sabato 16 febbraio 2019

I BAMBINI DI SELVINO


Un film che deve essere visto. Non  tanto perché parla di Shoah, argomento di cui non se ne parla mai abbastanza, ma perché affronta il tema dell’accoglienza, di grande attualità in questo momento. La casa dei bambini di Francesca Muci 

racconta di un centinaio di bambini ebrei scampati dai campi di sterminio e portati in salvo dai genieri ebraici dell’esercito britannico a Selvino, piccolo paese delle valli bergamasche. Attraverso le testimonianze di alcuni ex orfani ormai anziani signori, che vivono nei kibbutz in Israele, dove furono portati tra il 1946 e il 1949. Con intermezzi di film luce dove li si vede camminare nella neve o giocare nel giardino della colonia costruita, ironia della sorte, durante il fascismo. S’intrecciano così storie di bambini strappati dalle loro case o nascosti dai genitori per essere messi al sicuro, arrivati chissà come dopo marce nel freddo, dormendo nei boschi, nutrendosi di quel che capitava.  L’ottima regia, con la scelta delle immagini e la voce fuori campo, mette in luce come i bambini abbiano potuto vivere una vita normale, oltre che provare finalmente la gioia di un piatto caldo, di lenzuola pulite, ma soprattutto di qualcuno che gli rendesse parte di quell’infanzia rubata. La loro vita nella casa era  scandita con  lezioni al mattino e corsi per imparare un lavoro nel pomeriggio. Dovevano darsi da fare e attenersi agli orari, ma erano protetti. Solo nella notte si sentiva qualcuno piangere. E questo ricordo è l’unico momento del film in cui si avverte forte il dolore e la sofferenza. Ma non c’è compiacimento e nessun  tentativo di arruffianarsi lo spettatore. Quello che viene messo, invece, ben in evidenza è come i bambini si erano integrati nel paese. Giocavano con i coetanei, tutti li conoscevano e volevano loro bene. Nonostante la precaria situazione del dopoguerra, nessuno a Selvino pensava Prima gli italiani. E neanche li sfiorava l’idea di Aiutiamoli a casa loro. Certo, loro un Paese non lo avevano più o non lo avevano ancora. Proprio come chi, adulto o bambino, ora fugge dai Paesi dove infuria la guerra e la morte è assicurata.      

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