Che la firma nella moda abbia perso quasi completamente il suo
appeal è risaputo. Si assiste a un fenomeno
esatto contrario di quello che aveva portato alla dittatura della firma.
Agli inizi del prêt-à-porter, era
qualcosa che si conquistava con la creatività e la qualità tanto
che acquistando un capo con quella certa
firma si aveva la garanzia del suo
valore. Poi la firma ha incominciato a
prendere spazio, è stata esibita, esaltata, fino a diventare elemento
decorativo e perfino la motivazione principale
all’acquisto. Si comprava un certo capo
o un certo accessorio non perché era ben fatto, donante, esteticamente
attraente, ma perché aveva quella data firma. Da qualche anno si sta assistendo
più che a una marcia in dietro, a un percorso contrario. I marchi
vogliono farsi notare, e quindi farsi comprare, per la creatività e la
qualità, che significa realizzazione accurata con materiali selezionati. E su questi,
soprattutto, si gioca la partita più
interessante. Non ci si limita a cercare l’eccellenza, ma si punta alle
lavorazioni particolari. Che presuppongono alta artigianalità, ma anche inventiva.
Per reazione all’ esibito chiassoso del passato si insegue il raffinato da
scoprire. Non per un giochetto fine a se stesso, ma per l’ estetica e il confort. C’è chi propone, e
sono molti, il denim in filati preziosi o il jeans con rifiniture da sartoria, la camicia da lavoro ma in seta.
Ci sono addirittura brand come Distante
Cashmere (v.foto), dell’azienda fiorentina Marielle, che hanno esordito con questi presupposti. Ed ecco in prezioso
cashmere la tipica felpa con cappuccio e zip o l’abito tunica ideale per un
cocoon chic o, veri virtuosismi, la giacca effetto neoprene o lo spolverino che sembra una pelliccia e non solo perché è
caldissimo.
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