Con l’arresto di Messina Denaro Falcone Borsellino e le teste di minchia, al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 22 gennaio, è quanto mai d’attualità. Il titolo dello spettacolo di e con Giulio Cavalli per quanto incuriosente, di primo acchito non sembra appropriato, anche se quel Il ridicolo onore che segue tra parentesi lascia capire qualcosa. Il monologo vede in scena solo l’autore, che come giornalista, scrittore, ma anche politico, si è sempre occupato di mafia.
Con l’accompagnamento dell’ottima chitarra di Federico Rama, Cavalli analizza con la lettura di articoli pubblicati su importanti settimanali, ricordi di avvenimenti e testimonianze riportate, le vicende della mafia a trent’anni dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio. Con un particolare accento sui grandi boss latitanti e catturati, Totò Rina, Provenzano e, aggiunto in direttissima, Messina Denaro. Già dalle prime battute ci si rende conto che il titolo è giusto. E non solo perché si sorride e si ride sovente. Ma perché la comicità è il giusto filo conduttore. Si rivela, infatti, la formula migliore per dare una visione patetica, e quindi punitiva, di questi boss, spesso trattati come eroi del male. Quello che si cucina piatti dietetici nel bilocale in canottiera e pantofole, quell’altro che nel suo covo colleziona i santini della Madonna, vengono assolutamente ridimensionati. Si percepisce tutta la loro imbarazzante goffaggine, il loro potere diventa ridicolo, la loro cattiveria inutilmente strumentale. Certo ogni tanto questi quadretti di squallore sono interrotti da considerazioni su chi li sostiene politicamente, ma solo con accenni. Individuabili. Cavalli ricorda anche qualcuno dei più drammatici fatti come il caso di Lea Garofalo, vittima della ‘ndrangheta calabrese. Per concludere che “ridere di mafia è il modo migliore per neutralizzarla”. Ridere dei boss “è il modo migliore per additarli e cominciare a sconfiggerli”. Perché, come dice in apertura Cavalli, riportando una frase che Borsellino ironico, ma realista, disse a Falcone di volere pronunciare nella sua orazione funebre:“Il più testa di minchia di tutti è uno che aveva sognato di sconfiggere la mafia applicando la legge”.
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