli stessi temi, ispirati, rivela con entusiasmo e riconoscenza, dalle sue due "Franche modelli", Rame e Valeri (molto si riconosce nel suo personaggio del Diario della Signorina Snob di Franca Valeri). 




Lei Roberta Ippolita Lucia, sempre autobiografica con i suoi tre nomi e i suoi tre cognomi (una e trina si definisce), ogni tanto dialoga con la madre in cui si trasforma semplicemente tendendo la testa all’indietro e tenendosi la folta chioma, ovvio con una voce impostata. Questa volta arriva sul palco dal pubblico scusandosi per il ritardo, dovuto al "duro" lavoro svolto con altri volontari, tutti con tre cognomi e nomi che vanno da Luchino a Gaddo, a Lapo, con i quali ha dovuto ricostruire le coppie di calzini spaiati da mandare a bisognosi bambini del Mali. Da qui l’ironia, con una divertente presa in giro di un certo mondo, prende la rincorsa.  Fino alla scena finale in cui insegna alle signore del pubblico a simulare l’orgasmo, sostenendo che a furia di simularlo, alla fine lo si prova. Un’idea, dice, che parte dai deludenti dati del famoso Rapporto Kinsey sull’orgasmo femminile. Il tutto passando per feste bene, viaggi a New York, incontri in discoteca, storie con ipotetici fidanzati neri del Queens.  Continuamente cambiandosi d’abito velocissima. Alle volte dietro un paravento, unico oggetto in scena, alle volte voltata di spalle. Soltanto per il bis, il cambio d’abito ha richiesto più tempo. Durante il quale, Ippolita Baldini nascosta, ha continuato a parlare, cantare e soprattutto a intrattenere e far divertire il pubblico. 

sabato 17 maggio 2025

RADIOGRAFIA DI UN VUOTO

Niente di eccessivo. Nessun momento tragico per accattivarsi il pubblico. Nessuna concessione alla battuta facile, nonostante i dialoghi che potrebbero rasentare il surreale. Tutto è di misura, perfettamente calibrato. Proprio per questo Intorno al vuoto al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, fino al 18 maggio, non è solo convincente, ma in molti momenti straziante. Scritto da Benedetta Nicoletti e diretto da Giampiero Rappa, lo spettacolo parla di Alzheimer attraverso la vicenda di una famiglia. In scena una madre, un padre, una figlia. Interpretati da Paola Giorgi, direttore artistico di Bottega Teatro Marche che ha prodotto Intorno al vuoto e ideatrice del progetto, Gianluigi Fogacci e Fabiana Pesci.     




Carol, la madre, stimata docente di psicologia è malata di Alzheimer, il mondo intorno a lei è sempre più sfuocato, c’è solo un vago ricordo di quello che era il suo atteggiamento nei confronti della figlia Liz. Ma mentre Liz tenta inutilmente di coinvolgere la madre, parlandole delle sue scelte lavorative, il marito Paul, noto ricercatore, è rassegnato. Non ha alcuna speranza. Vuole solo cercare di vivere una vita normale, forse anche per non distruggere il ricordo di un amore e di un’unione felice. E in questo quadro famigliare è raccontata la drammaticità cruda dell’Alzheimer che più di qualsiasi altra malattia coinvolge tutti in un enorme vuoto. Rende le persone così diverse da farle scomparire e non lascia vie di uscita. Ottima la recitazione, notevole la scenografia fatta di pareti di vetro da cui escono e entrano gli attori o dietro cui passano le loro ombre. Una possibile metafora del vuoto.  

giovedì 15 maggio 2025

ONDA NON ANOMALA

Una mostra che racconta un fenomeno culturale di grande impatto. E’ ovvio che Hallyu! L’onda coreana stia avendo successo. Prodotta dal Victoria and Albert Museum di Londra, dopo essere stata al Museum of Fine Arts di Boston e all’Asian Art Museum di San Francisco, è dal 4 aprile fino al 17 agosto al Museo Rietberg di Zurigo. In una villa immersa nel fiabesco Parco Rieter, è uno dei più importanti musei della Svizzera e l’unico che raccoglie l’arte tradizionale e contemporanea di Asia, Africa, America e Oceania. Fa un certo effetto vedere accanto a sculture, dipinti, oggetti per la maggior parte di epoche passate o che parlano di culture lontane, foto, installazioni, video, abiti e oggetti testimonianza di un mondo in evoluzione e proiettato nel futuro. 


  


Raccontano, infatti, la storia del pop coreano che, nato negli anni 90, si è diffuso ed è diventato al centro dell’attenzione mondiale. Il percorso espositivo ha quattro tappe. Nella prima si inquadra il veloce passaggio da paese preindustriale a internet e i social media,  la sua simbologia e la sua oggettistica. Tra i protagonisti l’artista PSY con i video su You Tube tra cui Gangnam  che nel 2012 ha superato i due miliardi di visualizzazioni. La seconda tappa parla, con foto e spezzoni di film, del cinema che a poco si va affermando, prima solo tra cineteche e cinefili, poi globalmente con Parasite e serie su Netflix. E il ricostruito "squallido bagno" di Parasite diventa un’installazione. Si continua con la musica e il K-pop che conta fans a non finire. In un video enorme compaiono ritratti in movimento di ballerini, improvvisati e non, a cui il visitatore può aggiungersi. L’ultima tappa riguarda la moda e la cosmesi,  molto importante quest’ultima dato che la bellezza è profondamente e storicamente radicata nella cultura coreana. L’aspetto fisico curato non è vanità o un piacere ma un dovere morale, perché indicativo del proprio stato sociale e interiore. Particolarmente interessanti i capi esposti dove è evidente lo "styling british", per quel che riguarda il recupero di elementi tradizionali nei tagli e nei tessuti pop e avveniristici.  Vari i riferimenti ai cartoons, ma anche ai fiori. Non solo stampati. Come i finti petali inseriti nel bomber unisex del noto brand Munn, fondato dal designer coreano Hyun-min Han, o l’abito a forma di peonia della giovane designer Sohee Park, coreana basata a Londra,  molto attenta alla sostenibilità.  Dopo Zurigo L’onda coreana finirà la sua "tournée" al National Museum of Australia di Canberra, dal 12 dicembre al 10 maggio 2026.

martedì 13 maggio 2025

RACCONTI IN VIAGGIO

Piccoli racconti per immagini dove poesia e ironia si accordano e si compenetrano. Questa è la mostra fotografica Doppia Uso Singola che si inaugura giovedì alla Galleria Patricia Armocida di Milano. Già il titolo, divertente ma con un retrogusto di tristezza per l’allusione alla solitudine, anticipa i contenuti. Questi sono giocati sulla collaborazione dell’artista, l’eclettico Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e la curatrice della mostra, la stessa gallerista Patricia Armocida.





Le 200 
foto esposte e incorniciate hanno il formato 20x20 delle "cementine", piastrelle da pavimentazione tipiche della Sicilia, di cui è originario Colapesce e dove sono stati realizzati la maggior parte degli scatti. Sono suddivisi in tre nuclei. Il primo, DUS acronimo di Doppia uso singola, usato nel "linguaggio alberghiero" e che dà il nome all’intera rassegna, raccoglie foto di camere d’albergo. Spesso il letto è disfatto e si vede utilizzato solo da una parte. Molte le foto di dettagli dal frigobar all’appendiabiti, alla doccia, al telefono sul comodino (in alto a destra). Lo completano un settore dedicato alle chiavi, prese da sole o inserite nella porta o sul pannello nella reception. La seconda serie, racconta “la relazione simbiotica” di Teresa e Anna, nonna e prozia dell’artista (in alto a sinistra). Immagini delle due case, dove molti particolari coincidono, ma anche di capi del guardaroba, spesso uguali, anche se le due signore non vorrebbero ammetterlo. E qui l’ironia è il filo conduttore.  Come anche nella terza serie intitolata Giorni sfiniti, dove i paradossi come una scala che porta a un muro o un assurdo groviglio di fili elettrici nel pieno centro di una città si alternano a immagini poetiche come un cielo di nuvole o uno spicchio di mare eoliano. La Galleria Patricia Armocida è a Milano in Via Filippo Argelati 24. La mostra è aperta d martedì a sabato dalle 11,30 alle 19, dal 16 maggio al 27 giugno.

lunedì 12 maggio 2025

NATURALMENTE PREZIOSI

E'calcarea l'enorme parete rocciosa chiamata Balena Bianca tra i boschi di San Filippo nel sud della Toscana. Ma Calcarea è anche il nome di una collezione di borse “che parla di ciò che resta, di ciò che resiste, di una bellezza che si sedimenta nel tempo”, presentata a Milano questa settimana.  





Proprio come quella roccia, anche l’ultima creazione di Biagini, marchio di alto artigianato fondato 40 anni fa da Alberto Amidei a Modena, affiancato dalla moglie Enza e dal 2009 dai tre figli. Un accostamento quello delle borse e delle rocce perfetto. Ribadito nelle immagini della campagna, frutto della collaborazione della famiglia Amidei con la fotografa Carlotta Bertelli e Gianluca Guaitoli direttore creativo di Studio Hamor, firmatario dell'art direction della collezione. A far da testimonial, nella natura splendida di Balena Bianca, Marie Sophie Wilson, modella icona e musa di Peter Lindbergh negli anni 90, tornata di recente in passerella per Valentino Haute Couture.  Ed eccola quindi seduta su una roccia, a piedi nudi in un piccolo ruscello, con lo sfondo del bosco, con in mano o a fianco alcuni dei pezzi clou della collezione. Dalla tracolla a forma di pesce in pelle dorata alle sacche in pitone o in struzzo, alle piccole borse squadrate in coccodrillo. Veri gioielli di prezioso artigianato. 

giovedì 8 maggio 2025

DIETRO GLI OCCHIALI

 La Biennale di Architettura di Venezia apre sabato ma già ci sono eventi e mostre. Come The lens of time, inaugurata ieri a Cannaregio, nel Palazzo Flangini, il primo che s’incontra sul Canal Grande appena usciti dalla Stazione, restaurato da poco. Ideale per raccontare la storia dell’occhiale dalle origini medioevali agli anni 90. Un oggetto con finalità funzionali, addirittura dispositivo medico, che mette insieme arte, design, artigianato, tecnologia, tradizioni, passato, presente e futuro. Come indica, sul manifesto della mostra, l’occhiale trasformato in clessidra, uno de simboli più rappresentativi del tempo che scorre. 





Da vedere al piano terreno, in teche di vetro, oltre 150 pezzi provenienti da tre collezioni, quelle private della famiglia Vascellari, ottici veneziani, e di Arte del Vedere di Lucio Stramare e  quella del Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore. Il percorso espositivo, in un’unica sala, attraversa sette secoli. Dai primi rudimentali strumenti per leggere del 1300, in ferro, rame, ottone, da appoggiare sul naso, usati soprattutto da studiosi e religiosi, come  spiegano i manifesti alle spalle, fino all’eyewear fashion degli anni 80 e 90 firmato delle più prestigiose maison, in nuovi materiali plastici. Molte le curiosità rivelatrici di modi di vivere, ma anche i pezzi con una storia specifica.  Come i rudimentali e pesanti occhiali di Sean Connery nel film In nome della rosa, o i piccoli, metallici inseriti nella copertina di una Bibbia, appartenuti probabilmente a un religioso (v.foto in basso). Svariati anche  gli astucci o le speciali lenti, come quella grande verde con montatura e manico in legno usata nel 1700 dalle dame veneziane in gondola, per ripararsi dal sole responsabile di “orribili abbronzature da contadina”. O ancora nel secolo dopo gli occhiali racchiusi nel manico di un bastone, di un ventaglio, di una collana, le lorgnette, i fassamano da tenere in mano (da face-à-main), i pince nez (v.foto al centro)
. Fino ad arrivare agli anni 50 con gli occhialoni da diva hollywoodiana a farfalla, precursori degli attuali cat-eye. E, dopo, alle maschere da moto e da sci, come quella indossata da Lady Gaga nella parte di Patrizia Reggiani nel film House of Gucci. Fino alle montature grandi firme o ai divertissement con vistose pietre di Moschino o con aste–forchette di Jean Paul Gaultier.  A completare il tutto due installazioni dell’artista Maurizio Paccagnella, una realizzata con acetato scarto di fabbricazioni di montature, l’altra con occhiali in un pannello che sembrano galleggiare in una materia fluida, ispirata alla Laguna di Venezia. La mostra, promossa da ANFAO Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici, è a ingresso gratuito, tutti i giorni dalle 11 alle 17, fino al 30 luglio.  

lunedì 5 maggio 2025

TIPI DA FOTO


Typologien
s’intitola la mostra sulla fotografia in Germania nel 20° secolo, alla Fondazione Prada di Milano. Un titolo che incuriosisce, ma anche intimidisce. Come spiega la curatrice Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK fur Moderne Kunst di Francoforte, fa riferimento a un "principio-metodo" per far emergere somiglianze e differenze. Un principio quello delle tipologie, non a caso, applicato negli studi botanici del Seicento e Settecento. Molto utile trattandosi di oltre 600 foto scattate da 25 fotografi, dal 1906 ai primi anni 
duemila. 





Quasi a insistere o a spiegare il "principio-fil rouge", ad aprire il percorso foto di piante e fiori realizzate da svariati fotografi. Dai ritratti perfetti, a scatti di paesaggi con inquadrature particolari, a interpretazioni surreali che spingono a visioni inaspettate come le  piante colte nel loro aspetto più stilizzato, tanto da sembrare architetture. La tipologia  si sposta sugli animali ed ecco immortalati da Candida Hofer tigri, leoni, giraffe e ma anche orsi polari e pinguini (foto in alto), ripresi e "mortificati" in giardini zoologici. Testimonianza di una “forma di solitudine dei tempi moderni”. Sempre della stessa autrice le biblioteche di Londra, Parigi, New York, riprese fuori orario, illuminate e deserte. E poi le case, come la differente "interpretazione-arredo" di una stessa stanza in un grande condomino berlinese. Famosa la foto del caseggiato di Maine-Montparnasse a Parigi, di Andrea Gursky, con un’ elaborazione digitale che gioca sulle differenze e le ripetizioni delle finestre. Sulla ripetizione e la diversità sono anche i ritratti di  persone  da sole sullo stesso ascensore di Heinrich Riebesehl. Nessun titolo, nessun nome, sebbene si sappia che le foto sono state scattate nell’ascensore di un quotidiano di Hannover e gli uomini e le donne ritratti sono persone che vi lavorano(foto in basso). Una di queste foto è anche la locandina della mostra. Gli sguardi diversi nello stesso ambiente sono i veri protagonisti. In una stanza chiusa il ciclo di Hans Peter Feldmann su morti legati a movimenti politici dissidenti. Novanta immagini, quasi sempre riproduzioni sgranate di fotografie  pubblicate su giornali. La mostra nel Podium della Fondazione Prada di via Isarco, aperta  il 3 aprile, chiude il 14 luglio.