giovedì 19 giugno 2025

CITTA' DA SOLE

Surriscaldamento della terra, con tutte le conseguenze. Come prepararsi. Questo in grande sintesi il tema della Biennale di Architettura di Venezia. Intelligens. Natural. Artificial. Collective: è il titolo che invita a “lavorare insieme per ripensare l’ambiente costruito”. Connesso quindi il tema dell’abitare. Lo ha affrontato l’Austria, con il punto di vista inedito di Agency for Better Living. Prese in considerazione due città, Vienna e Roma. A ognuna è dedicata un’ala del padiglione, progettato dall’architetto secessionista Josef Hoffmann nel 1934. A legare o separare le ale, un piccolo giardino con aiuola ispirato dalla vasca a forma di rene, che Hoffmann non realizzò mai, con blocchi di laterizio, riutilizzabili (foto sotto). 






Su un muro l’installazione di Armin Linke, con foto e testi di spiegazione sull’abitare e il social house a Vienna Roma (foto al centro). Perché la scelta della due città? Non è un confronto, da cui Roma uscirebbe malissimo.  Sono due visioni diverse che partono da tematiche diverse. Le sale di Vienna, curate da Sabine Pollak e Michael Obrist, si aprono con un video che spiega l’approccio e quindi le scelte di foto e documentazione. Tutto parte dal fatto che dalla caduta della Cortina di Ferro Vienna è riuscita a mantenere un costo della vita accessibile. E per quanto riguarda il mercato immobiliare non c’è speculazione
. Quasi l’80 per cento degli abitanti vivono in case in affitto. Nonostante l’espansione della città, l’edilizia popolare è di qualità. Non ci sono quartieri disagiati e quartieri ricchi. Come  mantenere questo stato nel futuro con una società che invecchia, una povertà crescente e il cambiamento climatico? L’ala dedicata a Roma, curata da Lorenzo Romito, soprattutto dopo aver visto l’ala di Vienna, si connota negativamente. Si avverte la speculazione edilizia, la quantità di spazi abbandonati, ruderi di fabbriche, dove si adattano a vivere persone, proteste per la casa. Come anticipa il video nella prima sala e una colonna, che racconta storie con piccole sculture.  Ma con foto e documenti si parla anche della rigenerazione che nasce dal basso, della trasformazione di ruderi in abitazioni da parte di comunità, nel rispetto di principi come la parità dei sessi o la convivenza di etnie diverse. Dal caso del Porto Fluviale a quello dell’Hotel Quattro Stelle. Tutto documentato con foto d’interni risistemati o in via di sistemazione, ma anche rovine della Roma Caput Mundi, vicine a ruderi senza qualità, edifici dismessi, terreni incolti. Vari gli incontri sul tema del futuro delle città, tra i quali, interessante e con un buon pragmatismo, quello del futurologo Andreas Reiter.

martedì 17 giugno 2025

STORIE SOTTO IL MARE (E NON SOLO)

Le balene sono state spesso oggetto di racconti, fiabe, interi romanzi con firme più che autorevoli. Ma che potessero diventare il soggetto di una mostra divertente, poetica, incuriosente, allestita in un acquario, non ci se lo aspettava. E’ invece ecco Il canto delle balene. Storie fantastiche da un mondo sommerso, di Stefano Prina, all’Acquario Civico di Milano fino al 29 giugno. Stefano Prina non è un etologo e nemmeno un ittiologo o meglio un "balenologo", ma un architetto e modellista che ama raccontare storie attraverso i diorama, riproduzioni in scala ridotta di ambienti, soprattutto naturali.  In questo caso, dove  animali acquatici interagiscano con umani in scala.

 




L’autore stesso lo definisce un gioco dell’Oca in 33 tappe, dove non ci sono solo balene, ma anche polpi, squali, perfino pinguini, oltre che umani naturalmente. Ogni tappa è in sostanza "una scenetta", alle volte spiritosa e fine a se stessa, altre rivelatrice di verità scientifiche, altre ancora usata per affrontare o far riflettere su un argomento. Anche se il surreale è dominante. Ecco, per esempio, La
 seduta che ricrea lo studio di uno psicanalista, dove sul lettino c’è un balenottero che dice “Il fatto è che ho 738 fratelli, temo sarà una cosa lunga...”(foto in alto). C’è la tana che spiega come il gioco del nascondersi sia praticato da moltissimi animali e nei pesci preveda “in tana” quattro pesci, non uno solo come da noi umani. Un diorama racconta delle ultime bottiglie di grasso di balena, con il cadavere  dell’ultima balena fornitrice trasportata via e le bottiglie a terra. Una balena di legno su un carro vuole essere la testimonianza che nella guerra di Troia non fu utilizzato un cavallo, bensì una balena (foto al centro). C’è un palio con balene cavalcate da fantini (foto in basso). L’itinerario passa anche per il cinema. Ed ecco la famigliola con nonni e cane che guardano il colossal Lo squalo terrorizzati, mentre i nipotini sono tranquilli e divertiti. “Con la mostra Il canto delle balene l’artista mette a disposizione la sua arte, che unisce abilità meccanica e sogno, per una seria riflessione sullo stato di salute del nostro pianeta” ha scritto Domenico Piraina, direttore Cultura del Comune di Milano e quindi direttore dell’Acquario Civico, nella presentazione all’ingresso. Davvero una mostra da non perdere. 

sabato 14 giugno 2025

ITALIA - USA X TRE

Costantino Nivola, Angelo Savelli, Salvatore Scarpitta, tre grandi artisti del secolo scorso. Ognuno con percorsi diversi e modi diversi di concepire l’arte. Tutti e tre con una fama internazionale e un lungo legame con gli Stati Uniti. Così uniti li racconta, attraverso le loro opere (in vendita), la mostra Nivola, Savelli Scarpitta: un trio internazionale, fino al 28 giugno alla Galleria Paula Seegy di Milano. Così li ha raccontati in un piacevole incontro, avendoli conosciuti, Luigi Sansone, che ha curato l’esposizione. Ha messo in risalto e spiegato il loro percorso creativo, ma ha anche fatto conoscere episodi e momenti delle loro vite, interessanti, drammatici, curiosi, talvolta divertenti. 






“Hanno respirato e vissuto l’arte e la cultura dei due continenti e nello stesso tempo hanno contribuito ….a far conoscere l’arte italiana in America ed essere ambasciatori dell’arte americana in Italia” ha detto Sansone. Nivola, nato in Sardegna nel 1911, dopo essere stato direttore artistico dell’Olivetti per cui progetterà il negozio sulla Fifth Avenue, nel 1938 si trasferisce a New York dove entra in contatto con artisti e personaggi come Le Corbusier. Realizza bassorilievi per diversi palazzi di Manhattan. Si stabilisce in una casa un tempo abitata dai surrealisti, in mezzo a un bosco dove sono soliti andare in vacanza vari artisti. In galleria sono esposte le sue piccole ed espressive sculture in terracotta, in latta, in terracotta patinata e qualche schizzo (foto in alto). Angelo Savelli, nato in Calabria nel 1911, partecipa a diverse Quadriennali d’arte di Roma e alle Biennali di Venezia, dove nel 1964 riceverà la medaglia d’oro per la grafica. Nel 1953, si sposa con la giornalista americana Elizabeth Fisher e con lei si trasferisce definitivamente a New York. In galleria è possibile seguire il suo percorso artistico che va dal figurativo all’astratto a tinte forti, fino alle tele bianche con disegni pseudo-geometrici (foto al centro). Salvatore Scarpitta nasce a New York nel 1919, ma va in Italia nel 1936 per studiare all’Accademia di Belle Arti a Roma. Durante la guerra, essendo cittadino americano e antifascista, vive un periodo drammatico tra confino, fughe, nascondigli in montagna, fino al 1945 quando si arruola nella marina americana.  Avventuroso è anche un episodio dell’adolescenza raccontato da Sansone. Per sfuggire alle botte del padre per un rifiuto a lavorare, si rifugia su un ramo di un albero, dove, dicono, rimane un mese. Ispirando, pare, Il barone rampante di Italo Calvino.  Da vedere in galleria i suoi Senza Titolo di bitume e olio su tela, tra i quali il barattolo di cibo per cani (foto in basso), due collage  su stampa di Incidente a Rimini e una composizione geometrica su tela applicata su cartoncino.  

venerdì 13 giugno 2025

MOSAICI CAPRESI

Dilatare lo spazio attraverso la fotografia, questa la linea guida  dei mosaici con polaroid di Maurizio Galimberti. Che per tutto giugno sono esposti nella boutique milanese di Eleventy. Questa volta il soggetto è Capri. “Capri è luce che si muove . La polaroid mi permette di ascoltare la musica di questa luce, di scomporla, di darle una struttura armonica. Come il taglio di una giacca, come un’architettura di stile” dice Galimberti.  


 



Il suo racconto per immagini è un omaggio all’isola, che fa parte anche del libro Sguardare, realizzato dal Jumeirah Capri Palace, dove sono in mostra una selezione delle sue opere. Con il famoso hotel, Eleventy ha dal 2017 un sodalizio che poggia sui valori dell’eleganza e la qualità del made in Italy, di cui Capri è più che un esempio. “Lo sguardo di Galimberti ci ha permesso di raccontare un’estetica… che sentiamo nostra, fatta di luce, composizione, dettagli e identità” spiega Marco Baldassari co-fondatore con Paolo Zuntini e direttore creativo Uomo di Eleventy.   Ed ecco quindi, nei due piani della boutique, vetrine  comprese, inserite perfettamente tra le collezioni, le opere di Galimberti. Svariati e di svariate dimensioni i mosaici con i campanili presi da diverse angolazioni, con luci diverse, sfondi di colore diversi. O la composizione fatta da immagini di un turista che fotografa  mare, cielo e alberi, dove l’effetto scomposizione e ricomposizione è ancora più evidente. Capri non si vede, nel mosaico di polaroid con le mani (foto al centro), ma c’è, in forma di luci, ombre e soprattutto atmosfera.  


 

mercoledì 11 giugno 2025

ANNI D' ARTE

Una visita anche lunga non è sufficiente per la mostra alle Gallerie d’Italia di Milano, in corso dal 30 maggio al 5 ottobre. E il titolo Una collezione inattesa. La Nuova Arte degli anni Sessanta e un Omaggio a Robert Rauschenberg in qualche modo lo preannuncia. Non tanto perché conta sessanta opere che occupano quasi interamente le monumentali sale, ma perché racconta le sperimentazioni artistiche dalla fine degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta. Un periodo quindi lungo e denso di "rivoluzioni". Dove si inserisce appunto il tributo a Rauschenberg per il centenario della nascita con sue importantissime opere, in cui utilizza svariati materiali in inediti assemblaggi (foto sotto).  





Quanto ai lavori degli altri artisti sono in un dialogo, pressoché continuo, tra arte europea, italiana soprattutto, e arte statunitense.  Si parte dalla "piccola rivoluzione" di Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein. I primi due con "la rinuncia al colore", sostituito dai famosi tagli di uno o dall’applicazione di vetri sull’acrilico, con l’effetto tridimensionale per l’altro. O, invece, un provocatorio monocolore per Klein. Si continua con il minimalismo americano dei meno conosciuti Robert Mangold e Carl Andre, affiancati dalle superfici bianche di Enrico Castellani. Un minimalismo rivisto, che prelude alle nuove intuizioni dell’Arte Povera, quello di Michelangelo Pistoletto che gioca con gli specchi o di Giulio Paolini con gli ineffabili leggii. Fino ad arrivare ai collage di Jasper Johns e alla Pop Art. Con Roy Lichtenstein, le immancabili Marilyn e i Mao di Andy Warhol, ma anche, nella medesima ripetizione ossessiva, le Electric chairs (foto al centro). Nella stessa sala ecco la bandiera piegata di Giulio Paolini con il titolo Averroé, dal nome del filosofo spagnolo del XII secolo, sul tema del simbolo che perde leggibilità. Alla fine del percorso le coloratissime opere di Jean-Michel Basquiat (foto in basso)che “rompe con i codici freddi della Pop Art”, e la pseudo-mappa di Francesco Clemente con il fil rouge fra Roma e Milano.

domenica 8 giugno 2025

LA MORTE SA LEGGERE

Il titolo Cara morte, amica mia può apparire un po’ inquietante, in qualche modo ribadito dalla foto di copertina, essenziale ma possibile stimolatrice di significati cupi. Basta poco però per capire che non è così e non è nemmeno un titolo per “comprare” l’attenzione. Già la cornice milanese dove è stato presentato il libro di Gaia Trussardi e la formula della presentazione tolgono molti dubbi. Sul Roof del Superstudio Più, dominato dal Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, dà il via a una serie di incontri a cura di Gisella Borioli, fondatrice con Flavio Lucchini e anima del Superstudio Più. E’ stata chiamata Amiche “ben sapendo quanto la solidarietà, la complicità e l’amicizia tra donne siano la chiave per scoprire mondi sconosciuti”. 





Proprio come succede per questo primo libro di Gaia Trussardi. Autobiografico, racconta il confronto con la morte, prima del padre, l’imprenditore e stilista Nicola, poi del fratello Francesco. Per la maggior parte è scritto in forma di lettera, dove l’autrice parla con la morte, come fosse appunto un’amica, ragionando con lei sui dubbi, chiedendole spiegazioni dei suoi comportamenti, senza mai accusarla apertamente e senza masi esagerare. In altri capitoli, invece, evoca momenti più o meno felici dell’infanzia, episodi della sua adolescenza, e poi la giovinezza dove si fa vivo il pensiero della morte, l’anoressia, l’analisi. In nessun momento vuole impietosire, ma neanche dimostrare una sua fermezza, che invece possiede e forte. Non nega le sue capacità, ma non si crea problemi a rivelare le sue debolezze o la timidezza. Il tutto in un alternarsi di “profondità e leggerezza”. Un libro, tra l’altro, che può coinvolgere nella lettura ogni fascia d’età. Dalle sue coetanee (Gaia è nata nel 1979) alle più giovani e alle più mature, quando parla della passione per la musica, del rapporto con la madre, con gli amici, i fratelli, il padre stesso o ancora l'apprensione per i figli. Interessanti e coraggiose le domande che si pone, per esempio sulla possibile connessione tra felicità e superficialità, che denotano una  capacità di entrare nel merito delle situazioni e dei fatti, dovuta anche ai suoi studi di antropologia e sociologia in Inghilterra. Ne esce una figura di giovane donna che si ha voglia di conoscere, di scambiare con lei pensieri e riflessioni, ma anche di sorridere e rilassarsi con lei.  Per quel passare dal racconto di un momento terribile, come la notizia improvvisa e inaspettata della morte di un padre e di un fratello, al ricordo  di una gita da piccola o della sua prima esibizione un po’ goffa in una band musicale. Il libro è pubblicato da Francesco Brioschi Editore


venerdì 6 giugno 2025

DESIGN CONTEMPORANEO, ANZI DATATO

Mobili e oggetti di arredo di più di un secolo fa, perfettamente assimilabili a pezzi di ultimo design, sono in mostra da domani al Vitra Design Museum di Basilea. Un museo che non solo è una garanzia per la scelta delle mostre, ma un luogo dove si ha sempre voglia di tornare per la meraviglia delle installazioni permanenti, che creano una delle più rappresentative sintesi del miglior design dal Novecento a oggi. Questa ultima esposizione dal titolo The Shakers. A world in the Making ne è un esempio felicissimo. Non solo per il design, ma perché fa conoscere un’interessante realtà che data del 18esimo secolo.





 

Quando la comunità degli Shakers, nata in Inghilterra, nel 1774 emigra nelle colonie americane, dividendosi in 18 gruppi, dal Kentucky al Maine.  Sono circa seimila persone, che portano avanti una religiosità basata sul lavoro e l’uguaglianza, estesa al modo di vivere. Anche la costruzione di un mobile, di una scatola o di un attrezzo per coltivare la terra è un atto religioso. Vivono in comunità, rispettando il celibato. Uomini e donne lavorano insieme, ma dormono separati. Per questo ora gli Shakers sono ridotti a pochissime unità, si parla addirittura di due. Ci sono dei bambini, si vede dalle foto dell’epoca e dalle culle, ma sono orfani che vengono adottati dalle diverse comunità. I pezzi esposti autentici sono circa 150 e provengono, per la maggior parte, dallo Shaker Museum in Chatham, New York. I mobili, per  lo più in legno, hanno un disegno essenziale oltre a una precisa funzione e la mostra vuole proprio mettere in rilievo questa caratteristica di contemporaneità. Ci sono attrezzi da giardino, culle non solo piccole per neonati, ma grandi per gli adulti gravemente  malati. Molta attenzione è data al benessere e alla salute e ad aiutare le persone “diverse”. Ecco quindi la sedia a rotelle che può essere anche a dondolo. Lo scarponcino ortopedico con tacco alto per gli zoppi e una serie di medicinali a base di erbe. La funzionalità è l’elemento comune: dalle scatole-contenitori di vario tipo in legno, al piccolo scaffale  con piani ravvicinati per raccogliere i giornali. C’è una radio, ci sono macchine da cucire, cassettiere, tavoli per scrivere, stufe che servono per riscaldare gli ambienti, ma anche i ferri da stiro.  Oltre a  capi di abbigliamento, cappe in lana e cuffie che ricordano  quelle usate dagli Amish, con cui gli Shakers, a detta dei curatori, non hanno avuto mai punti di contatto. E’ ricostruita anche una casa in legno di uno strano azzurro, con lunghe panchine per gli incontri della comunità. Ma ci sono anche foto di case a più piani, costruite dagli Shakers. A completare la mostra una sala dedicata alla musica.  Oltre a un metronomo, a un piano-violino e a un libro di inni, il video Power dell’artista e coreografo Reggie Wilson, fondatore del Fist & Heel Performance Group, che con l’esibizione dei suoi ballerini vuole raccontare il legame delle danze degli Shakers con quelle degli afro americani. La mostra, organizzata dal Vitra Design Museum, dal Milwaukee Art Museum, dall’Institute of Contemporary Art Philadelphia e dalla Wustenrot Foundation in collaborazione con lo Shaker Museum, chiude il 28 settembre

martedì 3 giugno 2025

UN PRINCIPE PIU' CHE AZZURRO

Definirlo semplicemente romanzo non sembra giusto, gli si toglie molto, ma chiamarlo romanzo storico potrebbe essere azzardato. Il principe azzurro di Diego Cugia (Giunti Editore) è una felice sintesi di tutte e due le espressioni letterarie. Racconta la breve e intensa vita di Corradino di Svevia. Un personaggio che molti conoscono in virtù di quella discutibile poesia di Aleardo Aleardi che lo dipingeva "biondo, bianco, beato" e di un unico verso dell’inferno dantesco. Ma pochissimi conoscono i suoi “fatti”, svoltisi nel giro di soli sedici anni. 

 


Con una prima parte da piccolo principe di una delle più importanti famiglie reali, una madre autoritaria e anaffettiva che quando ha solo nove anni lo abbandona nelle mani della servitù, ma fortunatamente anche del famoso Yesuf che lo inizia a pensieri e riflessioni, che gli saranno utilissime per formare il suo carattere e la sua tempra. Nella seconda parte è un sedicenne con la mente di un uomo maturo, che vuole riconquistare le sue terre, ma non per la sete di potere fine a se stessa dei suoi avversari. Ne emerge una figura bella e positiva, di cui è difficile non subire il fascino o innamorarsi. E questo anche  grazie al tipo di narrazione che mette insieme fatti e sentimenti in giusto equilibrio tra loro, senza mai eccedere, e soprattutto non lasciando mai che gli uni condizionino la valutazione degli altri. Corradino è una figura vera, realistica, che potrebbe esistere, anzi si vorrebbe che esistesse. Un "principe azzurro" per tutti, non solo per le "Cenerentole". E questo è emerso già in parte anche nella presentazione del libro grazie alle azzeccate domande rivolte a Cugia dalle giornaliste e scrittrici Anna Folli e Valeria Serra. A cui l’autore ha sempre risposto con enfasi, alle volte perfino togliendo la parola alle intervistatrici. A completare la magia della situazione il luogo, The Sanctuary, una vecchia struttura ex deposito ferroviario di Porta Genova riadattato da una community di artisti. E la musica dal vivo di Soulin'duo.



sabato 31 maggio 2025

IL DIFFUSO SI DIFFONDE

Il “diffuso” si sta espandendo, o meglio diffondendo. Non solo alberghi diffusi. Si parla di gallerie d’arte e di mostre. Succede con il progetto Vetrine al Photofestival a Verbania sul Lago Maggiore, dove per quasi un mese alcune vetrine della vicina Intra sono diventate piccole gallerie d’arte con la mostra fotografica Di altra acqua, di altra terra, a cura di Maria Sabina Berra.  




Come spiega la curatrice tra arte e vetrine s’instaura un dialogo interessante per ambedue le parti. Per cui gli artisti usano la vetrina come palcoscenico per far conoscere linguaggi e ricerca, i negozi amplificano il valore estetico dei loro prodotti. Un esperimento felice, nuovo in Italia, ma che ha avuto nel mondo importanti precedenti. Marcel Duchamp progettò la vetrina di una libreria per il lancio di un libro di André Breton a New York. Jean Tinguely a Basilea per un ottico, una libreria e un negozio di mobili. Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Andy Warhol hanno progettato vetrine a New York per Bonwit Teller e Tiffany. E così a Intra, la laguna di Venezia, immortalata da Fulvio Orsenigo, è stata protagonista nella Libreria Alberti in piazza S.Vittore. Vicino nella stessa piazza, da ViWa ad attirare i passanti la foto, scattata del reporter di spettacolo Alberto Calcinai, di Mastroianni con la sua eleganza understatement, sulla spiaggia di Rimini (in alto). A confermare le scelte e l’impronta della boutique. C’è solo una minuscola vela nel paesaggio marino di Isabella Balena, intitolato Senz’onde, un luogo fra il surreale e il sogno che si stenta a credere sia a Rimini(in basso). E’ nel negozio di moda e calzature Colombara in Piazza Ranzoni.  Come, sempre fotografato da Balena, il mare Adriatico dell’isola Pellestrina nella laguna di Venezia. E una composizione fotografica con scarpe che “fa immaginare presente e futuro di chi le indossa”. Cristina Omenetto, con una lunga esperienza di paesaggi e reportage sociali, ci ha portato sulla costa della California a Santa Monica. Tra la bigiotteria e le borse fatte a mano della Bottega di Mamì, in Via S.Vittore.  



giovedì 29 maggio 2025

MATERIA VIVA

Non stupisce che Mario Giacomelli sia stato definito “l’uomo nuovo della fotografia”. Lo si può vedere bene nelle due mostre per celebrare i cent’anni dalla sua nascita, una a Palazzo Reale di Milano fino al 7 settembre, centrata sul suo rapporto con la poesia, l’altra al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 3 agosto, sul suo rapporto con l’arte contemporanea. 





In questa seconda, più che mai, si averte il suo inedito modo di scegliere i soggetti e di come fotografarli. Dagli scatti sulla natura ai ritratti di persone, tutti in bianco e nero,  emerge la tendenza a partire da un elemento, apparentemente insignificante, per costruire un insieme. “Attraverso le foto di terra io tento di uccidere la natura” diceva e la sua natura è sempre a tratti e quasi irreale. La materia è protagonista e il movimento, anche la decomposizione, è elemento dominante. Così le foto dei campi arati con segni particolari, fatti dai contadini che l’artista pagava perché li facessero su sua richiesta. Questa tendenza si ritrova anche nel ritratto della madre e nelle immagini che raccontano gli anziani, colti nella loro intimità spesso terribile e mortificante. O ancora nelle folle di Lourdes dove i volti sono trasfigurati e quello che domina è la precarietà. Un realismo crudo, che diventa ironico in quella serie di scatti dei giovani preti. Risultato di un anno passato in un seminario (foto al centro). Molto interessante anche il dialogo con opere di artisti contemporanei. Da Alberto Burri con Combustione, a cui era accomunato dal desiderio di sviscerare la materia. A Enzo Cucchi con Tetto, che come lui vede negli elementi di un paesaggio non lo sfondo, ma i protagonisti. O Jannis Kounellis con l’installazione Senza titolo fatta di sacchi di iuta pieni di carbone che circondano un ammasso di vecchi occhiali, simbolo di materia e disgregazione. O i ritratti di inquietanti personaggi in interni claustrofobici dello statunitense, naturalizzato sudafricano, Roger Ballen (classe 1950) che considera Giacomelli una delle sue fonti d’ispirazione. A completare la mostra svariati “autoritratti”(foto in alto), non certo dei selfie, con cani e la ricostruzione del suo atélier(foto in basso).

lunedì 26 maggio 2025

NON PIU' DI SEI

Entrando, non ci si aspetta un salone con pareti in legno, un soffitto di vetro e un’ampia vetrata affacciata su un verdissimo e curato giardino. Al centro un sedile di pietra che circonda un monumento in  terra rossa (argilla?), non bene indentificabile, di un signore, un pastore o un contadino, affiancato da un bambino. Lo sovrasta un’installazione con palloni, forse simboli del mondo, in metallo e in legno. Da un lato uno scalone, sempre in legno, conduce al piano superiore, dominato da un modulo di legno chiaro con scritte e disegni. 





Sono piccoli racconti di viaggio. Lo scompartimento di un treno con il finestrino che lascia intravvedere prati e montagne. L’interno di uno chalet con finestra e tendine semiaperte su monti e valli. La cabina di una funivia dai cui finestrini cosa si vede? Montagne innevate e lo spicchio di un lago . Uno spettacolo  montano molto simile a quello che si gusta "vero" dalle vetrate sopra il modulo-paravento, e dietro alla scritta VisiTuri. Che non ha niente a che vedere con il latino, ma invita a visitare il cantone di Uri, quello che con Switto e Unterwalden sottoscrisse nel 1291 l’atto costitutivo della Confederazione Svizzera. Cos’è? Una mostra temporanea? Un piccolo museo del viaggiatore? No. E’ il passaggio alle razionali e imponenti toilette del Gotthard Raststatte sull’autostrada. Solo scendendo lo scalone ci si accorge che a destra c’è una porta che immette in un ristorante e a sinistra uno shop dedicato soprattutto ai gadget-ricordo. Qui si può comprare, solo con carta di credito. Godendo dello sconto del buono di un euro speso all’ingresso della toilette. Massimo dei buoni accumulabili a persona sei. Sei pipì, non una di più.




giovedì 22 maggio 2025

UN' IMPRESA IN DIRETTA

Non è semplice in uno spettacolo decisamente comico, dove non mancano punte di voluto "becerismo", riuscire a fare critiche azzeccate di "costume e società". Il tutto senza alcuna pretesa, esclusa quella di far ridere. Si sta parlando di La molto tragica storia di Piramo e Tisbe che muoiono per amore, al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 25 maggio. Non può certo dipendere dal fatto che lo spettacolo sia liberamente tratto dalla scena dei comici del Sogno di una notte d’estate di Shakespeare. Ma piuttosto da come è stato rivisitato da Renato Sarti, che ha curato l’adattamento e la regia, oltre a fare un’apparizione in finale. 




In scena cinque attrici e un attore, tutti bravissimi e convincenti nella parola e nella gestualità. Interpretano le dipendenti di un’impresa di pulizia dal nome "La Scopata" e il loro capo che vogliono mettere in scena, su un palco parrocchiale, la storia d’amore di Piramo e Tisbe. L’improvvisata regista è la pugliese Rossana Mola, solo apparentemente la più seria e rigorosa, affiancata da Federica Fabiani, emiliana costretta suo malgrado a interpretare la parte di Piramo, nonostante le immense "tette" di cui va fiera. C’è la cubana tutta presa dalla lotta politica, che macina i soliti slogan, interpretata dalla vera cubana Milvys Lopez Homen e la russa, chiamata da tutti Sborona, che vuole sempre ballare ed è la russa Elena Novoselova, ottima ballerina fintamente goffa, a giocarne il ruolo.  E poi c’è Marta Marangoni nella parte di Pot-pourri, tipica rappresentante di quel mondo legato ai social, allo yoga e ai vari luoghi comuni del genere. Unico uomo il capo dell’impresa di pulizia, interpretato dall’ivoriano Rufin Doh, che ha tutte le caratteristiche del piccolo imprenditore brianzolo che non paga le tasse, né i contributi ai dipendenti e, ironia della sorte, nonostante le origini è legato alla Lega, di cui ha assorbito in pieno il modo di pensare e di parlare. Tutto completato da una scenografia a effetto, costumi ben studiati e divertenti, musiche in sintonia con canzoni originali, anche di Cochi Ponzoni.



domenica 18 maggio 2025

IRRESISTIBILMENTE IPPOLITA

Tra i pregi degli spettacoli di Ippolita Baldini c’è sicuramente il ritmo sostenuto, per un’ora e mezza. Con continui motivi di risate, cambi d’abito, balli, immaginari dialoghi, sdoppiamenti di persona. In questo ultimo Io Roberta Ippolita Lucia, al Teatro della Cooperativa di Milano dal 13 al 18 maggio, non si è smentita. Sempre più nota anche al grande pubblico della TV, lavora sugli stessi temi, ispirati, rivela con entusiasmo e riconoscenza, dalle sue due "Franche modelli", Rame e Valeri (molto si riconosce nel suo personaggio del Diario della Signorina Snob di Franca Valeri). 




Lei Roberta Ippolita Lucia, sempre autobiografica con i suoi tre nomi e i suoi tre cognomi (una e trina si definisce), ogni tanto dialoga con la madre in cui si trasforma semplicemente tendendo la testa all’indietro e tenendosi la folta chioma, ovvio con una voce impostata. Questa volta arriva sul palco dal pubblico scusandosi per il ritardo, dovuto al "duro" lavoro svolto con altri volontari, tutti con tre cognomi e nomi che vanno da Luchino a Gaddo, a Lapo, con i quali ha dovuto ricostruire le coppie di calzini spaiati da mandare a bisognosi bambini del Mali. Da qui l’ironia, con una divertente presa in giro di un certo mondo, prende la rincorsa.  Fino alla scena finale in cui insegna alle signore del pubblico a simulare l’orgasmo, sostenendo che a furia di simularlo, alla fine lo si prova. Un’idea, dice, che parte dai deludenti dati del famoso Rapporto Kinsey sull’orgasmo femminile. Il tutto passando per feste bene, viaggi a New York, incontri in discoteca, storie con ipotetici fidanzati neri del Queens.  Continuamente cambiandosi d’abito velocissima. Alle volte dietro un paravento, unico oggetto in scena, alle volte voltata di spalle. Soltanto per il bis, il cambio d’abito ha richiesto più tempo. Durante il quale, Ippolita Baldini nascosta, ha continuato a parlare, cantare e soprattutto a intrattenere e far divertire il pubblico. 

sabato 17 maggio 2025

RADIOGRAFIA DI UN VUOTO

Niente di eccessivo. Nessun momento tragico per accattivarsi il pubblico. Nessuna concessione alla battuta facile, nonostante i dialoghi che potrebbero rasentare il surreale. Tutto è di misura, perfettamente calibrato. Proprio per questo Intorno al vuoto al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, fino al 18 maggio, non è solo convincente, ma in molti momenti straziante. Scritto da Benedetta Nicoletti e diretto da Giampiero Rappa, lo spettacolo parla di Alzheimer attraverso la vicenda di una famiglia. In scena una madre, un padre, una figlia. Interpretati da Paola Giorgi, direttore artistico di Bottega Teatro Marche che ha prodotto Intorno al vuoto e ideatrice del progetto, Gianluigi Fogacci e Fabiana Pesci.     




Carol, la madre, stimata docente di psicologia è malata di Alzheimer, il mondo intorno a lei è sempre più sfuocato, c’è solo un vago ricordo di quello che era il suo atteggiamento nei confronti della figlia Liz. Ma mentre Liz tenta inutilmente di coinvolgere la madre, parlandole delle sue scelte lavorative, il marito Paul, noto ricercatore, è rassegnato. Non ha alcuna speranza. Vuole solo cercare di vivere una vita normale, forse anche per non distruggere il ricordo di un amore e di un’unione felice. E in questo quadro famigliare è raccontata la drammaticità cruda dell’Alzheimer che più di qualsiasi altra malattia coinvolge tutti in un enorme vuoto. Rende le persone così diverse da farle scomparire e non lascia vie di uscita. Ottima la recitazione, notevole la scenografia fatta di pareti di vetro da cui escono e entrano gli attori o dietro cui passano le loro ombre. Una possibile metafora del vuoto.  

giovedì 15 maggio 2025

ONDA NON ANOMALA

Una mostra che racconta un fenomeno culturale di grande impatto. E’ ovvio che Hallyu! L’onda coreana stia avendo successo. Prodotta dal Victoria and Albert Museum di Londra, dopo essere stata al Museum of Fine Arts di Boston e all’Asian Art Museum di San Francisco, è dal 4 aprile fino al 17 agosto al Museo Rietberg di Zurigo. In una villa immersa nel fiabesco Parco Rieter, è uno dei più importanti musei della Svizzera e l’unico che raccoglie l’arte tradizionale e contemporanea di Asia, Africa, America e Oceania. Fa un certo effetto vedere accanto a sculture, dipinti, oggetti per la maggior parte di epoche passate o che parlano di culture lontane, foto, installazioni, video, abiti e oggetti testimonianza di un mondo in evoluzione e proiettato nel futuro. 


  


Raccontano, infatti, la storia del pop coreano che, nato negli anni 90, si è diffuso ed è diventato al centro dell’attenzione mondiale. Il percorso espositivo ha quattro tappe. Nella prima si inquadra il veloce passaggio da paese preindustriale a internet e i social media,  la sua simbologia e la sua oggettistica. Tra i protagonisti l’artista PSY con i video su You Tube tra cui Gangnam  che nel 2012 ha superato i due miliardi di visualizzazioni. La seconda tappa parla, con foto e spezzoni di film, del cinema che a poco si va affermando, prima solo tra cineteche e cinefili, poi globalmente con Parasite e serie su Netflix. E il ricostruito "squallido bagno" di Parasite diventa un’installazione. Si continua con la musica e il K-pop che conta fans a non finire. In un video enorme compaiono ritratti in movimento di ballerini, improvvisati e non, a cui il visitatore può aggiungersi. L’ultima tappa riguarda la moda e la cosmesi,  molto importante quest’ultima dato che la bellezza è profondamente e storicamente radicata nella cultura coreana. L’aspetto fisico curato non è vanità o un piacere ma un dovere morale, perché indicativo del proprio stato sociale e interiore. Particolarmente interessanti i capi esposti dove è evidente lo "styling british", per quel che riguarda il recupero di elementi tradizionali nei tagli e nei tessuti pop e avveniristici.  Vari i riferimenti ai cartoons, ma anche ai fiori. Non solo stampati. Come i finti petali inseriti nel bomber unisex del noto brand Munn, fondato dal designer coreano Hyun-min Han, o l’abito a forma di peonia della giovane designer Sohee Park, coreana basata a Londra,  molto attenta alla sostenibilità.  Dopo Zurigo L’onda coreana finirà la sua "tournée" al National Museum of Australia di Canberra, dal 12 dicembre al 10 maggio 2026.

martedì 13 maggio 2025

RACCONTI IN VIAGGIO

Piccoli racconti per immagini dove poesia e ironia si accordano e si compenetrano. Questa è la mostra fotografica Doppia Uso Singola che si inaugura giovedì alla Galleria Patricia Armocida di Milano. Già il titolo, divertente ma con un retrogusto di tristezza per l’allusione alla solitudine, anticipa i contenuti. Questi sono giocati sulla collaborazione dell’artista, l’eclettico Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e la curatrice della mostra, la stessa gallerista Patricia Armocida.





Le 200 
foto esposte e incorniciate hanno il formato 20x20 delle "cementine", piastrelle da pavimentazione tipiche della Sicilia, di cui è originario Colapesce e dove sono stati realizzati la maggior parte degli scatti. Sono suddivisi in tre nuclei. Il primo, DUS acronimo di Doppia uso singola, usato nel "linguaggio alberghiero" e che dà il nome all’intera rassegna, raccoglie foto di camere d’albergo. Spesso il letto è disfatto e si vede utilizzato solo da una parte. Molte le foto di dettagli dal frigobar all’appendiabiti, alla doccia, al telefono sul comodino (in alto a destra). Lo completano un settore dedicato alle chiavi, prese da sole o inserite nella porta o sul pannello nella reception. La seconda serie, racconta “la relazione simbiotica” di Teresa e Anna, nonna e prozia dell’artista (in alto a sinistra). Immagini delle due case, dove molti particolari coincidono, ma anche di capi del guardaroba, spesso uguali, anche se le due signore non vorrebbero ammetterlo. E qui l’ironia è il filo conduttore.  Come anche nella terza serie intitolata Giorni sfiniti, dove i paradossi come una scala che porta a un muro o un assurdo groviglio di fili elettrici nel pieno centro di una città si alternano a immagini poetiche come un cielo di nuvole o uno spicchio di mare eoliano. La Galleria Patricia Armocida è a Milano in Via Filippo Argelati 24. La mostra è aperta d martedì a sabato dalle 11,30 alle 19, dal 16 maggio al 27 giugno.

lunedì 12 maggio 2025

NATURALMENTE PREZIOSI

E'calcarea l'enorme parete rocciosa chiamata Balena Bianca tra i boschi di San Filippo nel sud della Toscana. Ma Calcarea è anche il nome di una collezione di borse “che parla di ciò che resta, di ciò che resiste, di una bellezza che si sedimenta nel tempo”, presentata a Milano questa settimana.  





Proprio come quella roccia, anche l’ultima creazione di Biagini, marchio di alto artigianato fondato 40 anni fa da Alberto Amidei a Modena, affiancato dalla moglie Enza e dal 2009 dai tre figli. Un accostamento quello delle borse e delle rocce perfetto. Ribadito nelle immagini della campagna, frutto della collaborazione della famiglia Amidei con la fotografa Carlotta Bertelli e Gianluca Guaitoli direttore creativo di Studio Hamor, firmatario dell'art direction della collezione. A far da testimonial, nella natura splendida di Balena Bianca, Marie Sophie Wilson, modella icona e musa di Peter Lindbergh negli anni 90, tornata di recente in passerella per Valentino Haute Couture.  Ed eccola quindi seduta su una roccia, a piedi nudi in un piccolo ruscello, con lo sfondo del bosco, con in mano o a fianco alcuni dei pezzi clou della collezione. Dalla tracolla a forma di pesce in pelle dorata alle sacche in pitone o in struzzo, alle piccole borse squadrate in coccodrillo. Veri gioielli di prezioso artigianato. 

giovedì 8 maggio 2025

DIETRO GLI OCCHIALI

 La Biennale di Architettura di Venezia apre sabato ma già ci sono eventi e mostre. Come The lens of time, inaugurata ieri a Cannaregio, nel Palazzo Flangini, il primo che s’incontra sul Canal Grande appena usciti dalla Stazione, restaurato da poco. Ideale per raccontare la storia dell’occhiale dalle origini medioevali agli anni 90. Un oggetto con finalità funzionali, addirittura dispositivo medico, che mette insieme arte, design, artigianato, tecnologia, tradizioni, passato, presente e futuro. Come indica, sul manifesto della mostra, l’occhiale trasformato in clessidra, uno de simboli più rappresentativi del tempo che scorre. 





Da vedere al piano terreno, in teche di vetro, oltre 150 pezzi provenienti da tre collezioni, quelle private della famiglia Vascellari, ottici veneziani, e di Arte del Vedere di Lucio Stramare e  quella del Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore. Il percorso espositivo, in un’unica sala, attraversa sette secoli. Dai primi rudimentali strumenti per leggere del 1300, in ferro, rame, ottone, da appoggiare sul naso, usati soprattutto da studiosi e religiosi, come  spiegano i manifesti alle spalle, fino all’eyewear fashion degli anni 80 e 90 firmato delle più prestigiose maison, in nuovi materiali plastici. Molte le curiosità rivelatrici di modi di vivere, ma anche i pezzi con una storia specifica.  Come i rudimentali e pesanti occhiali di Sean Connery nel film In nome della rosa, o i piccoli, metallici inseriti nella copertina di una Bibbia, appartenuti probabilmente a un religioso (v.foto in basso). Svariati anche  gli astucci o le speciali lenti, come quella grande verde con montatura e manico in legno usata nel 1700 dalle dame veneziane in gondola, per ripararsi dal sole responsabile di “orribili abbronzature da contadina”. O ancora nel secolo dopo gli occhiali racchiusi nel manico di un bastone, di un ventaglio, di una collana, le lorgnette, i fassamano da tenere in mano (da face-à-main), i pince nez (v.foto al centro)
. Fino ad arrivare agli anni 50 con gli occhialoni da diva hollywoodiana a farfalla, precursori degli attuali cat-eye. E, dopo, alle maschere da moto e da sci, come quella indossata da Lady Gaga nella parte di Patrizia Reggiani nel film House of Gucci. Fino alle montature grandi firme o ai divertissement con vistose pietre di Moschino o con aste–forchette di Jean Paul Gaultier.  A completare il tutto due installazioni dell’artista Maurizio Paccagnella, una realizzata con acetato scarto di fabbricazioni di montature, l’altra con occhiali in un pannello che sembrano galleggiare in una materia fluida, ispirata alla Laguna di Venezia. La mostra, promossa da ANFAO Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici, è a ingresso gratuito, tutti i giorni dalle 11 alle 17, fino al 30 luglio.  

lunedì 5 maggio 2025

TIPI DA FOTO


Typologien
s’intitola la mostra sulla fotografia in Germania nel 20° secolo, alla Fondazione Prada di Milano. Un titolo che incuriosisce, ma anche intimidisce. Come spiega la curatrice Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK fur Moderne Kunst di Francoforte, fa riferimento a un "principio-metodo" per far emergere somiglianze e differenze. Un principio quello delle tipologie, non a caso, applicato negli studi botanici del Seicento e Settecento. Molto utile trattandosi di oltre 600 foto scattate da 25 fotografi, dal 1906 ai primi anni 
duemila. 





Quasi a insistere o a spiegare il "principio-fil rouge", ad aprire il percorso foto di piante e fiori realizzate da svariati fotografi. Dai ritratti perfetti, a scatti di paesaggi con inquadrature particolari, a interpretazioni surreali che spingono a visioni inaspettate come le  piante colte nel loro aspetto più stilizzato, tanto da sembrare architetture. La tipologia  si sposta sugli animali ed ecco immortalati da Candida Hofer tigri, leoni, giraffe e ma anche orsi polari e pinguini (foto in alto), ripresi e "mortificati" in giardini zoologici. Testimonianza di una “forma di solitudine dei tempi moderni”. Sempre della stessa autrice le biblioteche di Londra, Parigi, New York, riprese fuori orario, illuminate e deserte. E poi le case, come la differente "interpretazione-arredo" di una stessa stanza in un grande condomino berlinese. Famosa la foto del caseggiato di Maine-Montparnasse a Parigi, di Andrea Gursky, con un’ elaborazione digitale che gioca sulle differenze e le ripetizioni delle finestre. Sulla ripetizione e la diversità sono anche i ritratti di  persone  da sole sullo stesso ascensore di Heinrich Riebesehl. Nessun titolo, nessun nome, sebbene si sappia che le foto sono state scattate nell’ascensore di un quotidiano di Hannover e gli uomini e le donne ritratti sono persone che vi lavorano(foto in basso). Una di queste foto è anche la locandina della mostra. Gli sguardi diversi nello stesso ambiente sono i veri protagonisti. In una stanza chiusa il ciclo di Hans Peter Feldmann su morti legati a movimenti politici dissidenti. Novanta immagini, quasi sempre riproduzioni sgranate di fotografie  pubblicate su giornali. La mostra nel Podium della Fondazione Prada di via Isarco, aperta  il 3 aprile, chiude il 14 luglio.